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SE UN CARDINALE E' DATO IN PASTO AI COMUNISTI CINESI
Vatican Insider sferra un durissimo attacco al cardinale Zen di Hong Kong con accuse prive di ogni fondamento
di Riccardo Cascioli
 

I cardinali nel mirino non sono soltanto quelli che difendono l'insegnamento tradizionale della Chiesa su matrimonio e famiglia. Ieri faceva impressione vedere in primo piano sul sito Vatican Insider un attacco durissimo al cardinale cinese Zen Ze-kiun, arcivescovo emerito di Hong Kong, accusato di voler dirigere la Chiesa cinese dal di fuori e di opporsi al promettente dialogo tra Cina e Santa Sede. Ormai chiunque provi anche solo a porre qualche domanda sulla "gioiosa macchina da guerra" che vuole pacificare il mondo intero, viene stroncato senza pietà, ovviamente sempre invocando la misericordia. Il problema è che il genuino slancio missionario del Papa avrebbe bisogno di collaboratori competenti più che di guardiani della rivoluzione e clericali in carriera.
E così il povero cardinale Zen, una delle figure più significative della Chiesa cinese contemporanea, sicuramente quello che conosce meglio i governanti di Pechino (che più volte da vescovo ha affrontato a muso duro) è finito sulla lista dei cattivi. Certo, Zen è un cinese se vogliamo atipico, temperamento focoso che non va per le spicce quando c'è da affermare una verità, tanto che a 83 anni a Hong Kong sta spesso in piazza insieme ad altri dimostranti per chiedere la libertà o per chiedere conto a Pechino – lo ha fatto nei giorni scorsi - della scomparsa di due vescovi di cui non si sa nulla da molti anni.
Ma cosa ha fatto di male il cardinale Zen? Secondo l'accusa si oppone al dialogo tra Cina e Santa Sede proprio in un momento in cui un qualche successo storico sembra vicino, e favorisce la spaccatura nella Chiesa cinese cercando di condizionare l'atteggiamento dei cattolici nei confronti di Pechino. Sarebbe dunque un pericoloso disturbatore nel processo di riconciliazione in Cina.
Accuse pretestuose e ridicole per chi conosce la situazione e il cardinale Zen. Ma bisogna almeno sinteticamente ricordare da dove ha origine il problema cinese: ovvero dalla decisione del regime comunista, poco dopo la vittoria militare di Mao Zedong, di istituire una Chiesa nazionale cattolica sotto il controllo del Partito comunista. Stesso trattamento per le altre religioni riconosciute. Lo scopo era evidente: mettere sotto controllo il fenomeno religioso come primo passo verso la completa estirpazione delle religioni. Per la Chiesa cattolica, pur minoritaria, la questione era ed è più complicata perché fa riferimento a un capo straniero, la cui "influenza" su cittadini cinesi è ovviamente ritenuta inaccettabile. Non per niente Cina e Santa Sede non hanno mai allacciato relazioni diplomatiche, e la Santa Sede è ormai uno dei pochissimi stati a riconoscere Taiwan (almeno formalmente) come legittimo governo cinese.
A quel punto comunque i cattolici avevano due possibilità: aderire all'Associazione patriottica creata dal governo e quindi accettare il primato del regime comunista; o continuare a professare apertamente il primato di Pietro ed entrare in clandestinità. La divisione dei cattolici – dai vescovi fino all'ultimo fedele - ha origine qui, anche se negli anni le cose si sono via via complicate e i confini tra le "due Chiese" si sono fatti sempre meno distinti (molti vescovi "patriottici" negli anni passati sono tornati in comunione con il Papa). Con le lettere alla Chiesa in Cina di Giovanni Paolo II (1996 e 1999) e di Benedetto XVI (2007) un cammino di riconciliazione tra le diverse anime del cattolicesimo cinese è stato avviato, ma in anni recenti il regime di Pechino ha cercato di riallargare le ferite imponendo l'ordinazione di "suoi" vescovi.
