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ZUCKERBERG AMMETTE CHE IL FACT CHECKING E' CENSURA (E NOI NE SIAMO VITTIME)
Svelate le pressioni di Biden per censurare Facebook, Instagram, Whatsapp, soprattutto sui vaccini: ora negli Usa saranno più liberi, mentre in Europa no per colpa del Digital Services Act (VIDEO: Intervista a Zuckerberg)
di Stefano Magni
 

Mark Zuckerberg, il fondatore e amministratore delegato di Meta (azienda proprietaria di Facebook, Instagram e Whatsapp) ha annunciato il 7 gennaio un cambiamento radicale di politica. E di fatto ha ammesso che finora era imposta una censura, benché non ufficiale, sui suoi social network.
Niente più fact checking, che verrà sostituito dalle community notes (commenti scritti da altri utenti che vogliono segnalare un articolo) e alleggerimento drastico delle regole che limitavano la pubblicazione dei contenuti, i ricorsi e la rimozione di contenuti, niente più restrizioni alla visibilità degli argomenti politici e stop allo shadow ban, cioè la pratica di rendere meno visibile quel che pubblica un utente ritenuto pericoloso. Meta cambia anche il responsabile per gli affari globali, non più il liberaldemocratico britannico Nick Klegg, ma il repubblicano americano Joel Kaplan, già consigliere di George W. Bush. Inoltre la squadra per la moderazione dei contenuti sarà trasferita dalla California al Texas, lontano dalle peggiori influenze dei media tradizionali e dei gruppi di pressione (progressisti, ndr).
In particolare il fondatore di Facebook ha ammesso che i fact checkers sono risultati «troppo politicamente orientati e hanno contribuito a distruggere più fiducia di quanta non ne abbiano creata, soprattutto negli Stati Uniti».
Le riforme di Zuckerberg sono state accolte da un coro di critiche da parte della stampa internazionale. E anche in Italia, dove è soprattutto Open, il quotidiano di Enrico Mentana, consulente di Facebook per il fact checking, a denunciare una possibile deriva verso il linguaggio di odio su immigrazione e gender. Né poteva essere diversamente: dal 2016, da quando le elezioni negli Usa erano state vinte da Donald Trump, i media tradizionali avevano attribuito la colpa soprattutto ai social network, colpevoli di "diffondere la disinformazione e la misinformazione" senza alcun controllo degli "editori responsabili". La stretta era arrivata nel 2019, con una pressione senza precedenti sulle aziende proprietarie dei nuovi media. Onore al vero, Zuckerberg aveva provato a difendere la libertà di espressione, opponendosi a ogni forma di censura, già allora. In un discorso tenuto alla Georgetown University, aveva infatti dichiarato: «Oggi, in tutti gli schieramenti, sembra che ci siano sempre più persone che danno la priorità all'ottenimento dei risultati politici che desiderano piuttosto che assicurarsi che tutti possano essere ascoltati». E concludeva: «Credo che dobbiamo continuare a difendere la libertà di espressione».

CENSURA IMPOSTA
Infine anche Zuckerberg aveva dovuto cedere, anche nel corso dell’amministrazione Trump, per colpa soprattutto della pandemia di Covid-19. Quel mix di pressioni delle autorità americane e minacce di boicottaggio degli sponsor indusse anche Zuckerberg a introdurre la sua "polizia del pensiero", inasprendo le regole del controllo dei contenuti.
E cosa è successo, nella pratica? Che anche su Facebook e negli altri social network di Meta, i contenuti sono stati censurati se erano difformi alle tesi ufficiali. Esattamente come già facevano gli "editori responsabili", ma senza neppure avere la stessa responsabilità di un editore: un social network, infatti, non è un giornale, ma è una bacheca virtuale dove chiunque può appendere qualcosa e si prende la responsabilità di quel che sta mostrando. Limitare la libertà di espressione, senza la responsabilità dell’editore, è stata dunque una doppia aggressione arbitraria, per chiunque non avesse le idee "giuste". Soprattutto perché non vengono solo segnalate e represse notizie false, ma anche la "misinformazione", cioè il contesto mancante o la notizia data in modo "tendenzioso". Si tratta, fuori di metafora, dell’opinione dei giornalisti che fanno fact checking contro quella dei giornalisti autori degli articoli. Anche La Nuova Bussola Quotidiana ha subito l’effetto della censura dei fact checkers, il caso più esplicito è stato quello di un articolo di Ermes Dovico sul traffico dei feti abortiti, contestato da Open non perché falso, ma per "contesto mancante".
Significativa la testimonianza su The Free Press di Margi Conklin, ex direttrice dell’edizione domenicale del New York Post. Aveva pubblicato un articolo dell’antropologo Steven Mosher (che è anche una nostra firma), uno dei primi che ipotizzavano che l’origine del Covid-19 fosse da ricercarsi nell’Istituto di Virologia di Wuhan e non nel mercato a pochi chilometri dalla sua sede. Ecco cosa è successo: «Sullo schermo avevo un data tracker che mostrava il nostro traffico web e vedevo la linea verde del nostro articolo salire e salire. Poi all'improvviso, senza motivo, la linea verde è scesa come un sasso. Nessuno leggeva o condivideva il pezzo. Era come se non fosse mai esistito. Vedendo il traffico della storia precipitare, sono rimasta sbalordita. Ho pensato: "Com'è possibile che sia successo? Come fa una storia che migliaia di persone leggono e condividono a scomparire all'improvviso? Più tardi, il redattore digitale del Post mi ha dato la risposta: il team di fact-checking di Facebook aveva segnalato il pezzo come "false informazioni"». Una censura molto interessata, secondo la stessa Conklin: «Ho scoperto che un "esperto" che ha consigliato a Facebook di censurare il pezzo aveva un grosso conflitto di interessi. La professoressa Danielle E. Anderson aveva regolarmente collaborato con i ricercatori dell'Istituto di virologia di Wuhan».

