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Tv buona dottoressa? è il titolo di un saggio-inchiesta sul rapporto tra televisione italiana e medicina, da poco edito (Roma, Rai-Eri, 2010, pagine 292, euro 18). È una lettura interessante perché mostra in maniera ben documentata l’evoluzione di questo rapporto dai suoi albori sino ad oggi, attraverso l’esame attento delle fiction, telefilm, pubblicità e quant’altro sulle reti pubbliche e su quelle private. Le autrici, Roberta Gisotti e Mariavittoria Savini, mostrano il salto da quella che chiamano “paleo televisione” alla televisione moderna, la “neotelevisione”. Nella prima “abbiamo contato centinaia di documentari scientifici divulgativi” quando “la divulgazione scientifica della Rai era orientata primariamente a svolgere un ruolo didascalico-formativo nei confronti della popolazione generale”; nella neotelevisione, invece, il genere della divulgazione scientifica cede il passo alle trasmissioni incentrate proprio sulla medicina, che “si caratterizzano per la funzione di servizio ai cittadini” cosicché la chiave più diffusa è quella di “dispensare consigli”.
E l’ascolto delle trasmissioni di questo genere passa da 6,5 milioni di telespettatori nel 2001 a 8,8 milioni nel 2005. Nel caso della televisione commerciale invece “la medicina resta un argomento assolutamente marginale, se non associato, a partire dagli anni Novanta, a un concetto di salute mirato soprattutto al raggiungimento di una forma fisica soddisfacente”, seppur con eccezioni.
Puntualmente il libro descrive i programmi non risparmiando certo critiche quando necessarie, ma soprattutto riportando le valutazioni emerse sulla stampa, ed elenca le numerose soap-opera e telefilm programmati sulle reti televisive, da ER Medici in prima linea, a House MD, da Scrubs, medici ai primi ferri a Csi, Scena del Crimine. Arriva quindi a parlare dei programmi di medicina-intrattenimento, tra cui quelli in cui si viaggia con un eccesso di disinvoltura tra i ritocchi della chirurgia estetica: da Extreme Makeover a Bisturi, Nessuno è perfetto, il primo sospeso precocemente, il secondo noto per le polemiche suscitate. Insomma, una disamina attenta e utile, che ci obbliga a domandarci: a cosa si deve il proliferare di medicina in tv, in un’epoca in cui il servizio sanitario è gratuito, capillare e spesso di ottimo livello? Da dove nasce la sete di medicina televisiva? Il fatto è che viviamo in un’epoca di somma incertezza e paura, e trovare una trasmissione ben confezionata che ci porta in casa lo specialista ci fa sentire una sorta di tocco magico, di parola di conforto di cui la popolazione evidentemente ha bisogno.
Sentire un medico - vero o finto - parlare di malattia in tv sopperisce a tre necessità: la semplice curiosità, in un mondo di persone sole che amano interessarsi a problemi altrui per non pensare ai propri; vedere qualcuno che soppesa e prende sul serio i nostri mali, dato che la gente vorrebbe un rapporto col medico quasi esclusivo, amichevole, che talora manca; e il bisogno di esorcizzare il male, dato che quello che vediamo sullo schermo resta distante, e sappiamo dominarlo cambiando canale. La lettura del libro ci mostra anche altro: la figura del medico, che la medicina moderna voleva burocratizzato, ridotto a lavorare in ospedali divenuti “aziende”, non a contatto col malato ma con l’”utenza”, viene ancora mitizzata in un’aura di sacro, certamente fuori luogo, ma comprensibile in un’epoca che ha perso l’Abc del sacro vero.
E questo lo vediamo dal fatto che l’unico tema tabù nelle varie fiction non è la morte o il dolore o il sangue, che sono sparsi a vagoni, ma un tema più banale: l’errore. Nelle fiction il medico non sbaglia mai, e se sbaglia c’è sempre qualcuno che ripara.
Nelle fiction il medico non può sbagliare, perché immediatamente diventa un attentatore alla sacralità della sua opera, svela che l’opera sua non è pseudo-divina, come dicevamo prima, e questa scoperta terrorizza. Anche per questo motivo, serie come Crimini bianchi, che denunciava forse in modo “fuorviante” gli errori medici, o come Medici miei, parodia di tutte le serie dedicate a dottori e ospedali, ebbero un successo molto scarso e alimentarono moltissime polemiche.
Insomma ci piace sentirci rassicurare, sapere che la medicina arriva là dove arrivano le nostre speranze; e ci piace sentire qualcuno che è sicuro di sé, che non sbaglia, che salva.
In realtà, spiegano bene le autrici, la medicina reale non è così, e riportano molte opinioni tutte o quasi concordi sul fatto che l’attività del medico non è quell’esplosione di adrenalina, di bellezza e onnipotenza che si vede nelle fiction, né quella sobria e ieratica dell’”esperto” di turno: spesso è fatta di lunghi colloqui, di attese, e anche di umani sbagli.
E di morte, perché anche là dove si prendono decisioni in trenta secondi, come nelle rianimazioni, l’esito non è quello salvifico che vediamo in tv. D’altronde, le serie tv più che dei racconti sono delle favole; e più sono belle, come nel caso di House MD o di Scrubs, più manifestano chiaramente il loro intento didascalico, fantasioso e profondo.
Forse è per questo che l’unico “errore” che possiamo notare nel libro è un lapsus, quando attribuisce come autore alla serie Dr. House MD, invece di David Shore, sir Arthur Conan Doyle, che invece è il creatore di Sherlock Holmes: altra favola, stessa bellezza.
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