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Domandiamo alla parola di Dio, che ci è stata offerta nella prima parte della nostra assemblea, il nutrimento sostanzioso del nostro spirito, che, se non è alimentato, fatalmente deperisce, si mondanizza e a poco a poco diventa impermeabile alla luce che viene dall'alto. Possiamo raccogliere due serie di insegnamenti. La prima ci è offerta dalla seconda lettura, nella quale san Paolo ci dà alcune raccomandazioni molto pratiche e molto concrete. La seconda serie può essere ricavata dalla prima e dalla terza lettura, ambedue tematizzate sul male terribile della lebbra.
LA RETTA INTENZIONE DA' VALORE A OGNI NOSTRO ATTO
Come avete sentito, l'apostolo non ci dice di non mangiare e di non bere; e neppure di disturbare, con zelo indiscreto e sviato, quelli che mangiano e bevono; ma di mangiare, bere, fare ogni cosa per la gloria di Dio. Dove si vede che sono sì importanti le cose che si fanno; ma è ancora più importante la consapevolezza e la rettitudine del motivo per cui si agisce. È importante il "che cosa", ma è più importante il "perché". E il "perché" vero, valido, prezioso, non deve essere orizzontale e terrestre, ma verticale e trascendente: dobbiamo fare tutto per la "gloria di Dio", cioè cercando di conformare pienamente le nostre azioni alla sua volontà, in modo che in noi e nella nostra condotta risplenda davanti a tutti il suo disegno d'amore.
ANNUNCIARE IL VANGELO SENZA CEDIMENTI
San Paolo dice anche di fare come lui, che cercava di "piacere a tutti", Giudei e Greci. E la cosa è un po' comica, perché se c'è stato uno che ha urtato tutti - e le ha prese da tutti, Giudei e Greci - è proprio stato lui. Del resto, lui stesso in un'altra parte delle sue lettere afferma: Se volessi piacere agli uomini, non sarei un vero servitore di Cristo.
Ma non c'è contraddizione: noi dobbiamo sforzarci di vivere da gentiluomini, che si sforzano di non recare mai pena a nessuno col loro comportamento, che perciò si preoccupano di evitare ogni asprezza di modi, ogni disprezzo delle persone, ogni grossolanità di linguaggio e di tratto. Ma dobbiamo anche annunciare tutto il Vangelo di Cristo, senza compromessi, senza cedimenti, senza genuflessioni ai miti del nostro tempo e alla prepotenza delle culture dominanti. È indubbio che, così facendo, nonostante il nostro impegno a essere dei gentiluomini, a molti non riusciremo simpatici. Però saremo discepoli veri del Signore Gesù che ha detto: Guai a voi, quando tutti gli uomini parleranno bene di voi.
LE "CRUDELTA' NECESSARIE" DI CUI DOBBIAMO LIBEARCI
La lebbra è nella concezione ebraica la "primogenita della morte" (come si esprime il Libro di Giobbe, 18,3). I colpiti da questa malattia venivano accuratamente segregati. Il lebbroso - abbiamo ascoltato - se ne resterà solo, abiterà fuori dell'accampamento. E così alla sofferenza fisica si aggiungeva la disperazione dell'isolamento. Era una "crudeltà necessaria", con la quale la società dei sani cercava di difendersi e di preservarsi. E in quel mondo la cosa è anche spiegabile. Ma la dottrina delle "crudeltà necessarie" sta imperversando anche nel nostro tempo, dove non si giustifica affatto.
Per esempio, chi non esita a uccidere per costruire un mondo che secondo luisarà migliore, non fa che seguire questa dottrina. In questo secolo è stata applicata più volte contro milioni di persone, vittime di ideologie di colore apparentemente diverso, ma in realtà tutte accomunate dalla sciagurata persuasione che si possono uccidere le persone per far trionfare un'idea. Ma anche nella nostra vita di ogni giorno ci si imbatte spesso in questa dottrina. Basti pensare alla determinazione e alla durezza con cui vengono estromessi gli anziani dalla partecipazione piena alla vicenda umana. Basti pensare alla violenza con cui si colpisce o si offende chi la pensa in modo diverso. Basti pensare alla facilità con cui si uccide un essere umano che si affaccia all'esistenza, che ha il sol torto di infastidire e di essere scomodo.
Ebbene, Gesù rifiuta il principio della "crudeltà necessaria" e gli oppone la follia sublime della misericordia: Mosso a compassione, abbiamo ascoltato. Questo è il vero grande miracolo, che i suoi discepoli sono chiamati a moltiplicare: riuscire a farci stare la pietà e l'amore dove pare ci sia posto solo per il calcolo, la valutazione scientifica, il rigore egoistico della sola giustizia.
Stese la mano e lo toccò: questo è il secondo miracolo. "Lo toccò": il lebbroso era per definizione un'intoccabile; dal momento che la mano di Gesù si avvicina alla sua carne corrotta, quell'uomo sente che il cerchio che l'imprigiona e l'opprime è spezzato. Se c'è uno che ha il coraggio di riprendere i contatti con lui, allora vuol dire che egli è ritornato uomo tra gli uomini.
La lebbra scomparve. E Gesù ordina al guarito di rispettare scrupolosamente le prescrizioni della legge, che imponeva il controllo dei sacerdoti e l'offerta di un sacrificio di purificazione. Questo forse ci meraviglia: sembra un inutile formalismo.
Ma Gesù è sempre rispettoso delle strutture esistenti. Non crede che il mondo migliori con la violazione delle leggi (a meno che non siano evidentemente inique, ma allora non hanno forza di legge). Non crede che gli uomini possano diventare più felici rovesciando gli ordinamenti. Le rivoluzioni esteriori di solito ottengono come principale risultato non di abolire la prepotenza, ma di cambiarne i pretesti e di avvicendarne i titolari.
Gesù sa che i veri rivoluzionari (cioè quelli che cambiano veramente qualcosa a questo mondo) sono quelli che tentano di cambiare i cuori, a cominciare dal proprio. La conversione del nostro cuore è dunque ciò che domanderemo come grazia particolare al Signore, adesso e nel tempo di quaresima che ormai si è fatto vicino.
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.
ALTRA OMELIA VI DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 1,40-45)
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