ELIMINATA LA CENSURA DEI FACT CHECKERS
I fact checkers non sono entità astratte o studiosi incorruttibili dediti al sapere, sono persone con propri interessi e soprattutto proprie idee politiche. Il fact checking è diventato, specialmente dopo le elezioni del 2020, sempre più un’attività politica, per censurare le voci dissenzienti, come avevamo già fatto presente su queste colonne in tempi non sospetti. Quando l’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk ha permesso di scoperchiare la politica di censura seguita da quel social network, sono emersi anche alcuni segreti su Facebook. Per esempio: le pressioni che aveva subito ad opera di funzionari della Casa Bianca all’inizio dell’amministrazione Biden, soprattutto da Rob Flaherty (futuro manager della campagna di Kamala Harris). Flaherty, con toni aggressivi e molto spesso volgari, imponeva di censurare utenti e giornali legati all’area conservatrice, minacciando gravi conseguenze per il social network.
Le indagini legali nella causa Murthy contro Missouri, riguardante la "misinformazione" sul Covid-19, hanno rivelato come i dirigenti di Meta si siano piegati alle richieste dei funzionari di Biden di censurare notizie e ricerche mediche non conformiste. La Corte Suprema ha stabilito l'anno scorso che i querelanti non hanno dimostrato di essere stati censurati in risposta diretta alle pressioni del governo, ma il caso ha comunque esposto la collusione tra l'amministrazione Biden e Meta.
La vittoria elettorale di Donald Trump ha sicuramente incentivato Zuckerberg a cambiare politica. Ma ormai il danno provocato è enorme. Secondo una ricerca pubblicata sull’insospettabile Corriere della Sera, il fact checking ha rafforzato la polarizzazione e aumentato il processo di tribalizzazione del pubblico, con gruppi sempre più chiusi nelle loro convinzioni, nelle loro bolle informative. «Eppure, nonostante queste evidenze, milioni di dollari sono stati spesi in soluzioni che chiunque con un minimo di onestà intellettuale avrebbe riconosciuto come fallimentari».
In America stanno liberandosi di questo sistema. Ma in Europa? Il momento della liberazione è ancora lontano. Nell’Ue infatti vige il Digital Services Act che di fatto impone il controllo dei contenuti e la moderazione (leggasi: censura), per legge.

Nota di BastaBugie: Daniele Ciacci nell'articolo seguente dal titolo "Zuckerberg: così è calata la censura sui social" parla dell'intervista a Mark Zuckerberg, amministratore delegato di Meta (Facebook, Instagram, Whatsapp), che ha confidato quanta pressione avesse ricevuto dall'amministrazione Biden per censurare contenuti, soprattutto sui vaccini.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 13 gennaio 2025:

