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« Torna agli articoli di Andrea Zambrano
Non è il caso di imputare la colpa alle distrazioni del conflitto ucraino: la volontà di dimenticarsi di una fetta di italiani calpestati nei loro diritti è voluta e studiata. L'hanno chiamato freedom day, col provincialismo tipico di chi si affida all'inglese quando vuole camuffare gli intenti, ma il 1° aprile prossimo non sarà una Festa di liberazione 2.0, bensì una nuova tappa del processo di concessione condizionata di libertà per tutti i cittadini. Anche per quelli bi, tri, quadri - e chissà se penta - vaccinati i quali si illuderanno di essere tornati alla libertà per il solo fatto di avere un QR code sempre aperto tra le finestrelle del telefonino.
Invece per una fetta risicata, ma viva, pagante le tasse e votante della popolazione italiana, non ci sarà nemmeno quella illusione, tanto che la fine dello Stato d'emergenza annunciata da Draghi in pompa magna mercoledì a Firenze per loro significherà invece la certificazione della loro prolungata prigionia con la frustrazione che diventi eterna.
FINE EMERGENZA MAI
Dunque, lo Stato d'emergenza finirà il 31 marzo, ma con esso non finirà la pantomima della carta di circolazione che resterà ancora a lungo. Per quanto? Non si sa, «tempo indefinito» dice il decreto, che è peggio di eterno, proprio perché studiatamente assoggettante. Il fatto che la fine del Green pass non sia trainata dalla fine dell'emergenza mostra chiaramente, senza veli, senza scuse, che la carta verde non aveva nulla a che spartire con la sicurezza sanitaria. Ad agosto quando è stata introdotta ci credevano ancora tutti, ma ora dovrebbe essere palese: il Green pass non serve per proteggerci da una pandemia, perché con la fine dell'emergenza la pandemia, de facto, viene dichiarata debellata.
E quindi?
Quindi resta il cinismo di un premier, Mario Draghi, che annuncia in uno stabilimento industriale che il primo aprile sarà il giorno del ritorno alla libertà. E lo annuncia davanti a dei lavoratori che per poter lavorare e ascoltarlo devono essere greenpassati. Il messaggio pronunciato, dai toni goffamente rinascimentali in una delle eccellenze manifatturiere del Made in Italy, è questo: "l'Italia riparte dal lavoro", peccato che per lavorare servirà un Green pass e chi non lo avrà sarà sospeso. Come accade adesso durante lo stato d'emergenza. Dunque, qual è la differenza?
La differenza è che la carta di circolazione smetterà di essere il pannicello caldo di chi si nasconde dietro un virus e diventerà il principale strumento di credito sociale di un Paese che non vuole vedere. Nel rinascimento di cui parla Draghi, il Green pass è strumento irrinunciabile e qualificante. I lavoratori che vanno bene per il rilancio del Paese sono dunque questi: quelli che si offrono al controllo pervasivo di un potere che calpesta così facilmente il primo articolo della Costituzione.
SOLO QUANDO LO DIRÒ IO
Dunque, «gradualmente» è la parola tranquillizzante. C'è un insostenibile cinismo in quel «gradualmente» accompagnato alla dismissione delle ultime restrizioni, che denota il disporre sine die della libertà degli italiani, come un Giucas Casella capace di svegliarci dall'incantesimo «solo quando lo dirò io». Però, fateci caso, nell'annuncio di Draghi la fine del Green pass non è mai adombrata.
Qualcuno ha provato a far finire l'incubo da subito, la Lega, ma ha fallito. Il fatto che oggi esulti per la fine dell'emergenza il 31 marzo non dicendo nulla sulle migliaia di lavoratori sospesi che continueranno a vivere senza stipendio e senza sapere mai quando tutto finirà, è la dimostrazione plastica dell'evanescenza del Carroccio.
È evidente che chi da oggi in avanti sosterrà politicamente l'obbrobrio del lasciapassare verde che porta con sé discriminazione, violazione di diritti e controllo generalizzato sganciato da qualunque scusa sanitaria, è complice di questo mostro. E per loro, intellettuali liberi come Carlo Lottieri, hanno usato parole decisive: «Quel QR segna il confine tra due mondi: o si sta da una parte, o dall'altra».
Sentir dire poi da Draghi che quanto «succede in Ucraina riguarda il nostro vivere da liberi» rende il tutto decisamente grottesco.
Nota di BastaBugie: Paolo Gulisano nell'articolo seguente dal titolo "Vaccini e contagi, Lancet demolisce il green pass" parla di uno studio in cui si dimostra che i vaccini anti-Covid non interrompono la trasmissione del virus. I vaccinati hanno un picco di carica virale simile ai casi non vaccinati e possono quindi trasmettere l'infezione. Risultati che fanno a pezzi la logica del green pass. Che andrebbe abolito.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 31 gennaio 2022:
L'attuale andamento epidemiologo del Covid vede la malattia continuare a diffondersi. Anche se la variante Omicron sta crescendo e rimpiazzando le precedenti versioni del Covid, è la variante Delta ad essere ancora prevalente in Occidente, ad essere altamente trasmissibile, diffondendosi a livello globale, anche nelle popolazioni con alti tassi di vaccinazione. Ed è proprio questo ultimo importante dato, che dimostrerebbe la scarsa efficacia della campagna vaccinale con due e addirittura tre dosi, che ha attirato l'attenzione di un gruppo di ricercatori, guidati dalla professoressa Anika Singanayagam, che hanno effettuato uno studio sulla trasmissione e sulla cinetica della carica virale in individui vaccinati e non vaccinati nel Regno Unito: uno studio prospettico, longitudinale, di coorte, pubblicato su una delle due più prestigiose riviste mediche della Gran Bretagna, The Lancet.
