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A proposito delle recenti polemiche sul 20 settembre e sulle multe alle prostitute…
Ieri Paolo Franchi, sul Corriere della sera, metteva in guardia dal tentare qualsiasi “revisionismo storico” sul Risorgimento per non cadere nel “ridicolo” e non mettere in pericolo lo stesso stato nazionale. In pratica Franchi scomunica il cosiddetto “uso pubblico della storia”.
Gli consiglierei di leggersi qualche libro di Paolo Mieli, storico anticonformista nonché direttore del Corriere della sera su cui lui scrive. Mieli infatti si spinge da anni, con intelligenza, proprio verso quei “lidi fino a qualche tempo fa inimmaginabili” che paventa Franchi. L’attuale direttore del Corriere è arrivato a sottoporre ad analisi critica – per usare le parole di Franchi - proprio i “miti fondativi della storia nazionale”. Anche perché è davvero stravagante che chi fa professione di laicità voglia imporre il bigottismo dei miti, che diventano dogmi storiografici intoccabili.
Nel volume intitolato “Storia e politica. Risorgimento, fascismo e comunismo”, Mieli inizia proprio così: “Ma perché la Sinistra italiana (diciamo meglio: parte della Sinistra) si accanisce a tal punto contro il cosiddetto uso pubblico della storia spingendosi a dar la caccia agli untori anche nel proprio campo? Davvero pensa che esista qualcuno che abbia ordito una congiura per mandare all’aria lo Stato democratico e repubblicano, rivisitando criticamente il Risorgimento, il fascismo e il comunismo?”. Poi dimostra che da 2.500 anni “politica e storia sono sempre andate assieme”, aggiunge che da 2.500 anni “il mestiere dello storico” è sempre stato di “revisionare criticamente” ciò che è stato tramandato. E conclude – Mieli – che i problemi di oggi derivano proprio “da quel che è rimasto in ombra nella discussione su come è nata l’Italia”. Per esempio: “il dibattito storiografico sul Risorgimento fu quasi del tutto sordo alle ragioni dei vinti”.
Infine Mieli, nel volume “Le Storie. La storia” cita un convinto risorgimentale come Alfonso Scirocco che scriveva: “Gli interrogativi sulle scelte operate nel 1861 e confermate nei decenni successivi sono legittimi. Nascono da un’esigenza attuale, quella di trarre dall’indagine intorno alle radici dell’Italia odierna risposte convincenti sulla debolezza del nesso nazione-società-Stato, che sembra non avere avuto fin dall’inizio la saldezza desiderata”. Anzi, il suddetto direttore del Corriere concludeva uno di questi suoi saggi affermando che “le divisioni sono benefiche” e auspicava che, anche sul Risorgimento, “ci si possa sanamente dividere e contrapporre senza avvertire il pericolo che vada a morire l’intera dialettica democratica”.
Esattamente il contrario dell’editoriale di Franchi che si chiudeva proprio evocando il rischio della “morte” (di che?) a causa del “revisionismo storico”. Un’ultima puntura polemica a Franchi. Sia l’editorialista, sia altri storici, in questi giorni hanno fatto di tutta l’erba un fascio, accomunando gli sconfitti del 20 settembre 1870 a Porta Pia, agli sconfitti del 1945. Mi sembra ingiusto e assurdo. Non tutti i vinti hanno torto. I nazisti erano un esercito occupante che, fra l’altro, in Italia, si macchiò di stragi orrende. Mentre lo Stato Pontificio era uno stato sovrano, più antico e anche più italiano di quello piemontese (nel quali i Savoia parlavano addirittura francese). Quindi nel 1870 vinsero gli occupanti e gli aggressori. Nel 1945 vinsero i liberatori. C’è una bella differenza. Non confondiamo storie diverse. E mi pare giusto che dopo 130 anni il Comune di Roma possa ricordare anche i romani che difesero lo stato pontificio (peraltro Pio IX aveva dato ordine di resa per evitare inutili spargimenti di sangue). (...)
