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IO, CATAPULTATO NEGLI ANNI '70 TRA PICCHETTI ANTI ABORTO E STREGHE
La testimonianza (raccontata in terza persona) di chi si è sentito urlare: ''Obiettore, ti sprangheremo senza fare rumore'', ''Solo odio, Federvita sottoterra'', ''Viscido cristiano, nella bara ti mettiamo''
di Tommaso Scandroglio
 

Sabato in occasione del Convegno di Federvita Piemonte sul tema "Per una vera tutela sociale della maternità" al collegio San Giuseppe di Torino, si è svolto un presidio organizzato dai collettivi femministi, vicini al centro sociale Askatasuna. Tra slogan, muri imbrattati e picchetti, che hanno impedito ai relatori e ai partecipanti di poter entrare, si è reso necessario l'intervento delle forze dell'ordine per poter dare il via all'iniziativa pro life. Il convegno, alla presenza del vescovo Giovanni D'Ercole, è iniziato con notevole ritardo e alcuni relatori non hanno potuto prendervi parte. Ecco di seguito il racconto in presa diretta di uno dei relatori, la firma della Bussola Tommaso Scandroglio, che invece è riuscito ad entrare scortato da un agente di Polizia.
«Sembra musica rave», annota mentalmente il relatore, pur non sapendo bene quale musica si ascolti durante un rave. Sono le 9.10 e il relatore, mentre si avvicina al Teatro San Giuseppe, vede un furgone del Reparto mobile della Polizia e alcuni poliziotti in assetto antisommossa. L'uomo in cappottino blu e ventiquattrore nera realizza in un attimo cosa sta accadendo. Una trentina di fanciulle, che poi si apprenderà appartenenti ai centri sociali e al gruppo Non una di meno, bloccano l'accesso al Teatro. «Ma quale Stato, ma quale Dio, sul mio corpo decido io», gridano le femministe. Il relatore le guarda con occhio da maschio-etero-bianco-occidentale: «Come tutte le femministe sono poco femminili». Sul muro di fronte alcune scritte concilianti: Obiettore ti sprangheremo senza fare rumore - Solo odio, siete merda, Federvita sottoterra - Cloro sul Clero - Viscido cristiano, nella bara ti mettiamo - Nell'aborto che vorrei, antiabortista non ti vorrei (che è un involontario elogio all'antiabortista). Il relatore elabora un pensierino sulle emule di Dante: «Manco una semplice rima sono capaci di mettere insieme».
Poi altre due scritte dedicate ad altrettanti relatori del convegno: "Marrone, Torino ti abortisce" - "Adinolfi = aborto mancato". La superbia del relatore si rattrista nel non vedere scritto sul muro nemmeno un insulto a lui dedicato. Ad esempio almeno un "Dagli a Scandroglio, servo di Bergoglio".

INUTILE DISCUTERE CON CHI HA PERSO L'UDITO
L'uomo con il cappottino per sua natura sarebbe andato a parlamentare e poi sarebbe entrato a forza. Ma, seppur queste ragazze non se rendano conto, sono pur sempre donne e le donne non si toccano nemmeno con un dito. Inoltre, è inutile discutere con chi ha perso l'udito per aver ascoltato l'errore per troppo tempo e a volume ideologico troppo alto.
Il relatore allora si avvicina ad un agente e chiede lumi. «Guardi torni indietro e giri a sinistra senza farsi notare e provi ad entrare dall'altra parte». L'uomo con la ventiquattrore fa finta di chiedere informazioni perché il gruppetto di fanciulle, che probabilmente avranno ricevuto un Daspo per tutti i centri di estetica italiani, è molto vicino e può sentire.
Allora lascia via Andrea Doria, ma anche l'accesso in via San Francesco da Paola è ostruito da un gruppetto di amazzoni della rivoluzione. Passa in mezzo a loro. Queste lo guardano, lui le guarda, loro abbassano lo sguardo. Continua a camminare, svolta di nuovo a sinistra in via dei Mille. Anche il terzo ingresso è presidiato. C'è una camionetta dei carabinieri e alcuni uomini dell'arma anche loro con caschi e scudi. Si avvicina ad un gruppo di uomini che sono vestiti così in borghese che si capisce lontano un miglio che sono della questura. Il relatore si presenta e chiede ad uno di questi: «Perdoni, ma qui si configura l'illecito penale di violenza privata perseguibile anche d'ufficio. Non fate nulla?». E l'altro assai cortese: «Ha perfettamente ragione, ma adesso cerchiamo di capire come intervenire». Il relatore lo rincuora: «Capisco benissimo che non potete usare le maniere forti altrimenti domani su tutti i giornali uscirebbero titoli come Il governo fascista e patriarcale manda all'ospedale il dissenso. Basterebbe un graffio sull'immacolata testa di una qualsiasi di queste fanciulle e un'altra testa, quella del Ministro dell'Interno, cadrebbe all'istante». Lo sguardo dell'agente parla da sé.

