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L'approvazione a larghissima maggioranza, da parte dei due rami del parlamento francese riuniti in seduta comune, della norma che inserisce nella Costituzione la garanzia del diritto ad abortire è un fatto storico di enorme importanza e gravità. Lo è perché per la prima volta in una democrazia liberale occidentale non solo l'interruzione volontaria di gravidanza viene depenalizzata e consentita, come avviene ormai da tempo in gran parte di esse, ma viene addirittura elevata a diritto fondamentale, che dunque da ora in poi nessuna legge ordinaria potrà revocare.
Lo è perché la formulazione scelta, quella per cui l'aborto è una "libertà" della donna che dev'essere comunque garantita dalla legge, implica l'improponibilità sostanziale di qualsiasi sua limitazione, e dunque prefigura da un lato ulteriori suoi ampliamenti, dall'altra la crescente difficoltà a difendere, sul piano costituzionale, il diritto all'obiezione di coscienza.
Lo è perché la modifica costituzionale è stata fortemente voluta e promossa dal presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron, e assume il valore di un provvedimento "bandiera".
Lo è per la solennità che si è voluto conseguentemente dare all'approvazione della norma, con la convocazione del parlamento riunito a Versailles, la disposizione dei parlamentari in ordine alfabetico e non per gruppo - a sottolineare l'aspetto di "unità nazionale" della scelta - , persino l'illuminazione della torre Eiffel per festeggiarla.
Lo è, infine, per la già citata, amplissima maggioranza, che travalica gli schieramenti politici e la divisione tra destra e sinistra.
Con questo passaggio, la Francia macroniana si pone idealmente a capo della sempre più aggressiva tendenza del progressismo occidentale a considerare l'aborto un vero e proprio dogma, un totem, un feticcio intoccabile, inestricabilmente connesso all'emancipazione femminile e quasi sinonimo di essa. Una tendenza che corrispettivamente si traduce, secondo il costume dell'estremismo woke, nella demonizzazione di chiunque metta in discussione il dogma su basi etiche o religiose, additato come sessista, "patriarcale", "bigotto", "medioevale", fautore dell'asservimento delle donne.
ARGINI SEMPRE PIÙ CONTESTATI
La negazione di qualsiasi possibilità di argomentazione intorno al tema pretende di cancellare e rinnegare d'un colpo non soltanto millenni di storia in cui l'aborto è stato condannato pressoché unanimemente al pari dell'infanticidio, ma anche le tormentate modalità attraverso le quali si è giunti, in molti paesi occidentali, alla sua legalizzazione a partire da poco più di mezzo secolo fa. Nell'accanito dibattito avviato allora sotto la spinta dei movimenti femministi si confrontavano, infatti, posizioni diverse, le quali però almeno convergevano nel ritenere che nell'affrontare la questione fosse inevitabile considerare più punti di vista, e che occorresse in qualche modo bilanciare il diritto delle donne a una maternità "consapevole" con la tutela della vita del nascituro e quella della maternità nell'interesse della società.
Conseguentemente le leggi che autorizzavano, entro certi limiti, l'aborto - come proprio la legge francese Simone Veil approvata nel 1975, e la legge 194 approvata in Italia nel 1978 - non consideravano affatto la legalizzazione come un diritto soggettivo, ma semmai come un modo per conseguire la "riduzione del danno" connesso agli aborti clandestini e ai danni provocati in taluni casi da una maternità non voluta alla salute fisica e psichica delle donne: un esito, comunque, non obbligato, rispetto al quale dovevano essere almeno considerate delle alternative, e che comportava almeno un dilemma morale.
Tuttavia nei decenni successivi questi argini sono stati sempre più contestati, rifiutati, erosi dalla marea montante di una concezione dei diritti integralmente relativista e soggettivista, secondo cui l'unico soggetto in gioco in materia di gravidanza è la donna, il concepito rappresenta soltanto un potenziale ostacolo alla sua libera volontà, e il potere di "interrompere la gravidanza" (fuori di eufemismi, sopprimere la vita del nascituro) deve essere inteso come pressoché assoluto e automatico, senza filtri né mediazioni, attuabile facilmente in forma sia chirurgica che farmacologica, anche al di sotto della maggiore età, e sempre più esteso rispetto allo stadio della gravidanza stessa.
Una concezione la cui progressiva diffusione ed egemonia si è andata saldando alla crescente disgregazione dei legami familiari, al crollo delle nascite, alla trasformazione di comunità fondate sulla stabilità dei nuclei familiari e sulla continuità generazionale in somme aritmetiche di individui isolati concentrati sulle proprie auto-rappresentazioni e gratificazioni personali.
DIRITTO NON NEGOZIABILE
In essi la rabbiosa rivendicazione di un potere assoluto dei soggetti "forti" sulla vita nascente (ma anche parallelamente sul "fine vita") si concretizza in una generale pulsione mortifera, una vera e propria implosione, evidente se si confrontano i trend demografici occidentali con quelli di altre società.