1) quello stato pontificio era del tutto legittimo (come e più degli altri stati italiani: il Regno delle due Sicilie, quello piemontese e il Granducato di Toscana); 2) il potere temporale dei papi nascendo fu la salvezza dell’Italia: lo ha dimostrato uno storico anticlericale come Edward Gibbon; 3) l’invasione dello stato pontificio da parte dello stato piemontese, con la confisca di una quantità immensa di beni appartenenti alla Chiesa (e la persecuzione dei religiosi, cacciati dai conventi) è una clamorosa ingiustizia e non ha alcun fondamento giuridico e morale; 4) i Patti Lateranensi sono stati solo un parziale risarcimento; 5) la conquista militare piemontese degli altri stati italiani è stato il peggior modo di fare l’unità d’Italia. Perché l’hanno fatta contro gli italiani. Così ci è stato inflitto uno stato centralista e burocratico, che ha defraudato il Meridione (e non si è più ripreso), che si è fondato sul debito pubblico, e ha dato inizio a una industrializzazione assistita che ha viziato fin dalla nascita la nostra economia. E’ infine lo “Stato etico” ed elitario del Risorgimento (dove votava una piccolissima minoranza) che ci ha portato all’immane tragedia della Grande Guerra e al fascismo.
Tragedie dovute al fatto che la casta risorgimentale al potere in sostanza tenne fuori dallo Stato gran parte della nazione che era contadina e cattolica. “L’Italia” ha scritto Ernesto Galli della Loggia “è l’unico Paese d’Europa (e non solo dell’area cattolica) la cui unità nazionale (…) sia avvenuta in aperto, feroce contrasto con la propria Chiesa nazionale”. Così, cito ancora Mieli, “tra il 1861 e il 1915, il popolo anziché essere una riserva di consenso, costituì un problema per le élites liberali che fecero l’Italia. Con conseguenze drammatiche nella definizione dei modi di fare e di intendere la politica”. Com’è noto a tutti – eccetto ai faziosi – Pio IX era un convinto patriota italiano e il suo progetto di Italia federale era di gran lunga il più realistico e pacifico. Attraverso il Rosmini tentò di mettere d’accordo i vari stati italiani, fra estate 1847 e autunno 1948, sul modello dello Zollverein tedesco (che poi è la via che è stata praticata dalla comunità europea).
Quel progetto, che era realizzabilissimo, avrebbe risparmiato alla nostra nazione una gran quantità di vite umane e una enorme dissipazione di denaro pubblico. Inoltre ci avrebbe evitato tutti i problemi – a partire dalla questione meridionale – che ci portiamo dietro da due secoli. E avrebbe valorizzato le diverse identità culturali locali, di cui l’Italia è ricca. Il progetto d’Italia federale di Pio IX fallì per colpa del no del Piemonte che coltivava il suo progetto di espansione dinastica grazie all’appoggio di forze e potenze internazionali che avevano interesse a spazzar via il papato e ad avere un’Italietta succube e sottomessa alla loro politica estera. Oggi che si torna a parlare di federalismo si può riconoscere una certa lungimiranza a Pio IX ? Anche perché il federalismo di quel momento storico innescava una dinamica unitaria fra i diversi regni italiani, quello di oggi rischia di innescare spinte centrifughe. Perciò, paradossalmente, va realizzato con il sentimento nazionale da cui era animato Pio IX, che può essere il punto di incontro ispirativo sia dei federalisti, sia di chi ha a cuore l’unità nazionale.
Certo l’episodio del 20 settembre scorso, col vicesindaco Cutrufo, può essersi prestato ad equivoci. Ma sarebbe intelligente se proprio dal Comune di Roma venisse la spinta culturale e politica a superare antiche faziosità e a coniugare il federalismo col sentimento nazionale, le identità con l’unità. Questa sarebbe grande politica.
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