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L’ultimo numero della rivista ultralaicista Micromega ha come bersaglio, in copertina e in numerosi articoli, Benedetto XVI e il suo Magistero. Ma uno degli articoli è una violenta requisitoria contro un convegno da me promosso al Consiglio nazionale delle ricerche lo scorso 23 febbraio sull’evoluzionismo. Per l’autore, Telmo Pievani, non solo è inconcepibile che qualcuno critichi l’evoluzionismo, ma è persino «mirabolante» che la critica sia promossa dal vicepresidente del Cnr.
Ciò che più colpisce non è la prevalenza degli aggettivi sui sostantivi e degli umori sulle ragioni, né le espressioni insultanti tipo «siamo il paese delle trasmissioni paranormali alla Voyager», ma la capacità di parlare di ciò che non si conosce. Pievani tenta per sette pagine di ridicolizzare un convegno internazionale senza peritarsi di leggerne gli atti, recentemente pubblicati da Cantagalli con il titolo "L’evoluzionismo: tramonto di un’ipotesi". Dopo aver visto su un quotidiano un’ottima recensione di questo volume, è andato fuori dai gangheri e non ha fatto ciò che sarebbe stato ragionevole: acquistare una copia del libro e redigere una risposta argomentata. Avrebbe così scoperto che il libro collaziona non esternazioni fideistiche, bensì critiche di carattere scientifico, alle quali avrebbe così potuto provare a replicare in modo meno approssimativo e manicheo.
La principale caratteristica dei fanatici dell’evoluzionismo è parlare di ciò che non conoscono, a cominciare dalla stessa teoria dell’evoluzione che, 150 anni dopo l’apparizione dell’Origine della specie di Darwin, continua a essere una sorta di «oggetto scientifico non identificato». Così facendo, però, egli contraddice due volte il metodo scientifico. Prima di tutto perché la scienza non afferma verità ma vi si approssima per prove ed errori: epistemologicamente, qualunque tesi verrà tendenzialmente confutata o almeno corretta. E poi la modalità d’indagine con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza oggettiva e affidabile si basa sull’osservazione della realtà e sulla formulazione di un’ipotesi, verificata sperimentalmente. Ciò che non è il caso dell’evoluzionismo.
La legge della gravitazione universale di Newton può essere sperimentata ogni giorno. Gli esperimenti di Pasteur sui micro-organismi possono essere ripetuti ogni giorno. Per poter trarre leggi generali da un esperimento, esso deve poter essere realizzato, nelle stesse condizioni, da chiunque, in qualunque tempo e luogo. Quando un’ipotesi scientifica è inverificabile non può assumere la dignità di teoria. Ma quali esperimenti provano ciò che accadde nel passato: la pretesa evoluzione dalla materia alla vita, dal semplice al complesso? Il fatto che la materia complessa sia costituita da elementi più semplici non prova l’esistenza di un passaggio, nel tempo, dai secondi alla prima.
Per ovviare alla mancanza di una dimostrazione scientifica, l’evoluzionismo pretende di sostituire alla causalità, la casualità. Il «caso» diviene la «spiegazione» dell’inspiegabile. In questa prospettiva Pievani teorizza «che un evento altamente improbabile può realizzarsi in seguito a un’enorme quantità di tentativi nel corso di milioni o di miliardi di anni» (Creazione senza Dio, Einaudi, 2006). Ma il tempo non produce differenza: ciò che è impossibile sotto l’aspetto dei rapporti causa-effetto rimane tale per sempre. Anche le fantasie del caso hanno limiti invalicabili, che nella teoria della probabilità si chiamano «soglie di impossibilità» e rappresentano quei valori di probabilità al di sotto dei quali vi è la certezza che un evento casuale non si è mai verificato, né mai si verificherà. Il fatto che un evento molto improbabile possa teoricamente accadere, non significa che sia accaduto. Né ha valore immaginare lunghissimi tempi in cui «l’impossibile diviene possibile, il possibile probabile e il probabile virtualmente certo. Basta aspettare: il tempo compirà da solo il miracolo» (George Wald, L’origine della vita).
L’evoluzionismo, insomma, è una fantasiosa «storia» che presuppone a sua volta come verità indiscussa un principio filosofico, l’idea che tutto sia materia in continuo sviluppo. La teoria scientifica non si regge da sola: ha bisogno di quella filosofica per sopravvivere, e viceversa.
In questi giorni celebriamo i 20 anni dalla caduta del Muro di Berlino, e con esso di tanti miti: il «socialismo scientifico», la «dittatura del proletariato», il «progresso» indefinito della storia. Un solo totem sopravvive ancora: quello dell’evoluzionismo, un dogma che al socialismo di Engels e di Marx è, come noto, strettamente legato. Qual è la ragione per cui una teoria scientifica nata nell’Ottocento, come è quella darwiniana, è sopravvissuta al crollo dei miti ottocenteschi? Perché non possiamo non dirci darwinisti?, come recita un altro curioso titolo diffuso in questi giorni in libreria? La ragione è semplice. Il relativismo contemporaneo, secondo cui non esistono valori assoluti, ma tutto si trasforma, e nulla è stabile e permanente, ha il suo fondamento nella teoria evoluzionista. E oggi siamo passati dalla dittatura del proletariato alla dittatura del relativismo. Un esempio di questo totalitarismo scientista è proprio la pretesa di Pievani di tappare la bocca ai propri avversari, imponendo loro la «verità scientifica» per autorità, prassi di cui, anche nel fascicolo di Micromega, viene accusata la Chiesa.
Così facendo, Pievani dimostra l’utilità del libro e conferma la ragione per cui esso è nato, cioè evitare che l’evoluzionismo continui a essere imposto come dogma di fede, bollando i critici con epiteti spregiativi e, se necessario, colpendoli con l’epurazione. È questa infatti la nemmeno troppo larvata richiesta nei miei confronti di Pievani, scandalizzato che io ricopra «la carica di vicepresidente del Cnr». Il mondo scientifico nel XX secolo ha già conosciuto regimi in cui si è adottato questo sistema. Ma un pensatore laico e democratico non dovrebbe aborrire simili atteggiamenti?
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