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L'UOMO RIVENDICA LA LIBERTÀ, IN MODO INDIVIDUALISTICO, COME TOTALE AUTONOMIA E INDIPENDENZA, MA LA REALTA' DICE CHE EGLI E' INVECE STRUTTURALMENTE RELAZIONALE
di Giacomo Samek Lodovici
 

 «L’uomo non è perfetto in sé, l’uomo ha bisogno della relazione, è un essere in relazione. […] Ha bisogno dell’ascolto, dell’ascolto dell’altro, soprattutto dell’Altro con la maiuscola, di Dio. Solo così conosce se stesso, solo così diviene se stesso». È un passaggio del discorso pronunciato sabato scorso dal Papa, al termine degli esercizi spirituali predicati per lui e per la Curia Romana. Si tratta di una profonda verità, perché l’essere umano, che spesso rivendica la libertà, in modo individualistico, come totale autonomia e indipendenza dagli altri, è invece strutturalmente relazionale. Come scriveva già il cardinal Ratzinger, questo aspetto emerge in modo illuminante considerando il concepito nel grembo materno, dove l’essere di un uomo è a tal punto strettamente intessuto con quello della madre che può sussistere solo nella correlazione corporea con lei, in un’unità che però non nega la sua autonomia. Ma, anche dopo la nascita, il bambino resta dipendente dai genitori, in senso sia materiale, sia psicologico-spirituale: san Tommaso diceva che i genitori devono fornire ai figli non solo un grembo fisico, ma anche un «grembo spirituale», cioè un adeguato ambiente affettivo, psicologico e spirituale: l’amore, cioè, realizza una cruciale «procreazione spirituale». In effetti, il neonato può morire se non viene minimamente amato (come mostra già un famoso esperimento di Federico II di Svevia). Al bambino, poi, l’amore altrui non è più necessario per sopravvivere, ma, quando manca, egli attiva difficoltosamente le sue capacità e talvolta solo parzialmente (come si vede in molti bambini di strada), o regredisce psicologicamente (come si vede nei casi di quei bambini che, ritrovati nella foresta dopo anni di vita trascorsi solo fra animali, risultano psicologicamente regrediti, sebbene anagraficamente cresciuti). Anche per un adulto l’affetto­riconoscimento altrui resta cruciale, pena patire diversi problemi della personalità: un pensatore tutt’altro che cattolico come Sartre diceva efficacemente che l’uomo ha bisogno di sentirsi «giustificato di esistere». Ancora: man mano che cresce, l’uomo può alimentarsi dell’amore di Dio e, anzi, nel nostro cuore alberga un desiderio di relazione con una Persona Infinita. Pertanto, presto o tardi nella vita, le relazioni con gli altri, per quanto fondamentali, si rivelano insufficienti. E, come dice la Spe salvi, anche in situazioni di sofferenza atroce, «se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora. Se non posso più parlare con nessuno, più nessuno invocare, a Dio posso sempre parlare. Se non c’è più nessuno che possa aiutarmi – dove si tratta di una necessità o di un’attesa che supera l’umana capacità di sperare – Egli può aiutarmi». Alla radice di questa nostra necessità della relazione si trova il Dio-Trinità, la cui natura intima non è quella della solitudine, bensì è quella di una famiglia, di una comunione di Persone che sono distinte e insieme reciprocamente immanenti in una vertiginosa circolazione d’amore.
  Insomma, come ci ricorda la Familiaris consortio  di Giovanni Paolo II: «Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza: chiamandolo all’esistenza per amore, l’ha chiamato nello stesso tempo all’amore. Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione personale d’amore. […] Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione. L’amore è pertanto la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano».

 
Fonte: Avvenire, 5 marzo 2010