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« Torna agli articoli di Andrea Zambrano
I ministeri "simbolo" che la Lega ha rivendicato sin da subito erano due: quello degli Interni e quello della Famiglia. Il primo non ha certo bisogno di rimpasti di governo vista l'attività politica di Matteo Salvini nel contrasto dei migranti che gli sta facendo guadagnare sempre più voti. Il secondo invece è stato rimpastato ieri dopo un "blitz" che ha visto succedersi Lorenzo Fontana, destinato agli Affari Ue, a Alessandra Locatelli, giovane deputato del Carroccio proveniente da Como, città di cui è anche vicesindaco.
Le ragioni di questo avvicendamento sono un po' fumose. C'era sul piatto - e non era un mistero - il fatto che Fontana desiderasse tornare alle sudate carte europee dove si era già fatto notare nel corso della sua attività di europarlamentare. Del nuovo ministro invece - che ieri ha giurato davanti al presidente Matterella - non sappiamo granché. O meglio: non conosciamo quale sia realmente la sua politica più o meno pro family. Non si conoscono sue prese di posizione a favore della famiglia naturale né volte a contrastare il declino demografico. Eppure si tratta di un ministero che per poter avere forza deve essere costruito con forti convinzioni. Comunque, la vedremo al lavoro.
Quel che è certo è che i ministri si cambiano quando non sono più indispensabili o simbolici in quel posto e dato che Fontana è sempre stato accusato di essere un integralista cattolico, è curioso che il cambio sia avvenuto proprio nello stesso giorno in cui il sottosegretario Cinque stelle Spadafora accusava di sessismo il ministro Salvini senza per altro ricevere le scuse.
LUCI E OMBRE
Che Fontana abbia spesso ricevuto critiche per le sue idee decise in termini di famiglia naturale è un dato di fatto. È stata un po' la costante dei suoi 16 mesi al governo. E forse a onor del vero, va detto che quell'etichetta ha condizionato un po' la sua azione. Soprattutto se si provasse a fare un bilancio della sua azione di governo.
Bilancio che diventa automaticamente anche un promemoria per l'ideale passaggio di consegne con il successore, che è donna e quindi si spera meno etichettabile dagli avversari politici.
È un bilancio in chiaroscuro quello che lascia Fontana. Anzitutto bisogna riconoscergli il merito politico di aver contribuito a riaccendere in Italia il dibattito sull'inverno demografico e di aver provato ad alzare la testa per un modello di sviluppo non sostituzionista, ma che incentivasse i figli. La sua strenua difesa del Congresso della Famiglia di Verona dagli attacchi ricevuti va in questo senso ed è un merito politico da ascrivergli, che ha consentito a far uscire dalle secche dell'anonimato chi si batte da anni per il sistema famiglia.
Importante, anche se non decisiva, è stata l'attivazione di una Carta famiglia che può essere a tutti gli effetti la sua novità e che il successore ora ha il dovere di attuare. Fontana ha stanziato 3 milioni di euro per convenzioni a favore delle famiglie. Indiscutibile il significato politico, un po' meno però il beneficio concreto dato che ad oggi le convenzioni con il Ministero dei Trasporti, della Scuola e dei Beni Culturali, con le catene di supermercati e le concessionarie non sono state fatte. E questa è un'attività che deve fare il ministero dato che Fontana aveva meritoriamente ascritto a sé la partita, finita nel dimenticatoio dai tempi del ministro del lavoro Poletti.
Ma è chiaro che l'obiettivo di Fontana fosse sopravvivere in vista di un ritorno alla sua materia, l'Europa. E quindi tocca fare i conti anche con gli insuccessi.
INSUCCESSI SIGNIFICATIVI
I più significativi vengono proprio sul versante del rimettere al centro la famiglia. Nonostante le polemiche con il ministro del lavoro Di Maio, la riforma degli assegni famigliari ad oggi è a un binario morto. Il decreto che stanzia una cifra dai 300 ai 500 euro al mese per figlio è ancora fermo e non è nemmeno passato al vaglio del Consiglio dei ministri. Si riuscirà ad approvare la riforma in tempo per inserirla in legge di bilancio e partire così già dal gennaio 2020? Dipenderà dalla determinazione della nuova titolare della famiglia, ma i tempi stringono. Quel che è certo è che la riforma non è ancora arrivata in Parlamento e rimane così lettera morta.
Anche per quanto riguarda il segmento delle tasse, Fontana non sembra essersi speso quanto avrebbe dovuto con i colleghi che in questi mesi stavano lavorando alla flat tax. Flat tax che, così come è emerso, penalizza fortemente le famiglie numerose. Questo Fontana lo sapeva, ma non sembra aver fatto molto per incidere in fase di scrittura della riforma se è vero che a incontrare i padri della tassa piatta leghista, Armando Siri e Massimo Garavaglia, per fare presente l'assurda discriminazione, si è incaricata l'Associazione Famiglie Numerose. Un interessamento politico del ministero preposto avrebbe sicuramente aiutato di più.
Stesso discorso per il comparto della scuola: il ministro non è mai intervenuto a favore della libertà di educazione e i temi del costo standard e del buono scuola - che interessano tantissimo le famiglie - non sono mai stati toccati.
Sì, c'è stata anche stavolta una politica di bonus pannolini e altri generi, ma questo lo hanno fatto anche altri governi e soprattutto non è con questo che si mette davvero al centro la famiglia dopo il declino demografico.
Declino che va visto non solo in ottica sostegno alla maternità, ma che, se vogliamo essere seri, va considerato anche in ottica antiabortista. Chi lavora al Progetto Gemma sa quanto incida la povertà. Ridurre gli aborti significa incentivare la maternità e viceversa. E disincentivare l'aborto lo si fa anche attraverso misure forti. Di tutto questo non è stato fatto nulla ed è un'altra occasione persa. L'ennesima, che brucia di più perché ad opera di un governo che fin da subito si era detto a favore della famiglia. Ora avanti un altro, sperando che non sia una perdita di tempo.
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