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Drammatici sviluppi nella vicenda, che vede come involontario protagonista il vescovo di Matagalpa, mons. Rolando Álvarez Lagos, vittima della dittatura comunista imposta in Nicaragua da Daniel Ortega sin dal suo ritorno al potere, nel 2007, dopo aver fatto imprigionare la maggior parte dei suoi rivali in corsa per la presidenza.
Mons. Álvarez è stato condannato a 26 anni e 4 mesi di carcere effettivo (già tenendo conto degli sconti previsti in successione), ad una sanzione equivalente a circa 1.550 dollari, nonché all'interdizione a vita dalle cariche pubbliche, alla perdita perpetua dei diritti di cittadinanza, con una sentenza-lampo, emessa con largo anticipo rispetto ai tempi previsti per il processo, in un primo tempo fissato in realtà per questo 15 febbraio. L'inverosimile accusa, servita come pretesto per la condanna al giudice Héctor Ernesto Ochoa Andino, presidente della Camera Penale 1 della Corte d'Appello di Managua, è addirittura quella di «tradimento della Patria, compromissione dell'integrità nazionale, propagazione di notizie false attraverso la tecnologia dell'informazione, ostruzione delle funzioni, disobbedienza aggravata o disprezzo per l'autorità, tutti commessi in reale concorrenza e a danno della società e dello Stato della Repubblica». Perché? Semplicemente perché mons. Álvarez si è rifiutato di lasciare il Paese e di salire sull'aereo con cui, il giorno prima della sentenza, il regime aveva deportato negli Stati Uniti ben 222 prigionieri politici.
Sempre con l'insostenibile accusa di «tradimento» e di diffusione di notizie false il mese scorso sono stati condannati a dieci anni di carcere anche quanti si trovavano col vescovo al momento dell'arresto, avvenuto lo scorso agosto, e quindi quattro sacerdoti, due seminaristi ed un cameraman. Ma in carcere sono finiti anche altri sette sacerdoti e due collaboratori della Diocesi di mons. Álvarez.
Stando a questa sentenza, il vescovo Álvarez dovrà restare in galera fino al 13 aprile 2049. A nulla è valso il sostegno giunto nei giorni scorsi al clero ed ai prelati nicaraguensi, a nome dei vescovi europei, dal card. Jean-Claude Hollerich, presidente della Comece, la Commissione delle Conferenze episcopali dell'Unione europea. Il card. Hollerich, in una lettera indirizzata al vescovo di Jinotega, mons. Carlos Enrique Herrera Gutiérrez, presidente della Conferenza episcopale nicaraguense, ha chiesto l'immediato rilascio dei molti, troppi sacerdoti rinchiusi dietro le sbarre solo per la loro opposizione ad un governo comunista sempre più autoritario, citando espressamente, tra questi, mons. Álvarez. Nella missiva, il card. Hollerich ha dichiarato che i recenti eventi, «tra cui la chiusura delle stazioni radio cattoliche, il blocco dell'accesso alle chiese da parte della Polizia ed altri gravi atti, che turbano la libertà religiosa ed il giusto ordine sociale, mostrano l'aggravarsi di una situazione iniziata anni fa. In mezzo a circostanze così avverse, le testimonianze di impegno nella fede nel Vangelo e nel bene sociale comune della nostra amata Chiesa in Nicaragua sono ammirevoli e non passano inosservate», costituendo anzi «un esempio vivo e un modello da seguire in tante altre situazioni di persecuzione, che purtroppo si stanno moltiplicando in varie parti del mondo». Il card. Hollerich ha infine promesso che la Comece farà tutto quanto in suo potere «con le istituzioni europee per il rilascio» di mons. Álvarez e «per promuovere la libertà, lo stato di diritto, la giustizia e la democrazia» nel Paese.
Va ricordato che l'anno scorso il governo comunista ha espulso dal Nicaragua l'ambasciatore del Vaticano, l'arcivescovo Waldemar Stanislaw Sommertag, e 18 Suore Missionarie della Carità. Sono stati bloccati anche i pellegrinaggi e le processioni in tutto il Paese. Stando all'avvocato e ricercatrice nicaraguense Martha Patricia Molina, dal novembre 2018 ad oggi la Chiesa cattolica in Nicaragua ha subìto circa 400 attacchi da parte del regime tra pestaggi, arresti, diffamazioni, esilio e minacce. Dura la condanna dell'accaduto, pubblicata anche dall'agenzia InfoCatólica, secondo cui, con questo nuovo atto, la dittatura di Ortega si starebbe «spingendo sempre più in là nella sua follia e nel suo totalitarismo» con una condanna, che rappresenterebbe solo «una delle sue ultime azioni contro il popolo nicaraguense e contro il Cristianesimo».
Nota di BastaBugie: Nicola Scopelliti nell'articolo seguente dal titolo "Il vescovo ucciso a Los Angeles aveva un'arma segreta: Maria" parla di Mons. David O'Connell che è stato trovato morto con un colpo d'arma da fuoco a Los Angeles, città dove il presule irlandese era vescovo ausiliare. Affidava alla protezione della Madonna di Guadalupe il suo impegno per evangelizzare e strappare i giovani alla violenza e alle bande criminali.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 21 febbraio 2023:
«Non ho parole per esprimere il mio dolore. Che la misericordia di Dio scenda su chi ha ucciso mons. O'Connell». È quanto ha dichiarato José Horacio Gomez, arcivescovo metropolita di Los Angeles, dopo aver appreso la notizia della morte violenta del suo ausiliare, il vescovo David O'Connell, avvenuta a Hacienda Heights, poco dopo le tredici di sabato scorso.
