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Laureato in Filologia classica, innamorato della cultura ellenica tanto da parlare correntemente il greco, a soli 29 anni Francesco Colafemmina è stato capace di trascinare nell’avventura dell’Appello al Papa per un’arte autenticamente cattolica mostri sacri come Nikos Salingaros e Martin Mosebach, oltre a illustri teologi, vaticanisti e docenti universitari. Da pochi giorni è uscito il suo nuovo libro, Il mistero della Chiesa di San Pio (ed. Settecolori) in cui il giovane filologo conclude un’indagine durata anni sulla chiesa progettata da Renzo Piano a San Giovanni Rotondo.
DOTTOR COLAFEMMINA, NEL SOTTOTITOLO DEL SUO LIBRO SI LEGGE: “COINCIDENZE E STRATEGIE ESOTERICHE ALL’OMBRA DEL GRANDE SANTO DI PIETRELCINA”. PERCHÉ QUESTA INDAGINE?
Tutto è nato da un semplice viaggio a San Giovanni Rotondo. Da devoto di padre Pio, nel maggio 2007 mi recai lì per una visita al santo, ma una volta entrato nel nuovo tempio sono dovuto fuggire, letteralmente spaventato. Ricordo poi che sentii un profondo richiamo da parte di san Pio. La notte non dormii e il giorno seguente ripartii subito alla volta di San Giovanni Rotondo. È così che è iniziata la mia inchiesta, che tra l’altro ho sempre sottoposto in Vaticano. A monsignor Piacenza, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, e a Josè Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi.
E COSA È EMERSO DALLA SUA INCHIESTA?
È affiorata pian piano la percezione di un chiaro programma. Quella chiesa con tutte le sue stravaganti opere d’arte doveva avere uno scopo diverso da quello che ci si attende da un luogo sacro. Così, nel corso della ricerca, non ho potuto fare a meno di imbattermi nella massoneria.
COSA L’HA TURBATA IN QUELLA CHIESA?
Innanzitutto va detto che chi entra in quel tempio prova un senso di straniamento, e ciò per l’assenza di connotati tipici di un luogo di culto. È proprio da qui che bisognerebbe partire, da questa impressione riscontrata da migliaia di fedeli, persone prive di pregiudizio ed esperienza nel riconoscere simbologie a-cristiane.
PROVIAMO A FARE VIRTUALMENTE IL PERCORSO DEL FEDELE CHE SI APPRESTA AD ENTRARE NELLA NUOVA CHIESA.
Anzitutto il viale che conduce al santuario non collega all’ingresso della chiesa, che è invece sul “retro” del santuario. Il fedele viene indotto ad entrare in chiesa in un modo nuovo, inusuale, a mo’ di “percorso di iniziazione”. Eccolo quindi dinanzi al portale: cosa rappresenta quel capretto con le gambe spezzate? Esiste nella simbologia cristiana? E quella stella a cinque punte? Sarebbe interessante saperlo.
SUPERATO L’INGRESSO?
Chi entra viene accolto da due colonne sormontate da volti umani, misteriosi, colonne piene di simboli assolutamente inintellegibili. Il fedele cerca poi il tabernacolo ma non lo trova. Bisogna andare nella Cappella dell’Adorazione, uno spazio a forma di triangolo in cui non c’è altro che una stele di pietra nera, una sorta di totem dedicato ad un Dio oscuro, nascosto e senza volto. L’esatto contrario del Dio cristiano. Ciò che più rattrista, poi, sono le formelle del tabernacolo: che ci fa una colomba nella scena della moltiplicazione dei pani e dei pesci? Non ve n’è traccia nella scrittura. E il gatto (egizio) ai piedi del banchetto pasquale? E quel Cristo con una bandana al posto della corona di spine, e con le mani rivolte verso il basso? Ecco, nel libro tento di documentare il vero significato di questa e altra simbologia.
L’ALTARE?
Anche questo ha una forma esoterica: è una piramide rovesciata con il culmine al di sotto dell’altare. Alzando lo sguardo non va meglio. C’è il grande arazzo di Robert Rauschenberg, l’esponente della Pop Art americana scomparso nel 2008. Colui che ha sbeffeggiato il cristianesimo in chiave demoniaca, nell’opera Monogram, in cui un caprone che rappresenterebbe il Cristo è intrappolato in uno pneumatico di automobile.
L’ARAZZO PERÒ RAPPRESENTATA L’APOCALISSE. O NO?
Oppure una parodia dell’Apocalisse? Il protagonista dell’arazzo è indiscutibilmente il drago. Col suo Giudizio Michelangelo, per citare un esempio di immediata comprensione, non è stato certo equivoco: Cristo Giudice era bene al centro. Qui la stessa Vergine ha un ruolo marginale, il suo piede non schiaccia la bestia, sembra difendersi, certo non la sconfigge. Dov’è Cristo Vincitore? Dov’è l’Arcangelo Gabriele? Non ci sono. C’è solo il rendere onore ad un terrificante drago rosso a sette teste che si erge – si badi bene – al di sopra della stessa Gerusalemme Celeste, stranamente posta non sopra ma sotto di lui.
CONTEMPLA LA POSSIBILITÀ CHE CON LA SUA INDAGINE ABBIA PRESO IL CLASSICO GRANCHIO?
In tutta onestà debbo dirle che i miei studi sono stati giudicati credibili sia da esponenti del mondo ecclesiastico che da massoni professi a cui è stata chiesta una valutazione. Ciò detto però non sarebbe ragionevole escludere totalmente che io mi sia sbagliato, che tutta la mia analisi sia errata. Paradossalmente, però, la domanda più importante resterebbe in piedi: perché un cattolico totalmente estraneo alle dottrine esoteriche e alchemiche finisce per riscontrare in quelle che dovrebbero essere opere d’arte sacra dei simboli esoterico-massonici? Dov’erano i “controllori” dell’edilizia sacra mentre si realizzava un’opera dai connotati così ambigui?
IL 19 APRILE SI È APERTO UN NUOVO CAPITOLO. LE RELIQUIE DEL SANTO, DOPO 42 ANNI, SONO STATE TRASLATE DA SANTA MARIA DELLE GRAZIE ALLA CRIPTA DELLA NUOVA CHIESA, CRIPTA CHE PER LA SUA SUNTUOSITÀ NON HA MANCATO DI CREARE PERPLESSITÀ.
Da devoto del Santo non posso fare a meno di notare la lenta e inesorabile trasformazione del Santuario in una sorta di circo. La nuova cripta d’oro, che sarebbe certamente piaciuta a Ramses II o a Tutankhamon, è solo l’ultimo atto. Basterebbe leggere le volontà disattese di padre Pio, come quella contenuta nel suo testamento dell’agosto 1923: «esprimo il mio desiderio che, ove i miei superiori non si oppongano, le mie ossa siano composte in un tranquillo cantuccio di questa terra». Non esattamente sotto volte d’oro e pietre preziose, quindi.
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