SLOGAN VECCHI DI CINQUANT'ANNI
Le ragazze del collettivo, tra cui una vestita da simil Gabibbo, urlano: «L'aborto non si tocca!». E poi: «L'utero è mio e lo gestisco io!». Slogan vecchi di cinquant'anni. Sembra di essere tornati agli anni Settanta, ma tutto appare anacronistico e così prevedibile, stereotipato, polveroso. Attaccano un microfono ad una cassa portatile. Una rabbiosa invettiva sul corpo delle donne che deve diventare un sepolcro per i loro figli, sulla libertà di scelta di essere mandanti di un omicidio, sulla persecuzione di quei medici che non vogliono fare i sicari, come ha detto Papa Francesco. Tutto berciato con la schiuma alla bocca. «Più che Non una di meno mi pare Ma ora ti meno», conclude mentalmente l'uomo con il cappottino.
La pietà verso queste fanciulle masticate da una vetero cultura femminista è frammista dalla noia di ascoltare un disco rotto. Gli agenti della questura scattano foto alle ragazze e le ragazze ricambiano. I click degli smartphone hanno sostituito lacrimogeni e bombe molotov.
Passa il tempo, l'uomo con la ventiquattrore chiama alcuni organizzatori: sono riusciti ad entrare prima che arrivassero le paladine dell'utero vuoto di vita. Ritorna in via Doria. Un giornalista lo intervista. Il relatore parla di aborto come assassinio, di inesistenza del diritto dei medici di uccidere le persone perché chiamati a fare l'opposto, al dato che tutte le donne dal '78 ad oggi che hanno voluto abortire lo hanno fatto senza problemi, purtroppo. Il giornalista chiede in continuazione se ha capito bene, se davvero crede vere tutte queste cose. «Senta - risponde il relatore - se voleva altre risposte, poteva andare da quelle lì con gli striscioni in mano».
Le forze dell'ordine intanto hanno chiuso via San Francesco. I collettivi rosa hanno compreso che gli sbirri, come li chiamano loro, vogliono organizzare un cordone per far entrare nel teatro relatori e pubblico e dunque tutte la giacobine convergono in via San Francesco. Un agente inizia a discutere con loro. Il relatore è troppo lontano e non riesce a sentire.

