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« Torna agli articoli di Andrea Zambrano
La provocazione sui diritti Lgbt negati che il premier canadese Justin Trudeau ha lanciato in faccia al premier Giorgia Meloni nel corso del bilaterale Italia Canada a margine del G7 di Hiroshima, ha tutta l'aria di essere uno stress test. Trudeau si è detto «preoccupato» per come l'Italia non rispetti alcuni diritti in ambito gay e le sue parole hanno colto alla sprovvista il premier italiano che non si aspettava un attacco così virulento e improvviso.
Che si sia trattato di un modo per testare la tenuta e i nervi del nostro Paese, però, lo dimostrano le successive reazioni di Palazzo Chigi, che, gettando acqua sul fuoco, si è detto sorpreso rispondendo che il governo sta seguendo le decisioni dei tribunali e non si sta discostando dalle precedenti amministrazioni. Il motivo del contendere, evidentemente, sono le polemiche che infuriano nel nostro paese sull'utero in affitto. Effettivamente, il Governo a buon diritto può affermare che sul punto le leggi non sono cambiate, ma la reazione è parsa quella di giocare in difesa di fronte ad un'ingerenza nella politica italiana che sa di arroganza.
Invece di rispondere che non è cambiato nulla, quasi a voler rassicurare il partner, si sarebbe dovuto far valere, secondo il principio di reciprocità, il fatto che a destare preoccupazione, piuttosto, fossero le politiche portate avanti dal Canada in questi anni, che l'hanno fatta diventare un'avanguardia dei nuovi diritti del transumano.
Con la gestione Trudeau, infatti, lo stato nordamericano è diventato un Paese al quale davvero guardare con preoccupazione: con lo sdoganamento totale e incondizionato dell'eutanasia, ad esempio, oggi il Canada è uno dei primi stati eugenetici al mondo, che si accinge a liberalizzare l'eutanasia a tutti i livelli, anche per i malati mentali; inoltre, ha fatto le prove generali di totalitarismo soffocando col manganello le proteste anti-vaccinali dei camionisti, vuole vietare le terapie riparative, mentre i suoi giudici sdoganano il poliamore e la cannabis. A causa di queste politiche oggi il Canada non può certo insegnare i diritti all'Italia, ma il punto non è questo.
ITALIA SULLA DIFENSIVA
Il punto è la reazione sulla difensiva del nostro governo, che, invece di rispondere rivendicando il diritto, non a proseguire in una continuità scivolosa, ma a segnare un cambio di passo anche di fronte all'arroganza dell'agenda Lgbt, cerca invece di tranquillizzare il prepotente interlocutore. Questo giocare sulla difesa è un segnale di debolezza, che è figlio di un atteggiamento di omologazione verbale del Governo al nuovo verbo Lgbt.
Se da un lato, infatti, la Meloni e la sua maggioranza sono compatti nell'opporsi a qualunque forma di legalizzazione della cosiddetta gestazione per altri e che vede nella proposta di legge dell'utero in affitto come reato universale la sua azione più muscolosa, dall'altro non si può certo dire che il Governo si discosti da un sentire politico pericolosamente vicino alle rivendicazioni Lgbt.
Non più tardi di mercoledì, infatti, durante la Giornata contro l'omofobia, il Governo non ha fatto mancare il suo appoggio ad una battaglia che di fatto sdogana e fa proprie le rivendicazioni e le pretese della gaycrazia.
Non c'è stato solo il presidente Mattarella che ha parlato dell'omofobia come «piaga sociale», ma anche il premier Meloni ha sostanzialmente accettato il concetto di omofobia, dicendo parole di sostegno alle campagne antidiscriminazione e auspicando lo sblocco delle risorse necessarie per il rifinanziamento dei centri contro le discriminazioni. Il fatto è che questi centri, sono veri e proprio campi di rieducazione, il più delle volte gestiti da quelle stesse associazioni che portano avanti il verbo dell'omosessualismo, discriminando - secondo la logica imposta dal Ddl Zan - chi non la pensa come loro.
Anche il voto bipartisan del Senato, che ha approvato una mozione contro l'omofobia, va nella direzione dell'accettazione di una parola - omofobia - che non è ancora diventata reato, ma che ormai è completamente ammessa come reato nell'immaginario comune. E così la circolare del Ministro dell'Istruzione Valditara, il quale ha invitato le scuole a celebrare la Giornata, con una solerzia che non si vede ad esempio nei confronti di un'emergenza - vera - come la cristianofobia.
UN GRAVE ERRORE
E questo è un errore, anzitutto perché allora non si coglie la differenza su questi temi tra la Destra e la Sinistra e poi perché accettare che esista l'omofobia, significa scendere a patti con la dittatura Lgbt, abbracciando un'agenda che impone, discrimina e tappa la bocca agli altri.
Eppure, che l'Italia non corra alcun pericolo in tal senso, lo dimostrano i dati, come ad esempio quelli del rapporto Oscad che indicano come nel nostro Paese non esista nessuna «emergenza omofobia». In base agli ultimi dati dell'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, nel 2020 ci sono state 69 segnalazioni totali per dichiarati «crimini o discorsi d'odio» per «orientamento sessuale» (61) e «identità di genere» (8). Ce ne sono state di più, per rendere l'idea, per il credo religioso (148) e per la razza/etnia/nazionalità (206). Alla faccia della «piaga sociale».
A che gioco vuol giocare il Governo? Se si riconosce la «piaga sociale» che, attraverso l'affermazione di autoproclamati reati e diritti violati, impone la violenza del concetto di omofobia, allora, non c'è da stupirsi che un premier ultralaicista come Trudeau rimproveri all'Italia di non tutelare certi diritti, per il semplice motivo che sdoganare l'omofobia, significa accettare che per essa si debba seguire una precisa agenda, dentro la quale sta anche l'utero in affitto.
Se invece si è forti della propria autonomia di pensiero, allora, così come si rifiuta la compravendita di bambini per l'affermazione degli egoismi dei grandi, si deve anche avere il coraggio di rifiutare il pensiero ormai dominante del linguaggio inclusivo, che ha imposto l'omofobia come reato, anche se non c'è un solo articolo del codice penale che lo inquadri.
Solo così si potrà rispondere a testa alta alle arroganti ingerenze di capi di Stato dai quali non accettiamo lezioni.
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