Che la punta di lancia di tale corto circuito tra diritto, potere e soppressione della vita sia oggi la Francia, e più in generale l'Europa continentale, e che il corto circuito si traduca nella formulazione dell'aborto come "diritto costituzionale", non deve stupire. Infatti l'idea del diritto alla vita come prerogativa assoluta e non negoziabile di ogni essere umano ha preso forma storicamente nella tradizione costituzionale anglosassone, dove è stato introdotto da John Locke (insieme a quello alla libertà e alla proprietà) e dalla Dichiarazione d'Indipendenza americana del 1776 (insieme alla libertà e al libero perseguimento della felicità).
Si deve a quella tradizione, imperniata innanzitutto sulla limitazione del potere, la sua riproposizione nella Dichiarazione universale dei diritti umani dell'Onu del 1948. Nel costituzionalismo francese di origine rivoluzionaria, viceversa, il diritto alla vita non viene mai nominato, e ogni libertà individuale viene subordinata alla sovranità della nazione e al monopolio del potere statuale. Le costituzioni continentali, e la cultura politica prevalente in quei paesi, hanno continuato a risentire più dell'esempio francese che di quello anglosassone. Ecco perché oggi in Francia - e, temiamo, ben presto altri paesi seguiranno l'esempio di Parigi - il diritto alla vita del bambino concepito può essere impunemente calpestato assolutizzando quello alla sua eliminazione, spacciando quest'ultima come libertà, mentre si tratta del trionfo di un potere illimitato sulla vita, che è condizione necessaria per la libertà.
Nei paesi anglosassoni - come, per altro verso, nel mondo latinoamericano - nonostante le spinte del progressismo "dirittista" in senso abortista la radice cristiana dell'idea di diritti fondamentali, implicante la difesa della vita in ogni stadio, è rimasta complessivamente viva e attiva. Nella cultura politica liberale e conservatice le posizioni antiabortiste hanno continuato a essere presenti, apertamente rivendicate e molto spesso prevalenti. Ed è grazie a questo che la depenalizzazione per via giuridica dell'aborto sancita nel 1973 dalla sentenza Roe v/s Wade ha potuto essere arginata dopo mezzo secolo dalla Corte Suprema statunitense, riaprendo radicalmente il dibattito sul tema.
Le destre europee, al contrario, si mostrano in gran parte subordinate, come è avvenuto ora a Parigi, al progressismo nichilista, intimidite dalla sua aggressività, timorose di esserne delegittimate, e incapaci di proporre una visione alternativa.
Nota di BastaBugie: Stefano Fontana nell'articolo seguente dal titolo "Francia, la democrazia totalitaria realizzata" spiega perché, con l'inserimento del diritto all'aborto nella Costituzione, la Francia dimostra di aver realizzato la democrazia totalitaria che ha nell'illuminismo la sua filosofia ispiratrice.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 9 marzo 2024:
Nel 1950 usciva il famoso libro di Jacob Talmon "La democrazia totalitaria". Egli parlava di Rousseau, Robespierre, Morelly, Mably, Babeuf... ossia dell'illuminismo che, non per accidente ma per sua natura, diventava totalitario. Oggi, la Francia di Macron rimane su quella linea e la conferma. Dopo l'assunzione in Costituzione del diritto all'aborto, la Francia dimostra di aver realizzato proprio quella democrazia totalitaria dei suoi fondatori descritta da Talmon. Le previsioni dei pontefici dell'Ottocento, le allerte di Giovanni Paolo II, gli avvertimenti di Benedetto XVI sulla dittatura del relativismo sono oggi completamente confermate in Francia. L'episcopato francese ha pubblicato un comunicato in vista del voto parlamentare, ha invitato i giovani e le comunità cristiane alla preghiera, dopo il voto ha espresso in una breve nota la propria tristezza ma finora non ha avviato nessuna approfondita riflessione sul concetto di democrazia totalitaria.
La costituzionalizzazione del diritto all'aborto comporta che porlo in essere sarà un dovere, come accade per ogni diritto. Ne consegue che l'obiezione di coscienza non potrà più essere ammessa. Il diritto ad abortire viene inteso, per fare un esempio, come il diritto a non essere discriminati per il colore della pelle, davanti a cui nessuno può pretendere di opporre obiezione di coscienza e lo Stato deve impedire che questo avvenga, imponendone il rispetto e l'applicazione. In questo modo viene superata la fase in cui l'aborto è ammesso per chi lo vuole ma rimane non oggetto di imposizione per chi non lo vuole. Questa era la fase in cui si diceva: "io non abortirei mai, ma se tu vuoi abortire non posso impedirtelo"; oppure: "io voglio abortire ma non posso importi di essere d'accordo con me e di collaborare". Possiamo chiamare questa fase, ormai superata, "la fase liberale della democrazia", in cui lo Stato è neutro e ritiene di avere l'unica funzione di ammettere tutte le opinioni. Con la costituzionalizzazione il panorama cambia notevolmente. Qui lo Stato non è più neutro e non lascia la decisione ai singoli cittadini. Ora esso deve imporre il rispetto del diritto ad abortire presentandolo come un dovere civico imprescindibile e non aggirabile. Così la democrazia liberale si è convertita in democrazia totalitaria.
Il punto politico su cui riflettere allora è proprio questo: la fase della democrazia liberale deve necessariamente confluire in una democrazia totalitaria? Io ritengo di sì. Ma non sono solo io a pensarla così. Carl Schmitt nel suo libro "Legalità e legittimità" lo aveva argomentato molto bene.
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