« Torna agli articoli di C


I PENTITI DELL'ABORTO
Il libro ''La mia vita con l'aborto'' scritto dalla ex direttrice di una clinica abortista in Texas descrive la drammatica esperienza personale di chi ha cambiato totalmente prospettiva
di Vincenzo Sansonetti
 

"Vedevo sullo schermo il corpicino che si contorceva violentemente. Per un brevissimo momento sembrava che il bambino venisse strappato, arrotolato e strizzato come uno straccio. Poi cominciò a scomparire dentro la cannula sotto i miei occhi. L'ultima cosa che vidi fu la piccola spina dorsale perfettamente formata risucchiata nel tubo, e tutto scomparve. L'utero era vuoto, totalmente vuoto. Ero paralizzata dall'incredulità".

DALL'ORRORE NASCONO PESANTI INTERROGATIVI
Non c'è niente di meglio per comprendere un fatto, coglierne il significato più profondo, che guardarlo in faccia per quello che è, nudo e crudo, senza mistificazioni. È quanto è accaduto quasi sei anni fa ad Abby Johnson. Autunno 2009, non ancora trentenne Abby ricopre un incarico che le dà soddisfazioni: è la giovane direttrice di una clinica a Bryan, nel Texas, di proprietà della famigerata organizzazione abortista Planned Parenthood; fino a quando un giorno non le capita per caso di assistere ad un aborto "guidato" con gli ultrasuoni, anzi di esserne parte attiva, reggendo una cannula in sala operatoria. In dieci minuti la sua vita cambia radicalmente: "L'immagine di quel piccolo bambino che si contorceva e si dimenava continuava a scorrere nella mia mente. Come ero potuta arrivare a questo? Come avevo potuto lasciare che accadesse?". Questi i pesanti interrogativi che di colpo irrompono la sua mente nel suo cuore, come se si svegliasse da un orribile sogno; al punto che decide di mollare tutto e trasformarsi in una agguerrita militante del movimento antiabortista degli States.

ACCOGLIERE SEMPRE L'ALTRO, ANCHE IL NEMICO
La Johnson racconta con cruda sincerità la sua drammatica esperienza nel testo autobiografico Scartati. La mia vita con l'aborto (Rubettino, €16), da poco approdato nelle librerie italiane, in cui percorre con lucidità il suo coraggioso cammino da paladina degli aborti a strenuo difensore della vita nascente, da complice di un'attività inaccettabile e devastante a militante "prolife" senza se e senza ma. E nel momento della conversione, spuntano i ricordi. Come non ripensare, ad esempio, ai tanti aderenti alla Coalizione per la vita, che aveva visto radunarsi composti e silenziosi fuori dalla "sua" clinica degli aborti, quegli stessi che, rifiutando gesti provocatori e clamorosi, ma affidandosi solo alla preghiera, le avevano sempre causato una profonda inquietudine? Abby ora ha capito; non nutre odio e risentimento, innanzitutto verso se stessa, ma diventa testimone di una rinnovata occasione di amore e accoglienza, possibile a tutti. "Non si deve vedere negli altri solo pensieri sbagliati o comportamenti dannosi", afferma. E lancia la sfida ai lettori del suo libro: "Siete pronti a guardare gli avversari con bontà, compassione, generosità e spirito di sacrificio?". Una grande lezione.

LA CLAMOROSA SVOLTA DI BERNARD NATHANSON
Il caso Abby non è isolato, non è l'unico. Sono ormai decine in tutto il mondo coloro che hanno deciso, con clamorosi dietrofront, di abbandonare la militanza abortista e pro-choice per approdare nelle file dei sostenitori del rispetto per la vita nascente. Il caso di "pentimento" più celebre è quello del medico statunitense Bernard Nathanson, ginecologo di New York, morto nel 2011 a 85 anni. Da giovane, negli anni Sessanta e Settanta, si era battuto accanitamente in favore della libertà di scelta della donna e per la legalizzazione dell'interruzione volontaria della gravidanza, a cui si arriverà nel 1973. Lui stesso Nathanson confesserà di essere stato il responsabile di ben 75000 aborti. Poi la svolta, che lo porta a riconsiderare il suo punto di vista: si converte nel 1996 alla religione cattolica e diventa un acceso sostenitore del Movimento per la vita americano. Riuscendo a realizzare due documentari significativi: The Silent Scream (Il grido silenzioso), che mostra un aborto attraverso l'ecografia, ed Eclipse of Reason, che analizza invece la tematica degli aborti tardivi. Che cosa fa cambiare idea a Nathanson? È quando comincia a servirsi delle nuove tecnologie che permettono di osservare l'embrione nel seno materno, che il medico americano inizia ad avere i primi dubbi.

