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« Torna agli articoli di Andrea Zambrano
D'accordo: il Sinodo non ne parla. Ma ne parla Pippo Baudo. E non è detto che la cosa contribuisca alla serenità generale. Eucaristia, questa sconosciuta nella Relatio dei Padri Sinodali, che non l'hanno citata nemmeno una volta, a proposito di divorziati risposati. C'è chi dice che sia una vittoria dei reazionari, chi invece dei progressisti. Che categorie stantie, vintage, siamo andati a ripescare!
L'abbiamo capito: i punti 84 e 85 sui divorziati risposati sono frutto di un compromesso. Che ora potrà essere usato come un canovaccio all'interno del quale scorgervi, ognuno, una sua istanza. Pippo Baudo ci fa sapere che «ora chiederò di fare la comunione». Da che cosa deriva questo convincimento? Dai titoli dei giornali, non certo dalla Relazione, che non glielo permette, né dall'esortazione post sinodale di papa Francesco, che ancora non c'è. Ne si sa se ci sarà. Intanto però il terreno si tiene, diciamo, innaffiato. La grande stampa italiana si è attrezzata a tradurre quel «decideremo caso per caso» che è uscito a poche ore dalla pubblicazione delle relatio. Come?
UNA RIVOLUZIONE PASTORALE?
«Francesco ci porta fuori dalle catacombe», recita il titolo d'apertura di pagina de La Stampa. In che senso? Nel senso che è arrivata «una rivoluzione pastorale». Escono fuori come funghi sacerdoti che, con tanto di nome, ammettono con orgoglio, che loro la comunione ai divorziati risposati la davano già. Repubblica invece punta sulla «nuova strada di apertura di Francesco» che fa entusiasmare il cardinal Hummes. E non poteva mancare lui, il cardinal Kasper che lancia il suo alalà dalle colonne del giornale più conservatore d'Italia, Il Giornale: «Sono soddisfatto, si è aperta una possibilità concreta di concedere la comunione ai divorziati risposati». Ma si è aperta dove? Quale Sinodo ha visto il cardinal Kasper dato che la Relatio, letta in lungo e in largo non ne parla? Semplice: ne parla lo spirito, non la lettera.
Eccoci tornati indietro di 50 anni. Ricordate? Al Concilio Vaticano II l'approvazione della divina costituzione sulla liturgia, la Sacrosantum Concilium. I padri non toccarono di uno iota la messa, la liturgia, il latino, il canto gregoriano, l'orientamento ad Deum del fedele e del celebrante. E nemmeno introdussero quelle parole killer che hanno distrutto il linguaggio con il quale Dio vuole essere comunicato: adeguamento liturgico, aula liturgica, creatività liturgica, chitarre, messa come banchetto e non anche e soprattutto come sacrificio. Furono le singole Conferenze episcopali a iniziare a introdurre di sperimentazione in sperimentazione le variazioni con le quali oggi assistiamo a messe show, abusi e alla completa desacralizzazione della messa, «fonte e culmine della vita cristiana», sempre per stare al Concilio. Neppure la riforma di Paolo VI, con il relativo messale, andava a toccare il cuore sacrificale della messa, né la sua lingua. Eppure oggi le messe show, la creatività liturgica del celebrante, gli abusi ormai intollerabili dai fedeli, sono la prova che qualche cosa è successo.
LO SPIRITO DEL CONCILIO
Quel qualche cosa è lo spirito del Concilio. Una malintesa e strumentalizzata idealizzazione di ciò che la messa non era ed è poi diventata facendo perdere il senso del sacro e di conseguenza la corretta disposizione di animo e di cuore all'incontro perfetto con Dio. Di questo spirito del Concilio, contrario alla lettera, dunque alla dottrina, Benedetto XVI fu uno dei più acuti e intransigenti detrattori. Condannò il Concilio mediatico con parole che oggi, applicate al neonato Spirito del Sinodo, non possono non risultare profetiche. Era il 14 febbraio 2013 e il mondo era sconvolto da quella che appena tre giorni prima era stata la sua rinuncia al ministero petrino. L'occasione era il 50esimo anniversario di indizione dell'assise. «C'era il Concilio dei Padri, il vero Concilio», diceva Ratzinger, «ma c'era anche il Concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite i media». Benedetto XVI lo chiamava «il Concilio dei giornalisti», che «non si è realizzato all'interno della fede, ma all'interno delle categorie dei media di oggi, cioè fuori dalla fede, con un'ermeneutica politica».
Ratzinger attribuiva questo potere dei media all'interno di una «una lotta politica e di potere tra le diverse correnti nella Chiesa». E i media presero così posizione «per quella parte che a loro appariva quella più confacente con il loro mondo. C'erano quelli che cercavano la decentralizzazione della Chiesa, il potere per i vescovi e poi, tramite la parola "Popolo di Dio", il potere del popolo, dei laici. C'era questa triplice questione: il potere del Papa, poi trasferito al potere dei Vescovi e al potere di tutti, sovranità popolare. Naturalmente, per loro era questa la parte da approvare, da promulgare, da favorire».