Nel frattempo poi, quella linea di divisione che ha caratterizzato i cattolici cinesi si è replicata a Roma tra chi è disposto a fare concessioni unilaterali a Pechino pur di arrivare a normalizzare le relazioni e chi invece invoca la fermezza nei confronti di un regime che non ha mai dato segnali di reale cambiamento nei confronti della libertà religiosa. Appare evidente che in Segreteria di Stato prevale la prima corrente (e non è una novità del Pontificato di Francesco), molto criticata invece dal cardinale Zen, che non si è mai opposto al dialogo ma piuttosto al compromesso politico, giudicando non sinceri i governanti di Pechino.
I problemi finora insormontabili nel dialogo Cina-Santa Sede sono due: la nomina dei vescovi, e il ruolo dell'Associazione patriottica. Per i vescovi, la Chiesa non può accettare che la loro nomina sia decisa o pesantemente condizionata da un governo, ma il regime comunista di Pechino non può accettare che ci possano essere nomine che non siano controllate dal Partito. L'altra questione, che è legata, riguarda l'Associazione patriottica la cui natura di controllo della Chiesa non può ovviamente essere accettata dalla Santa Sede.
Il cardinale Zen ritiene da molti anni che la Chiesa abbia già concesso troppo a Pechino e oggi trova immotivato l'ottimismo del Segretario di Stato, cardinale Parolin, che recentemente ha parlato di rapporti «promettenti» e di entrambe le parti che vogliono il dialogo. Come ha scritto: «Nessuno nega che senza il dialogo non si risolvono i problemi. Ma perché il dialogo riesca occorre la buona volontà da ambedue le parti. Da parte di Roma, c'è ovviamente questa buona volontà. Ma c'è anche dalla parte di Pechino? Supporre che ci sia, in un ottimismo infondato, è pericoloso. Può essere ""wishful thinking". Se la controparte non è disposta a cedere niente e noi vogliamo arrivare ad ogni costo ad un accordo, l'unica cosa da fare è di arrenderci, vendere noi stessi. Dunque noi non temiamo il dialogo. Non siamo contrari al dialogo, ma abbiamo paura di un compromesso ad oltranza, un cedere senza una linea di fondo».
Ma Zen ha criticato anche due interviste fatte da Vatican Insider ad altrettanti vescovi cinesi, che sembravano "pilotate" per criticare coloro – come Zen – che mettono i puntini sulle i. «Sembra che qualcuno voglia farci tacere», aveva denunciato Zen appena 3 giorni fa sull'agenzia Asia News, facendo notare che è «crudele e ingiusto» intervistare vescovi che non sono in condizione di parlare liberamente, come è per chi sta in Cina. Ed ecco quindi pronta la risposta di Vatican Insider sotto forma di lettera aperta di un "sacerdote clandestino" che nega a Zen il diritto di parlare di Chiesa cinese. Prontamente Asia News ha pubblicato l'intervento di un altro "sacerdote clandestino" che invece sostiene le ragioni dell'arcivescovo emerito di Hong Kong (davvero curiosa questa coincidenza di posta che arriva lo stesso giorno dalla Cina).
Ma è indubbio che, per la collocazione della testata, l'attacco di Vatican Insider è significativo. Qualcuno evidentemente ritiene che mettere a tacere Zen sia un passo fondamentale per far progredire i rapporti con la Cina e riconciliare i cattolici. Illusione: si fa solo un piacere al Partito Comunista cinese. Quando nel 2009 il cardinale Zen andò in pensione, ci fu chi a Roma brindò prevedendo una rapida normalizzazione dei rapporti con Pechino, ma negli anni successivi le cose non solo non sono progredite, sono anche peggiorate per i cattolici.

 
Titolo originale: Se un cardinale è dato in pasto ai comunisti cinesi
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 20/02/2015