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« Torna agli articoli di Anna Bono
La ong peruviana Glaciares è tra i vincitori del concorso bandito nel 2009 dalla Banca Mondiale (organo ONU) “100 idee per salvare il pianeta”. Ha vinto con un progetto che consiste nel dipingere di vernice bianca le montagne del Perù: il bianco riflette le radiazioni solari, le superfici dipinte di questo colore non assorbono calore e quindi, imbiancando le montagne, se ne salveranno i ghiacciai che, se no, secondo ricerche commissionate dalla Banca Mondiale stessa, scompariranno del tutto entro i prossimi 20 anni per effetto del global warming. Eduardo World Gold è il responsabile scientifico del progetto da realizzarsi utilizzando una vernice fatta di calce, acqua e bianco d’uovo che va spalmata a mano, senza macchinari “per proteggere gli animali e mostrare rispetto verso Apu, lo spirito tutelare che abita nelle viscere di ogni montagna”. Grazie a un finanziamento di 200.000 dollari della Banca Mondiale, sei persone (quattro scelte tra gli abitanti dei villaggi locali e due tra il personale della Glaciares) hanno già incominciato a pitturare di bianco le pareti oltre i 4.700 metri di altezza del Monte Chalon Hat, nella regione andina di Ayacucho. In 15 giorni dovrebbero dipingere i primi 20 ettari e poi proseguire fino a ricoprirne 70. Ma 3.000 chilometri di Ande aspettano di essere salvati. Significativo il commento del ministro dell’ambiente peruviano: “Si tratta di una stupidaggine immensa”. Volendo articolare il giudizio lapidario del ministro, si può dire innanzi tutto che gli spiriti della natura magari non sono così ostili ai macchinari come si tende a credere. Ma, a essere seri, altri interrogativi si pongono. Se, ad esempio, la vernice non reggesse all’impatto con gli agenti atmosferici, che conseguenze sull’ambiente potrebbero avere tutta quella calce e quella chiara d’uovo che, o sciogliendosi o scrostandosi via via, si depositerebbero a valle per chilometri mescolandosi al terreno, in parte portati via dal vento chissà dove, quindi involontariamente respirati e inghiottiti ovunque da uomini e animali? Per contro, se per qualche controindicazione si rendesse necessario sverniciare le montagne, sarebbe possibile farlo senza danneggiare l’ecosistema con solventi e detriti? E quanto costerebbe? Ma l’interrogativo più importante riguarda la certezza che la temperatura della Terra stia davvero aumentando inesorabilmente e che si tratti di un fenomeno incessante, destinato a durare per generazioni, forse per sempre. Se così fosse, in effetti meglio sarebbe intraprendere quanto prima progetti per limitare eventuali danni derivanti dal global warming. Un capitolo del libro dell’ambientalista danese Biorn Lomborg, Stiamo freschi (Mondadori, 2008), spiega che le temperature nei centri urbani si possono ridurre di 8-10 gradi dipingendo di bianco strade ed edifici, piantando alberi ed espandendo le aree verdi. Nei frequenti summit internazionali dedicati a questioni ambientali, si avanzano richieste esorbitanti di fondi destinati alla prevenzione e al contenimento del global warming e dei danni da esso provocati. Durante l’ultimo vertice sul clima organizzato dalle Nazioni Unite lo scorso dicembre a Copenhagen i paesi africani da soli reclamavano addirittura 60 miliardi di dollari all’anno. Se dunque il pianeta si mobilitasse in uno sforzo titanico per combattere l’aumento delle temperature, investendo a tal fine ogni risorsa disponibile come chiedono a gran voce le organizzazioni ambientaliste e umanitarie e i capi di stato di molti paesi poveri, che cosa succederebbe se poi il riscaldamento temuto non si verificasse oppure se continuassero ad alternarsi periodi in cui le temperature aumentano e periodi in cui diminuiscono, come è accaduto nei secoli passati? Nell’eventualità non così remota di una nuova piccola glaciazione, e tenendo conto come afferma lo stesso Lomborg che il freddo fa assai più vittime del caldo, niente di peggio che trovarsi con intere metropoli dipinte di bianco e senza risorse sufficienti per lottare contro il freddo avendone spese troppe per evitare il surriscaldamento del pianeta. In altre parole, poiché sembra effettivamente impossibile sapere che tempo farà tra dieci o cento anni, la presunzione di poterlo prevedere e la pretesa di predisporre i necessari adattamenti può risultare troppo cara anche per una civiltà ricca e tecnologicamente avanzata come la nostra. L’umanità finora è stata capace di adattarsi all’ambiente e di metterne a frutto le risorse: fin dall’inizio ha affrontato i problemi ambientali man mano che si presentavano, con risultati sempre più soddisfacenti grazie ai costanti progressi scientifici e tecnologici. Può riuscirci ancora, a condizione di non farsi accecare da ideologie e da deliri di onnipotenza che attribuiscono all’uomo nel bene e nel male un potere di cui non dispone.
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