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Sei mesi di tempo non sono sufficienti a caratterizzare definitivamente l'azione di un governo, ma rappresentano un periodo sufficientemente significativo per valutarne correttezza d'impostazione in relazione alle problematiche da affrontare, nonché per valutare l'efficacia della politica intrapresa misurata sui risultati già acquisiti od attesi nel breve-medio termine, o intravedibili in prospettive di largo respiro temporale. Cosa è allora successo in questi sei mesi? Per fare un confronto oggettivo ci affidiamo alla logica razionale ed all'obbiettività delle cifre e dei dati rilevati agli inizi di gennaio 2012 ed adesso a fine maggio.
A gennaio l'indice di borsa FTSE Mib stava a quota 15.500, ora è sceso sotto quota 13.000 ed i titoli si sono svalutati mediamente del 18%. Lo spread tra i Btp decennali e le Bundesobligazionen che era schizzato a 575 punti il giorno in cui è stato "dimissionato" Berlusconi, s'è poi assestato attorno a 450 punti, con puntate sopra a 500, scendendo solo per qualche giorno sotto quota 400 ma mantenendosi molto al di sopra del valore medio attorno ai 300 punti fatto registrare dal precedente governo. Nel frattempo abbiamo perso trentamila imprese, per lo più piccole imprese industriali, laboratori artigianali e negozi a conduzione familiare, e la produzione industriale è crollata quasi del 10%.
La disoccupazione che a fine 2011 faceva registrare un dato dell'8,6%, con il 31% di quella giovanile e di oltre il 40% quella della donne, ora ha raggiunto quota 10%, con punte del 38% tra i giovani e superiore al 50% tra le donne. E questi dati non tengono neanche conto dei tre milioni di persone che si arrangiano o si fanno mantenere da genitori, amici, parenti o comunità, in quanto hanno pure perso la speranza di trovare un lavoro ed hanno smesso di cercarlo. Il debito pubblico a fine novembre 2011, con la manovra del precedente governo, era tornato sotto quota 1900 mdi, precisamente a 1898 mdi di euro come rilevato da Bankitalia, dopo che a luglio del 2011 si era raggiunta la quota record di 1911.
Un trend nettamente in discesa che ha subito una drastica inversione di rotta col governo Monti: il 27 aprile di quest'anno ha sfondato quota 2.000 miliardi di euro, portando l'indebitamento, cioè il rapporto tra debito e PIL, dal 119,3% lasciato in eredità dal duo Berlusconi-Tremonti ad oltre il 125 %, perché nel frattempo il PIL s'è ridotto di quasi l'1 %.
La pressione fiscale media, un triste primato mondiale del quale il Paese farebbe volentieri a meno, è passata dal 43,7% all'attuale 47,8%, cioè è cresciuta, anziché ridursi per concedere fiato alle imprese e respiro alle famiglie. L'unico dato che tiene è quello relativo all'export che è cresciuto del 4,3%, ma questo non è certo un merito di questo governo, che anzi nessuna attenzione ha dedicato alle imprese che lavorano soprattutto sull'estero. In un momento di grave difficoltà con una pesante contrazione dei consumi interni, l'export rappresenta la valvola di sfogo che permette a molte aziende ed al loro indotto di sopravvivere. Ma Monti, anziché promuoverle ed incentivarle che fa? Le tassa, addossando loro i costi dei nuovi ammortizzatori sociali, ed innalzando i costi per il lavoro precario, anziché ridurre quelli dei contratti a tempo indeterminato.
Quindi, nonostante una tassazione lacrime e sangue, non solo sono ulteriormente peggiorati tutti i parametri ed i dati macroeconomici, ma addirittura è cresciuto il debito pubblico, la spesa pubblica e gli sprechi sono rimasti tali e quali, anzi pure questi aumentati di un po', mentre non si registra nessun segnale positivo per disoccupazione, produzione industriale e consumi interni. Niente, nessuna prospettiva di ripresa, nonostante i ripetuti inviti arrivati a Monti da tutte le parti, dalla Bce, dall'FMI, dalla Banca d'Italia, da Obama, esperti ed economisti di mezzo mondo, persino adesso da Rehn e Barroso, i capobanda rigoristi della UE. In compenso, con i partiti sollevati dalla responsabilità di governo e quindi dediti alla tutela dei propri interessi, la corruzione ha raggiunto livelli inusitati ed intollerabili, mentre cresce l'allarme sociale per la sicurezza e la recrudescenza di micro e macro criminalità, del terrorismo rosso, dell'eversione, ed ha ripreso pieno vigore l'immigrazione clandestina, tutte problematiche queste destinate a non ricevere nessuna attenzione da un governo di tecnici incapaci ed inesperti.
Sul piano personale, il prof varesino ha bruciato la cambiale in bianco di una credibilità che molti erano stati generosi nell'assegnarli nonostante fosse tutta da dimostrare. In pochi mesi ha perso tutto, ha commesso gaffes incredibili, l'ultima quella di "concedere" ai terremotati la sospensione, non la cancellazione, dell'Imu su immobili che non esistono più! Una macabra e grottesca presa in giro. Anche per questo il suo indice di gradimento sì è inabissato nella Fossa delle Marianne, mentre la sua credibilità in ambito internazionale è scesa a zero come dimostra la fuga di imprese e di capitali dall'Italia, cui gli investitori non concedono più alcuna fiducia, e gli insulti apparsi su quella stampa internazionale che prima di conoscerlo lo osannava.
Monti, se conserva un briciolo di lucidità, deve capire almeno che non si può continuare a mantenere il Paese in una situazione di recessione e di completo fallimento come questa.
Monti ha sbagliato sin dall'inizio quando ha dedicato tutte le attenzioni del governo ai fatui problemi finanziari, senza capire che i debiti non si pagano con le tasse, il cui gettito sta infatti diminuendo nonostante l'aggravio delle aliquote e l'arrivo dell'Imu, ma con il lavoro, creando ricchezza con la quale impostare un sano e sostenibile piano di rientro. In Giappone l'indebitamento ha raggiunto il 215 % del PIL, ma nessuno si preoccupa di mettere nuove imposte o di inasprire quelle già esistenti. Ma si preoccupano invece, e tanto, di sostenere la produzione, l'occupazione e di migliorare in tempi di crisi il sistema di ammortizzatori sociali. La finanza è carta straccia, sono le imprese, il lavoro, il sistema produttivo, l'economia a creare valori aggiunti e ricchezza. A questo avrebbe dovuto dedicarsi, mettendo a frutto il sostegno della maggioranza bulgara di cui disponeva in Parlamento per avviare la crescita e le riforme per ammodernare il Paese delle quali era bravissimo a disquisire quando frequentava salotti e televisioni radical chic. Invece ha fatto l'esatto contrario e pretende pure di convincerci, con sotterfugi contabili e menzogne, cha ha ragione lui e che noi siamo degli "ingrati" nei suoi confronti. Per gli italiani, grandi lavoratori, gente che se motivata sa dimostrarsi forte e coraggiosa, non è insopportabile dover affrontare i sacrifici che tutti sanno essere necessari per uscire da questa crisi, ma è la dimostrata inutilità di questi sacrifici ad essere intollerabile ed insopportabile. A che è servito questo governo che ha fallito su tutti i fronti senza riuscire ad avviare una misura, una sola, per la ripresa e lo sviluppo economico e sociale del Paese? Solo a toglierci pure la speranza ed il gusto della vita.
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