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Le fiabe nascono da sole, nessuno sa dove, corali e anonime; si evolvono a pezzi e a bocconi, viaggiano attraverso i secoli e attraverso i luoghi, subendo tutte le modifiche possibili, ma restando sempre uguali a se stesse. Le fiabe hanno protagonisti fantastici e magici e non devono superare lo spazio di un pomeriggio passato accanto al fuoco e, soprattutto, quello di una sera, perché il loro compito principale è riempire il "prima di andare a letto", così che il bambino possa scivolare nel sonno cullato dalla voce dell'adulto, senza che i mostri che vivono dentro al buio possano disturbarlo. I mostri sono la paura di non essere amato, il rancore per non essere amato, la gelosia perché altri sono o ci sembrano amati più di noi. Le fiabe sono il luogo dove teniamo i mostri. Come intuisce Kafka, le fiabe sono le scatole d'oro e d'argento dove teniamo i mostri.
I mostri sono inconfessabili. Le emozioni negative non sempre sono permesse ai bambini, soprattutto a quelli che più avrebbero ragione di averne: quindi è opportuno nasconderle dentro una fiaba provarle per interposta persona, identificandosi con il personaggio principale.
L'ORFANO
Nella onnipresente figura dell'orfano, personaggio chiave di tutta la narrativa per l'infanzia, c'è ovviamente la paura di diventarlo, ma, soprattutto, è nascosta l'eterna paura di non essere abbastanza amati. La matrigna da un lato è la rappresentazione di una realtà storica precisa, di un pericolo reale in altre epoche costantemente in agguato: quello di restare orfani di una madre uccisa dal parto, in balia di una matrigna che avrebbe diviso in maniera disuguale tra i figli di primo e secondo letto il poco cibo, le molte botte e le infinite ore di lavoro massacrante. Dall'altro lato la matrigna è, soprattutto, il fantasma universalmente fruibile di una mamma che ama poco o meno di quanto vorremmo. Dentro fratellastri e sorellastre c'è il timore costantemente presente, anche nei figli di famiglie realmente amorevoli, che i fratelli (sorelle) siano più amati di noi. Dentro la strega e l'orco ci sono madre e padre quando sono irati e urlanti: con i lineamenti stravolti, infinitamente più grandi del bambino su cui incombono, onnipotenti, terrificanti. Le fiabe, come ogni cosa si rivolga anche all'inconscio, non evitano la contraddizione. L'essere orfani oltre che il terrore è anche il sogno dell'infanzia. L'uccisione (possibilmente rituale, non a badilate) dei genitori è la fase necessario alla conquista dell'indipendenza. Difficile affrontare i draghi inseguiti da mamma che ci chiede se la maglia di lana ce la siamo cambiata. In un certo senso dentro il drago, eternamente a guardia di qualche cosa di prezioso dentro a caverne impenetrabili o castelli semidiroccati, c'è anche l'autorità genitoriale, che è necessario infrangere per diventare adulti e liberi.
LE FIABE
Le fiabe, narrazione fantastica senza alcuna pretesa di verosimiglianza, sono, in assoluto, in quanto opera nata dal basso, lo specchio più fedele di un'epoca. Nelle fiabe è contenuta la persecuzione dei bambini. Nelle fiabe è da sempre uno dei protagonisti, insieme alla fame, alla paura, all'infanticidio, all'idea che i bimbi possano essere scacciati, allontanati, venduti, scambiati, abbandonati in un bosco buio dove un orco orrendo li mangerà per cena, a meno che una fila di sassolini che brillano sotto la luna li riporti a una casa dove nessuno li vuole. Nella fiaba osano comparire l'abuso sessuale, la pedofilia e l'incesto (Pelle d'Asino), la psicosi criminale e l'uxoricidio (Barbablù). Quando passavano la guerra, i lanzichenecchi, la siccità e le cavallette, quando non c'erano più raccolti, poteva succedere che i bambini venissero abbandonati nei boschi, uccisi (Biancaneve) massacrati di lavoro e discriminati rispetto ai fratelli (Cenerentola) oppure venduti in cambio di cibo (Raperonzolo) mentre sono ancora nel grembo della madre, come ancora oggi succede nell'orrenda pratica dell'utero in affitto, (niente e nessuno potrà mai costringermi ad usare altre parole se non queste, utero in affitto).