QUALE "GRIDO SILENZIOSO", COSì SCONVOLGENTE
Nel 1984, coadiuvato da una femminista, viene chiesto al "principe degli aborti" di filmare un'interruzione di gravidanza per aspirazione, al terzo mese di gestazione. Ma non immaginava cosa avrebbe trovato. Nel filmare il bambino che stava per essere abortito, Nathanson vede il feto che con le manine si difende e non vuole essere aspirato (la stessa esperienza vissuta da Abby Johnson). Pur nel liquido amniotico, il bambino aveva aperto la bocca per gridare, perché avvertiva un pericolo imminente e inesorabile. Nathanson, colpito da quelle immagini terribili e eloquenti, ammetterà: "Sono rimasto così sconvolto dal vedere ciò che avevo fatto che, uscito per un momento dalla stanza, sono tornato per terminare il montaggio del filmato; ma non ho mai più procurato aborti in vita mia". Anche la femminista sua collaboratrice, sconvolta per quello che aveva visto, cioè l'omicidio in diretta di un piccolo essere umano innocente, non si fece più sostenitrice dell'interruzione di gravidanza. Dal quel momento Nathanson divenne un militante antiabortista. Quel film, che doveva essere a favore dell'aborto, è diventato un film di poco meno di mezz'ora per il diritto alla vita, diffuso in tutto il mondo: appunto Il grido silenzioso. Nathanson ha anche scritto un best seller sul suo cambiamento, Aborting America, e ha riconosciuto che uno degli scopi del movimento abortista era screditare sistematicamente la Chiesa cattolica, al punto di ammettere che "venivano comunicate ai mass media bugie del tipo tutti sappiamo che l'opposizione all'aborto viene dalla Gerarchia e non dalla maggioranza dei cattolici e i sondaggi dimostrano ripetutamente che la maggior parte dei cattolici vuole la riforma della legge sull'aborto". [HO ESEGUITO 75.000 ABORTI E MI SONO BATTUTO PER LA SUA LEGALIZZAZIONE NEGLI STATI UNITI di Bernard Nathanson https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2812, N.d.BB]

ANTHONY: UN LUTTO FAMILIARE LO FA RIFLETTERE
Altri nomi di eccellenti "abortisti pentiti"? Almeno due: Anthony Levatino e Carol Everett. Ecco le loro storie. Anthony Levatino era un convinto abortista, ora è un ginecologo pro life. La sua vicenda è simile a quella di Nathanson. In cinque anni, tra il 1981 e il 1985, ha procurato quasi 1200 aborti. Gli ha fatto cambiare idea il fatto che lui e la moglie non riuscissero a concepire, e la loro figlia adottiva Heather morisse in un incidente automobilistico nel 1985. Ora esercita nel New Mexico, ed è appunto attivo nel fronte antiabortista. È apparso in un film pro-life apparso nel 2011, The Gift of Life, e fa parte del comitato medico di consulenti di Priest for Life, i cui leader gli hanno chiesto di intervenire sulla loro campagne Silent No More. E di partecipare alle Marce della Vita. Nel 2012 ha testimoniato al Congresso che effettuare un aborto su un bambino non nato di 24 settimane era doloroso non solo per il feto, ma anche per il medico. "Se pensate che non faccia male, se credete che non sia un'agonia per questo bambino, vi prego di ripensarci", ha affermato intervenendo a sostegno del disegno di legge chiamato Pain-Capable Unborn Child Protection Act (Atto di Protezione del Bambino Non Nato Capace di Provare Dolore).

CAROL: DISGUSTATA DALLE TROPPE MENZOGNE
Carol Evertt, tra il 1977 e il 1983, ha diretto non una, ma una catena di quattro cliniche abortiste nel Texas, direttamente responsabile di circa 35 mila aborti. Alcuni anni dopo si è pentita ed ha abbandonato il proprio redditizio incarico, spiegando come il suo fosse un lavoro "su commissione": più aborti, più soldi. E rivelando i metodi collaudati che venivano usati per "convincere" le donne a disfarsi dei figli che portavano in grembo. "Avevamo raggiunto l'obiettivo di indurre ogni ragazza tra i 13 e i 18 anni ad abortire tra le tre e le cinque volte", confesserà. L'inquietante risultato non era frutto del caso: alle spalle vi era anzi una precisa strategia, studiata nei dettagli, che partiva dall'indurre nelle future, giovani madri, una particolare mentalità alla sessualità. Complice un'educazione scolastica ad hoc, veniva annullato il senso naturale del pudore e neutralizzati i valori familiari sin dall'asilo nido, "insegnando" poi in terza elementare cosa fosse un rapporto sessuale, in quarta gli atti impuri, e spiegando poi esplicitamente a vedere nell'aborto una soluzione possibile, praticabile, quindi inevitabile. In questo modo, di fronte ad una gravidanza era facile, quasi naturale al personale appositamente addestrato proporre alla ragazza incinta l'aborto come unico "rimedio".

 
Titolo originale: I pentiti dell'aborto
Fonte: Il Timone, luglio/agosto 2015