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« Torna agli articoli di Benedetta Frigerio
Un giudice inglese è stato rimosso dal suo incarico per «colpa grave»: aver sostenuto che è meglio affidare un bambino a una mamma e un papà piuttosto che a due presone dello stesso sesso. Il provvedimento contro Richard Page, magistrato 69enne in carica da 15 anni presso il tribunale delle famiglie del Kent, è stato autorizzato la settimana scorsa dal ministro della Giustizia Michael Gove e dal presidente della Corte suprema, Lord Thomas di Cwmgiedd.
Nel 2014, il giudice emise una sentenza su un caso di affido da cui partì un'indagine disciplinare che si concluse con l'obbligo per Page di partecipare a corsi di aggiornamento rieducativi. L'ufficio preposto spiegò nella motivazione che in quel processo «il giudice si è lasciato influenzare dal suo credo religioso piuttosto che dall'evidenza». Quale evidenza? In una intervista alla Bbc nella primavera del 2015, Page chiarì: «La mia responsabilità come magistrato è di fare ciò che considero il meglio per i bambini e il mio sentore era che il meglio per lui (il bambino coinvolto nella vicenda, ndr) fosse che i suoi genitori adottivi fossero un uomo e una donna».
Quell'intervista alla tv britannica è costata al giudice un'ulteriore indagine, fino alla decisione della sua rimozione definitiva, con l'accusa di «faziosità e pregiudizio». Facendo leva proprio sul concetto di evidenza, Page si è difeso spiegando che riguardo ai caso di adozione da parte di persone dello stesso sesso, non c'è ancora stata una «corretta analisi sugli effetti di tali collocamenti sui bambini», ma «io, come magistrato, devo agire sulla base delle prove. E, molto semplicemente, credo che non vi siano prove sufficienti a convincermi che affidare un bambino alle cure di una coppia dello stesso sesso possa essere, dal punto di vista olistico, un bene per un bambino anziché affidarlo a una mamma e un papà come Dio e la natura vogliono».
Adesso, dopo la rimozione dall'incarico, il magistrato ha deciso di denunciare il ministro Gove, rimproverandogli di «assecondare la nuova ortodossia politica» e di aver preso una «decisione profondamente illiberale e intollerante». «Sono inorridito - spiega - da come stanno andando le cose. E che i cristiani vengano emarginati così». Page dice inoltre di essere «infastidito» dal fatto che «persone che dicono di avere una visione cristiana se la prendano con me per la mia visione cristiana, e fra queste c'è Michael Gove». Andrea Minichiello Williams, l'avvocato del Christian Legal Center che difende Page, ha ricordato infine che il giudice ha anche prestato servizio per lungo tempo il Servizio sanitario nazionale, guadagnandosi la stima per la sua «competenza», motivata proprio dalla «fede cristiana e dalla profonda compassione per le persone».
Nota di BastaBugie: Andrea Zambrano nell'articolo sottostante dal titolo "Gender, nel Pd partono le purghe per chi si oppone" mette in luce il fatto che a Bologna un candidato in lista col sindaco uscente Merola, dopo aver criticato le repressioni per i genitori che si oppongono alle lezioni gender, il Pd lo caccia seduta stante.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La nuova Bussola Quotidiana il 18-03-2016:
Quando il partitone rosso si chiamava Partito Comunista il rischio era quello di farsi cacciare perché contrari alla politica totalitaria di Stalin. Accadde così con i Magnacucchi, Valdo Magnani e Aldo Cucchi, i quali vennero espulsi nel 1951 perché osarono criticare la politica egemonica dell'Urss. E il Migliore, Palmiro Togliatti, non ebbe pietà nemmeno del povero Magnani, che era primo cugino della sua amante Nilde Iotti.
I tempi sono cambiati, il Pci si chiama Partito Democratico, ma non i metodi: l'unica differenza è che questa volta non servono i congressi per ratificare certe purghe. Bastano dei post su Facebook, opportunamente monitorati a pochi giorni dalla chiusura delle liste.
A Bologna può capitare di essere cacciati dalla squadra del sindaco uscente Virginio Merola per aver semplicemente espresso un'opinione. Quale? Essere contrari all'educazione gender nelle scuole. Il bolognese Paolo De Fraia, classe 1961 era entrato come indipendente nella lista a sostegno della ricandidatura del primo cittadino che si presenta alle prossime elezioni per riconquistare Palazzo d'Accursio. Un passato nell'Udc, vicino alla Cisl. Insomma: la sua poteva essere la classica candidatura per dare alla quota cosiddetta cattolica uno strapuntino di rappresentanza.
Ma De Fraia non aveva fatto i conti con la terribile macchina della repressione. Che lo ha estromesso dalla lista per le sue opinioni antiabortiste e antigender. Galeotto un post su Facebook nel quale il candidato Pd metteva a nudo le sue opinioni in fatto di lezioni genere tra i banchi. De Fraia ha condiviso un articolo di Tempi che raccontava di come in Germania una 40ina di genitori fossero stati messi in carcere perché si erano opposti a far partecipare i figli alle lezioni gender oriented che anche là vanno forte.
Un commento che non è piaciuto ai vertici del partitone rosso ha fatto il resto: «Non è una bufala. E' la triste realtà dell'avvento del regime di un nuovo ordine mondiale. Questa è discriminazione violenta». Apriti cielo. De Fraia è stato estromesso seduta stante con il solito fumoso rito della mistificazione: «Posizioni e ragionamenti di uno dei candidati che nulla hanno a che fare con il profilo politico del Pd di Bologna e con l'impegno in favore di un allargamento dei diritti», ha sentenziato dandogli il raus il segretario Dem sotto le due torri Francesco Critelli. Almeno per i Mangnacucchi ci volle un congresso per cacciarli. Qui è bastato molto meno.
L'interessato si è stupito: «Lo sanno da sempre come la penso su certi temi», ma evidentemente bisognava dare un messaggio chiaro ad altri malintenzionati che per caso avessero l'ardire di tentare la carriera politica del Pd. Chi si oppone alle teorie gender o chi si dichiara antiabortista andrà cacciato.
Queste sono le purghe 2.0 del Pd di rito renziano? Sembra proprio di sì anche a giudicare dalla sostanziale facilità di repressione. Nessuna protesta, tutti zitti. Anche quelli che pontificano su libertà d'opinione e di parola. La vicenda non è sfuggita al candidato sindaco del Popolo della famiglia Mirko De Carli che ha offerto a De Fraia un posto in lista. E neppure al leader del neonato movimento Mario Adinolfi che ha fatto notare come ormai nel Pd opporsi a certe derive sia diventata un'onta mentre difendere la maternità surrogata, che ad oggi è ancora è un reato, invece sia un punto di merito.
Il posto di De Fraia è stato preso da un altro militante Dem, tal Davide Di Noi. Dove il Di Noi, oltre che il cognome, deve essere probabilmente anche una garanzia di appartenenza ai dettami del nuovo ordine mondiale che il Pd ha ormai imposto nel suo dna genetico.
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