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LA POLITICA DEL FIGLIO UNICO IN CINA: MENO BAMBINI, PIU' MAIALI
di Francesco Agnoli
 

Quando i primi missionari gesuiti arrivarono in Cina, nel XVI secolo, rimasero affascinati dal popolo cinese, dalla sua intelligenza e dalle sue tradizioni, e cercarono di diventare anch'essi cinesi, nel vestiario e nelle usanze.
C'è una cosa, però, scrivevano alcuni di loro, che ci lascia interdetti: i cinesi uccidono spesso i loro figli, e, soprattutto, le bambine. Oggi sappiamo che prima che il cristianesimo si affermasse, l'infanticidio era considerato legittimo in tutte le civiltà, compresa l'antica Roma. Perché i bambini non godevano di grande considerazione e a farne le spese erano soprattutto le bambine, considerate sovente più costose e meno utili.
Il libro che esce in questi giorni, "Strage di Innocenti. La Politica del Figlio Unico in Cina", per l'editore Guerini, a cura della Laogai Foundation di Harry Wu e di Antonello Brandi ci racconta però una verità ben più spaventosa: l'infanticidio è oggi, in Cina, un fenomeno massiccio, di proporzioni mostruose, che coinvolge milioni di vittime innocenti; affidato non più solo alla libera iniziativa dei genitori, ma determinato e imposto dallo stato comunista.
In Cina vi è infatti una pianificazione familiare che prende il nome di "politica del figlio unico", e che dietro le conclamate giustificazioni economiche e sociali, consiste, in pratica, "in aborti e sterilizzazioni forzate, pestaggi, multe e distruzione delle proprietà". Accade in questo grande paese che lo stato pianifichi non solo la produzione industriale e agricola, ma anche la riproduzione: "Le nascite devono essere stabilite dallo stato. Per le donne che hanno più di due bambini o che aspettano il primo figlio senza l'approvazione di una 'cellula del controllo della popolazione', la punizione è rapida e dolorosa".
Nella Cina odierna, insomma, l'utopia comunista trova piena applicazione secondo le sue più antiche formulazioni. Lo stato cinese infatti non è soltanto il detentore della proprietà, ma, come nella "Città del Sole" di Campanella, anche il sostituto del padre e della madre, a cui spetta il "diritto totale e incondizionato", come scriveva il comunista russo Preobrazenskij, di "intervenire con le sue regole fin nella vita sessuale...". Così la pianificazione quinquennale di Stalin diviene pianificazione rigida sulla famiglia: "Lo stato decide quanti bambini può avere una famiglia e a che distanza di tempo l'uno dall'altro, in base alle esigenze dello sviluppo economico.
Secondo la politica demografica della Cina ogni coppia può avere solo un bambino; in zone rurali una coppia può avere un secondo figlio solo se il primo è femmina; e solo una minoranza nazionale di coppie può avere due figli. Tutte le nascite devono essere approvate in anticipo, in base alle quote assegnate dal governo centrale; i bambini in tutte le aree della nazione devono nascere secondo i numeri imposti per quel dato anno: 'I trasgressori saranno puniti'".
Per comprendere quanta importanza il governo dia al suo controllo sulla salute riproduttiva dei cittadini, basti segnalare alcuni degli slogan in voga nel paese: "Meglio dieci tombe che una nascita fuori piano"; "Una sterilizzazione fa onore a tutta la famiglia"; "Meno bambini, più alberi! Meno bambini, più maialini da fattoria"...
Eppure la politica del figlio unico non è all'origine della dittatura cinese: dal 1949 al 1964, infatti il governo incoraggiò fortemente la crescita della popolazione, in nome della potenza del paese, in perfetta linea con la concezione che le dittature statolatriche hanno della famiglia, come mezzo per la produzione di cittadini, lavoratori, contribuenti e soldati. Dal 1965 al 1978, invece, lo stato fece retromarcia ed incentivò la pianificazione familiare volontaria. Solo nel 1979 si è affermato il controllo demografico obbligatorio, condotto da oltre 500 mila addetti sparsi sul territorio, con poteri immensi.
Ma quali sono le ricadute sociali e umane di una simile politica, che contempla sterilizzazioni forzate di massa, aborti tardivi definiti ipocritamente "parti indotti", e infanticidi? Sarebbe facile immaginarlo ricordando quanto successo nella Russia comunista dopo il 1917, allorché la legalizzazione del divorzio e dell'aborto aveva causato l'aumento esponenziale degli uxoricidi, degli aborti, degli infanticidi e dell'abbandono di bambini negli orfanotrofi, tanto che Stalin aveva dovuto fare parziale marcia indietro per evitare il collasso della struttura sociale e il decremento demografico. Ebbene oggi in Cina la politica del figlio unico porta con sé un rapido "invecchiamento della popolazione", con le inevitabili conseguenze che questo comporterà nel lungo periodo per gli anziani e la loro tutela; un sistematico abbandono di bambini, che dà vita ad un intenso traffico di esseri umani, e l'eccidio delle bambine": "in Cina vi sono 119 neonati ogni 100 neonate mentre la media mondiale è di 107 maschi e 100 femmine". Connesso a quest'ultimo fatto si registrano "un aumento della criminalità" e la crescita di "industrie del sesso" e della prostituzione, quando non si arriva addirittura al rapimento delle donne (migliaia di vietnamite vengono vendute ai cinesi che, rimasti senza connazionali, le comperano come mogli). Vi sono infatti decine di milioni di cinesi "che non possono sposarsi perché le loro potenziali spose sono state uccise o abbandonate alla nascita". A ciò si aggiunga l'incremento continuo del suicidio, di madri che non riescono a sopportare le violenze subite sul loro corpo e sui loro bambini dentro o fuori dal grembo materno: "Infatti, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità la Cina ha la maggior percentuale del mondo di suicidi femminili ed è l'unica nazione dove la maggioranza dei suicidi sono compiuti da donne e non da maschi, come in tutti gli altri paesi. Secondo un reportage della Bbc News, ogni anno in Cina circa 1,5 milioni di donne tentano di suicidarsi e circa 500 al giorno vi riescono". A ciò si aggiungano, per concludere, l'alto tasso di "bambini senza esistenza legale", cioè bambini non "dichiarati", "non registrati dalle famiglie anche a rischio di multe e punizioni, per poter avere un secondo figlio", che dunque vivranno senza possedere alcun diritto riconosciuto; e i bambini abbandonati nei casi di divorzio: "Infatti, quando due coniugi divorziano e desiderano avere un figlio con il nuovo partner, dato che la regola impone di averne soltanto uno, non è raro che abbandonino il primo".

 
Fonte: Il Foglio, 18 luglio 2009