RAPERONZOLO
Nella fiaba originale la regina incinta ha una voglia di raperonzoli, di proprietà di una strega che il marito va a rubare per lei. La strega lo scopre e il re per poter essere lasciato libero promette la vita che la regina porta nel grembo. Al re tutta la mia disistima. Un uomo perbene muore lui, di fame, di fatica, non vende il ventre della sua donna. Mio padre sarebbe morto lui, non li avrebbe mai consegnato. Compito degli uomini è morire per le loro donne e i loro figli. Leviamo l'oro e l'argento e quello che resta è una bimba venduta con la complicità dell'uomo che doveva proteggerla. I bambini sono stati venduti, per cibo, a coppie sterili, dove a volte c'era una necessità di un figlio per motivi ereditari, oppure a fabbriche di tappeti o mattoni, o alle miniere, bambini di quattro anni scendevano in miniera. La madre adottiva, la proprietaria di Raperonzolo, quella che la bimba l'ha comprata e pagata ne diventa la carceriera: il figlio acquistato, su apposite agenzie che pubblicizzano "bimbo in braccio", equivalente "di chiavi in mano", è stato acquistato e pagato e difficilmente gli sarà data la libertà di essere come vuole essere. I rapporti tra madre e figlio, o meglio tra proprietaria dell'utero e feto (non vorrei essere accusata di terrorismo psicologico), sono enormi, i rischi che una donna corre durante la gravidanza sono enormi, possono restare per sempre cicatrici di importanza, come le smagliature e i piedi più larghi, per il maggiore peso e la lassità di tessuti connettivi, o patologie gravi come diabete, insufficienza renale. Una donna può morire. Una donna soffre: il parto naturale è sofferenza, il parto cesareo è sofferenza, il post parto è sofferenza, una sofferenza felice e ben venuta quando ad essere partorito è il proprio bambino, concepito con l'uomo amato, una sofferenza atroce negli altri casi. L'affitto dell'utero è la nuova forma di sfruttamento del corpo, di schiavismo, di oppressione, di violazione della dignità. Gli acquirenti del bimbo dichiarano di amarlo, e che l'amore risolve tutto. L'uso insistente della parole amore, questa affettività vomitata in continuazione, sbandierata a ogni istante, è la stimmate dell'isterismo, il segno di un sentimentalismo vuoto: far nascere un bambino orfano di madre, dopo aver ridotto la sua gravidanza a un affitto di utero, non è un gesto d'amore. Il bambino impara a riconoscere la voce della madre al quinto mese della vita intrauterina, per tutta la vita fabbricherà ossitocina sentendo quella voce. Il legame madre figlio è un legame sacro. Chi lo interrompe commette un crimine.
Nota di BastaBugie: Paolo Gulisano nell'articolo sottostante dal titolo "Arduin, l'orco che rifiutò il male" parla dei valori che trasudano dall'ultimo romanzo di Silvana De Mari, Arduin il rinnegato (Ares). E sono i valori dell'amicizia, della tenerezza, dell'attenzione per le piccole cose, dell'amore per la vita, per ogni vita e contengono un appello a restare umani e rifiutare il male e il conformismo.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 18 dicembre 2017:
Una delle più grandi saghe Fantasy contemporanee giunge all'atto finale. Si tratta della Saga dell'Ultimo Elfo, di Silvana De Mari, che con l'omonimo capolavoro che apriva il ciclo narrativo seguito poi da L'Ultimo Orco, Gli Ultimi Incantesimi, L'Ultima Profezia del Mondo degli Uomini, Io mi chiamo Yorsh e infine L'Ultima Profezia del Mondo degli Uomini. Epilogo, conquistò l'amore di migliaia di lettori e il riconoscimento della critica internazionale, dalla Francia agli Stati Uniti.
Una saga che si è segnalata per una scrittura avvincente, originale, arricchita da un senso dell'umorismo irresistibilmente graffiante, che strappa il sorriso anche nelle pagine più cupe. Già, perché il ciclo letterario nato dalla fervida immaginazione di Silvana De Mari, un medico che ha lavorato in ospedali dell'Etiopia, che si è dedicata come psicoterapeuta a donne abusate e violate, vinse lette, è un mondo dove si combatte una dura lotta contro la violenza, contro l'ingiustizia, contro il sopruso. Niente di nuovo sotto il sole, potrebbe dire qualcuno. In fondo la grande narrativa dell'Immaginario, dal Signore degli Anelli a Star Wars ci racconta proprio questo: questa titanica lotta fatta da pochi coraggiosi per fermare l'avanzata del Male, rappresentato da Sauron o dall'Imperatore Palpatine.
Il genio di Silvana De Mari tuttavia in questi anni si è dispiegato nel descrivere nei suoi libri un mondo atroce, dove la malvagità trova espressione attraverso il suo volto più banale, più quotidiano, senza per questo che tutto questo fango morale, questa sozzura degli animi, possa intaccare o spegnere la fiamma della speranza. Potremmo dire che la De Mari ha fatto diventare Letteratura il celebre giudizio di Hannah Arendt sulla banalità del male. Molte delle figure malvagie delle opere della De Mari non sono i soliti villains della narrativa o del Cinema, ma sono semplicemente degli imbecilli, degli ottusi esecutori di ordini, della gente che ha abdicato al prezioso dono dell'intelligenza e della ragione.
