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Il regista romagnolo Castellucci, quello del volto di Cristo imbrattato di escrementi, deve essere proprio ossessionato dalla religione. Un lettore mi ha indirizzato verso la newsletter di gennaio della TFP (associazione internazionale Tradizione-Famiglia-Proprietà), dove compare la traduzione di un'intervista rilasciata da Castellucci alla rivista australiana Real Time Arts (n. 52, dicembre-gennaio 2002). Infatti, al festival di Melbourne, il regista aveva presentato la sua opera titolata Genesis.
Così viene presentata detta pièce sulla Genesi dalla rivista: «Meno nota, invece, è la versione mistica giudaico-cristiana che troviamo nello Gnosticismo, nella Cabala e nella filosofia Rosacroce. È questa la versione che Castellucci ci presenta (…). Castellucci attinge alle stesse tradizioni che hanno ispirato artisti come Baudelaire, Antonin Artaud (…). In questa versione più tenebrosa della Genesi, l'atto creativo non è frutto dell'amore, ma di un terribile errore (…). Non è l'Amore che regna nell'universo, ma la Crudeltà. Non è l'uomo ad aver peccato, ma Dio. Tutta l'arte e il teatro di Castellucci costituiscono una storia che racconta questo atto iniziale di violenza primordiale». Artaud, tra parentesi, è il fondatore della scuola detta Teatro della Crudeltà.
L'intervista, a cura di Jonathan Marshall, si intitola «L'Angelo dell'arte è Lucifero». Così esordisce l'intervistatore: «Lei ha detto che "la Genesi mi spaventa più dell'Apocalisse" perché rappresenta "il terrore delle possibilità senza fine". Questo sembra essere ispirato agli scritti di Antonin Artaud e di Herbert Blau, nonché alle dottrine gnostiche e cabalistiche che ispiravano Artaud. Lei è d'accordo con le idee di solito associate a questa cosmologia? Per esempio, Artaud sosteneva che prima della creazione regnava un caos terrificante, che è poi rimasto per sempre presente, latente o immanente all'interno dell'esistenza quotidiana. Egli ha sostenuto che questo caos è il vero senso del teatro. L'obiettivo più alto, la virtù più eminente del teatro sarebbe quindi di poter rappresentare — o almeno avvicinarsi a rappresentare — il caos attraverso una performance dal vivo?». La risposta è in perfetto stile artistico, cioè piuttosto fumosa (chi conosce il modo di esprimersi degli artisti contemporanei non si stupirà), però emerge una frase indicativa: «Ciò che io e i miei colleghi abbiamo cercato di fare nel corso degli anni è di portare lo scandalo scenico al parossismo e di mantenerlo sempre vibrante».
Altra domanda (l'intervistatore sembra avere le idee più chiare): «Lei è d'accordo che ogni atto creativo sia un atto di violenza? O per lo meno una violazione del tabù contro la Creazione? Ho in mente qui la sua dichiarazione che Lucifero, l'angelo caduto, sarebbe il primo artista con cui l'umanità si debba identificare». Segue un commento che potrebbe essere anche condivisibile nella sua ambiguità, ma neanche Castellucci sa resistere a presentare se stesso come il genio artistico a cui si perdona la sconclusionatezza, un linguaggio in cui era maestro lo scomparso Carmelo Bene: «Che senso ha ripetere oggi queste parole che costituiscono l'incipit del Genesi? Queste parole del Genesi sono le stesse che hanno causato l'esistenza del mondo e, quindi, anche l'esistenza del palcoscenico. L'unica persona che ha potuto reggere il peso di queste parole creative, e che per prima ha parlato in "doppia forma", il primo che ha assunto le vesti di un altro, è Lucifero. In tutta la storia dell'umanità, Lucifero si è sempre mostrato in travestimenti e costumi, adottando le parole di qualcun altro. Ha fatto questo sin dal Principio, quando ha rivestito la pelle del serpente e la lingua del serpente. Per la prima volta egli ha parlato per bocca di qualcun altro, facendo al serpente dire: "Ma è proprio vero ciò che Dio ha detto?", e creando così una forma di mimetismo, una forma di duplicazione del linguaggio. Lucifero è il primo ad aver esplorato la sovrabbondanza del linguaggio, avvalendosi del teatro come fonte di energia, dando così origine all'arte stessa».
Qualunque cosa ciò voglia dire. Infatti: «Il mio spettacolo Genesis non è solo il libro biblico della Genesi, ma è anche una genesi che reca al mondo, usando il palcoscenico, le mie proprie pretensioni di creare un mondo. Lo spettacolo mette in scena gli aspetti più volgari del mio essere, cioè l'artista che vuole rubare a Dio l'ultimo e più importante Sefirot. Questa è la maggiore gioia dell'artista: rubare a Dio. (…) In sintesi, la Genesi mi spaventa molto di più dell'Apocalisse. (…) L'Angelo dell'Arte è Lucifero. È Lui il primo che assume le sembianze e le fattezze di un altro. È Lui il primo ad aver sdoppiato il linguaggio, salvo poi tradurlo. È Lui il primo, e l'unico, ad aver dominato l'arte della trasformazione. Egli proviene dalla zona del non-essere. L'unica possibilità per lui di tornare alla zona dell'Essere è farlo con la voce, il corpo, il nome di un altro. A questo serve il teatro. Questa zona del non-essere è la zona genitale di ogni atto creativo».
Ai lettori il giudicare. Suggeriamo una chiave: lo scandalo, l'ambiguità espressiva, l'insistenza sui simboli di una religione che, a differenza di altre, porge l'altra guancia sono mezzi utilissimi, anche se frusti, per portare la gente in teatro e pagare gli stipendi a chi non si rassegna a guadagnarsi il pane senza rompere le scatole al prossimo.
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