L'arcivescovo è stato contattato dall'Ufficio dello Sceriffo della contea di Los Angeles, dopo che il corpo di mons. O' Connell era stato rinvenuto in un'abitazione, al civico 1500 di Janlu Avenue. Agli agenti era pervenuta una telefonata anonima, che indicava il luogo con "il cadavere di un sacerdote cattolico". «Come prete prima e come vescovo poi, David è stato un uomo di profonda fede, un uomo che portava la pace, che aveva a cuore i poveri e gli immigrati e una grande passione per la comunità», ha commentato l'arcivescovo Gomez.
Mons. David O'Connell era il vicario episcopale per la regione pastorale di San Gabriele, una delle cinque dell'arcidiocesi di Los Angeles. Era stato papa Francesco, nel 2015, a chiamarlo all'episcopato e a nominarlo vescovo titolare di Cell Ausaille e ausiliare di Los Angeles. «Non me lo aspettavo, non credevo di avere il profilo per una simile posizione - aveva dichiarato appena gli era stata comunicata la notizia della sua nomina a vescovo -. Ma poi ho ricordato che Papa Francesco sceglie i "pastori" che siano parte attiva delle loro comunità, e allora ho pensato che forse mi avesse scelto proprio per questo».
O'Connell era nato nel 1953 in Irlanda, aveva studiato a Dublino e dal 1979 faceva parte dell'arcidiocesi di Los Angeles, dove era stato sacerdote in varie parrocchie e dove era diventato membro del gruppo interdiocesano per l'assistenza all'immigrazione della California del Sud, dove garantiva il coordinamento dell'azione della Chiesa a favore delle famiglie provenienti dal Centro-America.
A Los Angeles ci sono cinque milioni di cattolici e trecento parrocchie. La domenica, le chiese sono affollate ovunque, sia quelle delle zone meno abbienti, che nei quartieri più ricchi. Il vescovo O'Connell era noto e molto amato per il suo infaticabile lavoro a favore dei migranti, e in particolare dei bambini, ne favoriva l'iscrizione a scuola e molti lo ripagavano, non solo diplomandosi, ma continuando gli studi fino alla laurea. «Esistono comunque dei problemi - aveva detto nel corso di un'intervista rilasciata al periodico KeKaKo, rivista della Koinonia Giovanni Battista, nel marzo del 2020 - l'età media dei parrocchiani sta aumentando. Ci sono tante persone che hanno ormai superato i 50 anni. Abbiamo oltre cinquantamila bambini che hanno ricevuto la comunione, dopo due anni di catechismo, ma 25mila di quelli che hanno ricevuto la cresima, si sono allontanati dalla Chiesa, crescendo in famiglie che non coltivano la fede».
L'impegno pastorale prevalente di mons. O'Connell era tra la gente. Tra i giovani, in particolare. Aveva deciso di annunciare il Vangelo utilizzando, come la definiva lui, un'arma segreta: fare evangelizzazione sotto la protezione di Nostra Signora di Guadalupe. Voleva allontanare i ragazzi dalle bande giovanili violente, incontrando, però, tanti ostacoli, ma ottenendo anche dei risultati. «Tanti ragazzi ora frequentano le scuole e anche le parrocchie. È un cammino lungo e tortuoso», sottolineava. Ed è proprio in questi ambienti di Los Angeles che gli agenti dell'Ufficio dello sceriffo hanno concentrato le loro indagini. Gli investigatori non hanno fornito dettagli, né spiegato se il vescovo fosse il bersaglio dell'assassino. «Non possiamo lasciare che i giovani vengano "catturati" dalle bande - diceva - è compito dei pastori aiutarli con tutti i mezzi, affinché intraprendano strade alternative che li riconducano sulla retta via. È questa la nostra sfida».
Padre Dave, come veniva chiamato, si era molto esposto nel contrastare il fenomeno della violenza giovanile, e si era impegnato anche a ripristinare un rapporto di fiducia tra gli abitanti e le forze di polizia e ad instaurare un clima di pacifica convivenza. «Era un pacificatore con un cuore per i poveri e gli immigrati, e aveva la passione per la costruzione di una comunità in cui la santità e la dignità di ogni vita fossero onorate e protette"- ha detto l'arcivescovo Gomez, che ha poi aggiunto: «Era anche un mio buon amico e mi mancherà moltissimo. So anche che mancherà a tutti».
AGGIORNAMENTO: L'assassino di mons. David O'Connell ha un volto. Si tratta di Carlos Medina, 65 anni, marito della collaboratrice domestica del vescovo ausiliare di Los Angeles. Ad annunciarlo è stato lo stesso sceriffo della contea Robert Luna, il quale ha sottolineato che un informatore avrebbe riferito di aver visto l'uomo agire in modo strano dopo il delitto e rivendicare il fatto che il vescovo gli doveva dei soldi. Medina sarebbe stato anche individuato dagli agenti dopo aver visionato i video di sorveglianza che mostrano un uomo a bordo di un Suv che si aggirava nei pressi dell'abitazione di mons. O'Connell. Sempre secondo altri testimoni, tra i compiti della collaboratrice domestica c'era anche quello di portare fuori il cane e qualche volta a occuparsene era il marito, l'uomo arrestato.
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