In questo momento è da Oltremanica che arrivano le voci scientifiche più indipendenti e più interessanti che analizzano nel dettaglio l'andamento epidemico. Negli scorsi giorni abbiamo parlato dell'editoriale del British Medical Journal che ha puntato il dito sulla mancanza di trasparenza da parte delle aziende produttrici dei vaccini a mRNA, mentre il Lancet ci illustra ora attraverso questo studio l'efficacia reale della vaccinazione, attraverso una comparazione tra popolazioni vaccinate e non vaccinate. I risultati offrono una prospettiva piuttosto differente rispetto alla vulgata semplicistica proposta dai media.
Cosa ci ha detto lo studio? Tra il 13 settembre 2020 e il 15 settembre 2021, 602 contatti della comunità (identificati tramite il sistema di tracciabilità del Regno Unito) di 471 casi-indice di Covid-19 nel Regno Unito sono stati reclutati per lo studio di coorte Assessment of Transmission and Contagiousness of COVID-19 in Contacts e hanno contribuito con 8145 campioni del tratto respiratorio superiore dal campionamento giornaliero per un massimo di 20 giorni. I contatti domestici e non domestici di età pari o superiore a 5 anni potevano essere inseriti nello studio se in grado di fornire il consenso informato e accettare l'auto-tampone delle vie respiratorie superiori. È stato analizzato il rischio di trasmissione in base allo stato di vaccinazione per 231 contatti esposti a 162 casi-indice con infezione da variante Delta collegati epidemiologicamente. Sono state quindi confrontate le traiettorie della carica virale da individui completamente vaccinati con infezione Delta con individui non vaccinati con Delta, Alfa, e infezioni pre-Alfa (n=49). Gli esiti primari per l'analisi epidemiologica erano la valutazione del tasso di attacco secondario (SAR) nei contatti familiari stratificato per stato di vaccinazione di contatto e stato di vaccinazione dei casi-indice. I risultati primari per l'analisi cinetica della carica virale erano di rilevare le differenze nella carica virale di picco, nel tasso di crescita virale e nel tasso di declino virale tra i partecipanti in base alla variante SARS-CoV-2 e allo stato di vaccinazione.
I risultati hanno rilevato che, sebbene la carica virale di picco non differisse in base allo stato di vaccinazione o al tipo di variante, aumentava modestamente con l'età, che rappresenta quindi un documentato fattore di rischio. Gli individui completamente vaccinati con infezione variante Delta avevano un tasso medio più rapido di declino della carica virale rispetto agli individui non vaccinati con infezioni varianti pre-Alfa, Alfa o Delta.
In parole povere, la vaccinazione riduce il rischio di infezione della variante Delta e accelera la clearance virale. Tuttavia, gli individui pur completamente vaccinati hanno un picco di carica virale simile ai casi non vaccinati, e possono quindi trasmettere l'infezione, anche ai contatti a loro volta completamente vaccinati. Lo studio prova che l'interruzione della catena di trasmissione attraverso il vaccino non si verifica. È quindi tempo di dire con chiarezza che il tanto citato effetto di "immunità di gregge" con questi vaccini non ha luogo. Non è un caso che gli autori dello studio stesso pubblicato dal Lancet affermino che l'obiettivo principale della vaccinazione alla luce di quanto emerso sia la protezione individuale delle persone. Si è però mancato - e lo constatiamo direttamente ogni giorno nella clinica e nel riscontro epidemiologico - l'obiettivo dei vaccini di ridurre la trasmissione di SARS-CoV-2, che sarebbe fondamentale per contenere la pandemia. Un risultato che dipende dalla capacità dei vaccini di proteggere dalle infezioni e nella misura in cui la vaccinazione riduce l'infettività. La variante Delta continua a causare un elevato carico di casi anche nei Paesi con un'alta copertura vaccinale.
Questo dato dovrebbe portare ad una revisione delle strategie da adottare nei confronti dell'epidemia, e soprattutto sulle scelte politiche. Se è ormai evidente che non si può raggiungere l'immunità di gregge, e che un vaccinato può trasmettere il contagio quanto un non vaccinato, di conseguenza dovrebbero cessare immediatamente le misure punitive e vessatorie nei confronti delle persone che hanno scelto di non sottoporsi alla pratica vaccinale, molte delle quali peraltro si stanno immunizzando in modo naturale contraendo la malattia. Loro sì potrebbero dare un valido contributo - in tale modo - all'avvicinarsi ad una immunità di buona parte della popolazione limitando la circolazione del virus.
È evidente poi che, stando così le cose, uno strumento di controllo più sociale che sanitario come la "certificazione verde" non ha ragione di essere. Il green pass non attesta minimamente che il suo detentore non possa trasmettere il virus agli altri. Non è un caso che sia stato eliminato proprio in Inghilterra, il Paese dove è stato condotto questo studio, le cui evidenze è auspicabile che diventino oggetto di attenta riflessione anche in altri Paesi. La repressione pseudosanitaria deve avere ormai fine. È la scienza che ce lo dice.
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