CONSEGUENZE DISASTROSE
A farne le spese, tornando alla Sacrosantum Concilium, la tanto bistrattata lettera, con una liturgia che «non interessava come atto della fede, ma come una cosa dove si fanno cose comprensibili, una cosa di attività della comunità, una cosa profana». L'analisi dell'ormai Papa emerito era impietosa: «Queste traduzioni, banalizzazioni dell'idea del Concilio, sono state virulente nella prassi dell'applicazione della Riforma liturgica; esse erano nate in una visione del Concilio al di fuori della sua propria chiave, della fede. Sappiamo come questo Concilio dei media fosse accessibile a tutti».
Ma le conseguenze sono state disastrose, come vediamo sotto gli occhi ormai da tanto tempo: «Il Concilio virtuale ha creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata e il vero Concilio ha avuto difficoltà a concretizzarsi, a realizzarsi; il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale». Leggendo le prime entusiastiche reazioni dei cosiddetti novatori e l'uso che ne sta facendo la grande stampa, l'impressione è che si stia ricreando lo stesso meccanismo di scissione che abbiamo visto con il Concilio Vaticano II. Con un martellamento insistente, fino a quando non entrerà nella testa di ogni singolo fedele, il concetto che la comunione ai divorziati risposati non è altro che una risultante dello spirito del Sinodo. E poco importa se la dottrina non ne parla, anzi la esclude proprio. A questo ci pensano i giornali e i laudatores capitanati da Kasper & C. Diventerà prassi alla luce del sole, senza che ce ne accorgiamo.
Nota di BastaBugie: molto interessanti le conclusioni a cui arriva Massimo Introvigne nell'articolo pubblicato da La nuova Bussola Quotidiana il 27-10-2015 dal titolo "Comunione ai divorziati, unioni gay e gender".
Ne riportiamo due significativi estratti:
Il Sinodo non consiglia da nessuna parte al Papa di aprire le porte della comunione ai divorziati risposati. L'espressione «comunione ai divorziati risposati» o altre analoghe nella relazione semplicemente non ci sono. La relazione ribadisce che il matrimonio cristiano è indissolubile e non contiene nessuna apertura al divorzio. Invita ad accogliere i divorziati risposati nelle comunità cristiane, esortandoli a partecipare alla Messa e alla vita parrocchiale, ma questo era stato detto tante volte in passato e non è certo una novità. Quanto alla «più piena partecipazione alla vita della Chiesa» dei divorziati risposati, il numero 85 della relazione invita a un discernimento. Tra i criteri di discernimento si suggerisce riguardo ai divorziati di «chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l'unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio». Ma il numero 86 esclude ogni gradualità della legge: «dato che nella stessa legge non c'è gradualità (cf. Familiaris consortio 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità», anche se dovrà mettere insieme verità è misericordia.
Non è dunque neppure esatto scrivere che sulla comunione ai divorziati il Sinodo ha consigliato al Papa di invitare i sacerdoti a «decidere caso per caso». [...]
Qualcuno - a partire dal New York Times - ha voluto trovare nella relazione del Sinodo perfino un'apertura alle unioni omosessuali. Il Sinodo si è occupato poco di omosessuali, ma se n'è occupato abbastanza per dire precisamente il contrario. Certo, il Sinodo ha ripetuto quanto il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 già affermava: le persone omosessuali vanno accolte nelle famiglie e comunità con «rispetto, compassione e delicatezza». Nello stesso tempo, il Sinodo ribadisce che il matrimonio è solo fra un uomo e una donna, e che la Chiesa non accetta «analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». L'inciso «neppure remote» è molto importante. Significa che la Chiesa rifiuta non solo il «matrimonio» omosessuale ma anche istituti, comunque si chiamino, che presentano «analogie» anche soltanto «remote» con il matrimonio. La senatrice Cirinnà, che aveva detto di aspettarsi dal Sinodo aperture alle sue unioni civili, che ovviamente hanno ben più di «analogie remote» con il matrimonio, è stata respinta con danni, e non solo lei.
Lungi poi dal cedere a chi cerca d'intimidire la Chiesa sostenendo che la teoria del gender non esiste, il documento afferma al n. 8 che «una sfida culturale odierna di grande rilievo emerge da quell'ideologia del "gender" che nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un'identità personale e un'intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina». Nelle scuole e in altri ambiti educativi, denuncia il n. 58, «spesso vengono presentati modelli in contrasto con la visione cristiana della famiglia. La sessualità è spesso svincolata da un progetto di amore autentico. In alcuni Paesi vengono perfino imposti dall'autorità pubblica progetti formativi che presentano contenuti in contrasto con la visione umana e cristiana»: rispetto ad essi, «vanno affermati con decisione la libertà della Chiesa di insegnare la propria dottrina e il diritto all'obiezione di coscienza da parte degli educatori».
La relazione stigmatizza pure le organizzazioni internazionali che vogliono imporre la teoria del gender ai Paesi in via di sviluppo. Su questo punto come su altri - si condannano duramente aborto ed eutanasia, e in tema di anticoncezionali si afferma che la Humanae Vitae dev'essere «riscoperta», «al fine di ridestare la disponibilità a procreare in contrasto con una mentalità spesso ostile alla vita» - le bugie hanno le gambe corte. Ma non cortissime. Quanti, non solo fra i fedeli ma anche i sacerdoti, leggono solo i quotidiani laici anziché il testo della relazione del Sinodo e i discorsi del Papa?
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