Durante un’intervista fiume con Joe Rogan nel celebre podcast The Joe Rogan Experience, Mark Zuckerberg ha affrontato temi cruciali legati alla gestione dei contenuti su Meta, le tensioni con l’amministrazione Biden e il futuro tecnologico della sua azienda. Dalle pressioni governative per censurare i contenuti sui vaccini COVID-19 fino alla controversia sulla fine del programma di fact-checking su Facebook e Instagram, l’intervista offre uno sguardo dietro le quinte delle decisioni più criticate di Meta negli ultimi anni.
Censura e pressioni dall’amministrazione Biden. Una delle dichiarazioni più rilevanti di Zuckerberg riguarda le pressioni esercitate dall’amministrazione Biden per censurare informazioni sui vaccini COVID-19. Zuckerberg ha affermato che funzionari governativi non solo suggerivano, ma pretendevano la rimozione di determinati contenuti. In alcuni casi, queste richieste includevano post basati su dati reali riguardo agli effetti collaterali dei vaccini.
«L’amministrazione ci spingeva in modo molto forte» ha spiegato Zuckerberg, descrivendo come alcuni funzionari arrivassero a urlare contro i dirigenti di Meta per ottenere l’eliminazione immediata di questi contenuti, anche quando rientravano nell’ambito della libertà di parola o della satira. Un esempio discusso include un meme di Leonardo DiCaprio che ironizzava sugli effetti collaterali dei vaccini, contenuto che Meta si è rifiutata di eliminare.
Questa politica di forte interventismo da parte del governo ha creato una tensione senza precedenti tra Meta e l’amministrazione Biden, sollevando una questione cruciale: quando un’azione volta a contrastare la disinformazione diventa censura governativa? Zuckerberg ha sottolineato come, nonostante il rispetto delle linee guida sanitarie, fosse importante proteggere anche i contenuti che rappresentavano dubbi genuini.
La questione del fact-checking: il cambio di rotta su Meta. Oltre alla censura governativa, Zuckerberg ha parlato anche della recente decisione di Meta di abbandonare i programmi di fact-checking di terze parti su Facebook e Instagram. Questo cambio di rotta, da molti visto come una concessione alle accuse di parzialità, è stato difeso da Zuckerberg come un passo necessario per migliorare l’autonomia della piattaforma.
Secondo il CEO di Meta, il fact-checking era diventato un terreno minato, con utenti e politici di tutto lo spettro ideologico che accusavano la piattaforma di favorire un’agenda specifica. Durante l’intervista, ha dichiarato che il team di Meta continuerà a verificare informazioni critiche, ma punterà di più su un’educazione degli utenti alla verifica autonoma. Questa decisione, però, ha attirato critiche dall’amministrazione Biden, che l’ha definita "vergognosa" e potenzialmente pericolosa per la salute pubblica.
Le dichiarazioni su Apple e le sfide dell’innovazione. Nell’intervista, Zuckerberg ha anche affrontato il ruolo di Apple come concorrente principale di Meta nel settore della tecnologia e dell’innovazione. Ha elogiato la capacità di Apple di stabilire standard elevati per il design dei prodotti e l’esperienza utente, ma ha criticato quella che ha definito una "cultura di chiusura" dell’azienda. In particolare, si è soffermato sull’App Store e sulle limitazioni imposte agli sviluppatori di terze parti, che a suo avviso limitano la libertà di innovare.
Zuckerberg ha poi accennato al fatto che Meta sta cercando di seguire un modello diverso con progetti come il metaverso, incoraggiando gli sviluppatori a esplorare nuove possibilità senza restrizioni imposte da un sistema chiuso. Tuttavia, ha ammesso che Meta deve ancora convincere il grande pubblico sull’utilità e il valore delle sue proposte.
Verso una gestione più autonoma dei contenuti? Le parole di Zuckerberg lasciano emergere un quadro complesso: Meta si trova a dover bilanciare una crescente pressione politica, aspettative degli utenti e una strategia aziendale volta a posizionarsi come leader tecnologico. La critica alla censura e al controllo governativo, unita alla decisione di terminare il programma di fact-checking e agli sforzi per costruire un metaverso aperto, riflette una direzione che punta all’autonomia delle piattaforme online. Non sono mancate le ciritche di parte progressista verso Meta e il patron: molti utenti in rete si sono dichiarati preoccupati dalla mancata gestione del fact checking da parte di un gruppo di esterni benché, come professato dallo stesso Zuck, fosse, specialmente durante gli anni di Biden, di impronta schiettamente parziale, verso il Partito Democratico.
Dall’altra parte, però, lo spettro di Trump si aggira minaccioso dietro le spalle di Zuckerberg, soprattutto vista la relazione del neo presidente eletto Donald Trump con Elon Musk, non soltanto proprietario di Tesla ma soprattutto di X, social network che ben prima di Facebook e Instagram aveva seguito le orme del fact-checking da parte degli utenti e liberalizzato la possibilità di pubblicare contenuti senza censure bipartisan. Sono in molti a pensare che Zuck stia cercando di avvicinarsi quanto più possibile a Trump. Si vedrà.
E si vedrà anche come il pubblico, i governi e le aziende rivali reagiranno a questi cambiamenti. In un’epoca in cui tecnologia e politica si intrecciano sempre più, Zuckerberg continua a presentarsi come un sostenitore della libertà d’espressione, pur con i limiti e le contraddizioni di un colosso come Meta.


https://www.youtube.com/watch?v=ZMIEXN1eusM

 
Titolo originale: Zuckerberg ammette che il fact checking è censura. E noi ne siamo vittime
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 9 gennaio 2025