Da questo punto di vista, Arduin il rinnegato (Ares) rappresenta la quintessenza del pensiero di Silvana De Mari, e se da una parte esso è l'attesissimo prequel della Saga dell'Ultimo Elfo, che colloca il tassello definitivo della storia del Mondo degli Uomini, svelandoci gli antefatti accaduti trecento anni prima, e rivelandoci intrecci genealogici, scenari politici e soprattutto la vicenda personale del grande Sire Arduin, questo romanzo può benissimo essere letto a se stante. Ciò perché rappresenta un inizio, perché ci introduce in questo mondo immaginario abitato da Uomini, Orchi, Elfi e Nani. Un mondo che potrebbe benissimo essere il nostro, in un'altra Era, con altri protagonisti, ma dove si commettono gli stessi errori e le stesse atrocità presenti nel nostro. Dove è in corso una sorta di drammatico scontro di civiltà tra razze diverse e ostili, gli Uomini, gli Elfi, gli Orchi. E la storia è narrata proprio a partire dalla vicenda di un Orco, un piccolo orco bambino che viene venduto dal padre, bestialmente ottuso e crudele, ai militari che addestrano bambini per mandarli contro gli Elfi, sapendo che questi, con i loro valori umani elevatissimi, rimarranno sconvolti dal dover trovarsi di fronte dei bambini, e questo toglierà loro i poteri. Il piccolo Arduink dunque viene preparato insieme ai suoi compagni di sventura a questo destino, e viene istruito ad odiare, a mentire, a ingannare. Viene istruito a quanto c'è di peggio attraverso una "pedagogia" della sofferenza, inflitta senza senzo, senza scopo, se non per il divertimento degli aguzzini. Arduink, tuttavia, progressivamente impara a rifiutare questo ruolo. Si ribella alla cosiddetta "Orchitudine", apre gli occhi sulla crudeltà della catena di male che comincia dal militare che lo deve istruire e arriva fino all'Imperastore degli Orchi, e capisce che può scegliere, che deve scegliere il bene.
Il libro ci racconta così l'ascesa di un grande guerriero, il bambino orco che si ribella, che diserta dall'armata orca, che si fa cercatore solitario, e poi incontra creature- orchi stessi, e poi uomini ed elfi- che gli indicano la via dell'onore, del rispetto, della compassione. Arduink sceglie di rinnegare gli usi e i costumi degli orchi, dai quali verrà bollato come traditore, e si mette al servizio degli Uomini. Tra i quali non è che manchino gli stupidi, i crudeli, gli ingannatori, ma c'è del buono in questo mondo, nei villaggi, come nelle corti dei castelli, e per questo vale la pena battersi.
Dicevamo che questo avvincente e appassionante romanzo rappresenta la quintessenza della visione del mondo della sua autrice, quella già manifesta negli altri volumi della saga. In particolare, Silvane De Mari ci dice che il Male è ben presente nel mondo e nella storia; incombe su di noi, corrompe i nostri cuori, rovescia i troni, cancella le dinastie; si diverte in particolare ad infierire sui piccoli e sugli innocenti. Tuttavia il Male non ha l'ultima parola. Deve essere fermato. Bisogna combattere coraggiosamente contro di esso. Nessuna saga Fantasy contemporanea è così chiara e nitida. Ogni creatura - e non solo gli uomini o i nobili Elfi - ma perfino un orco può scegliere di rifiutare il male, la crudeltà, l'odio, e può scegliere il Bene. Il guerriero Arduink perde la K e diventa il cavaliere Arduin, che decide per il bene, ed è toccato nel suo cuore dall'amore per la principessa Giada, principessa degli uomini.
I valori che trasudano da questo romanzo sono dunque quelli dell'amicizia, della tenerezza, dell'attenzione per le piccole cose, dell'amore per la vita, per ogni vita.
Teoricamente questo dovrebbe fare di Silvana De Mari un'autrice ammirata per il suo intenso umanitarismo. Questo libro dovrebbe essere usato nei corsi contro il bullismo, perché ne descrive lucidamente gli spietati meccanismi. Potrebbe persino essere esaltato come un monito contro le discriminazioni sociali; quando Arduink si stabilisce tra gli uomini, gli tocca subire una sorta di razzismo, come pure tutti gli infelici mezzi orchi frutto degli stupri di donne umane avvenute nel corso dei raids degli orchi. Sappiamo purtroppo che difficilmente sarà così: Silvana De Mari è da tempo bersaglio di duri attacchi personali a causa delle sue idee politicamente "scorrette". In particolare le sue ferme prese di posizione sull'aborto, sull'eutanasia, sulle teorie del gender. Temi che affronta non da un punto di vista teorico, ma in base a tanti anni di esperienza sul campo. Tutto nasce dal suo itinerario tra una umanità sofferente, che ha toccato il suo animo sensibile, e che si trasfigura in racconto. La sua è la voce di una coscienza libera, ordinata, che vuole ricordare verità oggi forse troppo scomode.
I libri di Silvana contengono una sorta di accorato appello: restiamo umani, rifiutiamo il male, rifiutiamo l'ottusità, l'imbecillità, rifiutiamo di zittire la nostra coscienza sotto la scura cappa del conformismo. Speriamo che non resti inascoltato.
Trailer ufficiale dell'ultimo libro di Silvana De Mari: Arduin il Rinnegato (durata: 3 minuti).
https://www.youtube.com/watch?v=iWuYFwd_aEA
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