OLTRE LO SLOGAN IL BUIO
Invece accosta un altro uomo in borghese della questura: «Senta, voglio entrare». E lui: «Allora mi segua». Fanno un ampio giro per seminare alcune sentinelle. La scena è surreale: un agente di polizia deve seminare chi si è macchiato almeno di qualche reato in quella giornata. «L'hanno già inquadrata», fa l'agente al relatore e questi pensa: «Ovvio, sono venuto vestito in alta uniforme da conferenziere». Tornano a via dei Mille, ormai deserta. L'agente chiama il custode che apre la porta mentre si avvicinano altri partecipanti al convegno. Purtroppo questi sono stati pedinati. Ecco allora che il relatore e i partecipanti si fiondano nello stretto vano della porta immediatamente seguiti da una ragazza che riesce mettere un piede tra la porta e lo stipite. Con eccelsa grazia e delicatezza il piede viene divelto dalla porta.
«Sono dentro», mormora tra sé il relatore. Altra scena surreale. Sembra di essere in un fortino. Asserragliati dai nemici dei bambini, che dentro quel teatro invece trovano protezione, sequestrati dall'abortismo estremo, ostaggi del pensiero unico che fa passare dentro il teatro unicamente chi vuole, che dialoga solo con chi la pensa uguale, che ha l'esclusiva sull'inclusione, che accetta le differenze solo se sono identiche al suo modo di pensare, che è per il pluralismo delle idee a patto che quelle idee vengano solo da una parte, che è per la pace ma solo con gli amici. All'uomo in cappottino viene da pensare che la libertà di pensiero in Italia è tutelata benissimo: intervengono addirittura dozzine di agenti e carabinieri per difenderla. Il relatore entra in teatro. Le luci sono fioche. Una decina di persone recitano il rosario guidato da Mons. Giovanni d'Ercole, vescovo emerito di Ascoli Piceno e uno dei relatori. L'uomo con la ventiquattrore incontra poi un amico che ha parlato con alcune di queste ragazze. Incalzate sul fatto che il nascituro è un essere umano ad un certo punto se ne sono andate. Il buio oltre lo slogan.
Dopo due ore il cordone di polizia fa entrare i partecipanti e finalmente iniziano le relazioni. Adinolfi e l'assessore regionale Marrone non verranno. Strategia mediatica per farsi passare come vittime di una protesta illiberale. Una consapevolezza pare aleggiare in platea: convegno riuscitissimo. Le agenzie di stampa battevano la notizia già prima dell'inizio del convegno.
Arriva l'ora di pranzo. Le femministe tornano a casa. La mamma ha fatto i ravioli con ripieno di ricotta. I ravioli sono più efficaci dei manganelli e la rivoluzione può attendere. La fame è pro-life.

Nota di BastaBugie:
Julio Loredo nell'articolo sottostante dal titolo «A Torino si è mostrata la dittatura abortista» completa con la sua esperienza il racconto di Tommaso Scandroglio.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 14 ottobre 2024:

Sabato 12 ottobre, si è tenuto a Torino il convegno di FederVita Piemonte dedicato al tema "Per una vera tutela sociale della maternità". Avrei dovuto dire che si è a malapena tenuto, poiché è stato pesantemente boicottato e assalito da uno stuolo di femministe militanti, appartenenti a diverse realtà della sinistra. Arrivate prima dell'orario di apertura, le femministe hanno bloccato l'ingresso, impedendo fisicamente alle persone di accedere al teatro del Collegio San Giuseppe, in via Andrea Doria. Scandendo slogan minacciosi ("obiettore ti sprangheremo senza fare rumore") e facendo scudo col proprio corpo, le femministe sono riuscite a ritardare l'inizio del convegno per ben due ore. Alla fine, e solo grazie all'azione combinata della Polizia locale, la Questura e i Carabinieri, i partecipanti hanno potuto fare ingresso, scortati da agenti in assetto antisommossa. Uno dei relatori ha commentato: mi sento come in un fortino in territorio nemico. Infatti, gli agenti hanno dovuto presidiare tutti gli ingressi del Collegio per la durata del convegno.
Il convegno alla fine si è potuto realizzare, anche se con numeri ridotti. Alcuni non se la sono sentita di affrontare la furia delle femministe e sono tornati indietro. Altri, nonostante gli sforzi, non sono proprio riusciti a entrare. Fra i relatori c'era mons. Giovanni d'Ercole, vescovo emerito di Ascoli Piceno.
La protesta, in realtà, era cominciata la notte prima, quando mani ignote hanno imbrattato i muri circondanti con slogan tipo "Cloro al clero"; "Viscido cristiano, nella bara ti mettiamo"; "Dovette andare sottoterra". E uno che si stagliava su tutti: "Solo odio!". In calce, l'A cerchiata, simbolo degli antagonisti.
Io c'ero, e me la sono cavata solo perché in possesso del tesserino di giornalista. Le femministe non sono riuscite a contestare il mio diritto alla cronaca, e anche a fare fotografie. Mi hanno comunque minacciato con denunce nel caso le avessi pubblicate. Evidentemente ignorano la normativa sulla privacy, che permette la pubblicazione di fotografie di persone in luoghi pubblici purché non leda la loro dignità.
Mentre scrivo, già di sera, i pensieri si accavalcano nella mia testa. Cercherò di metterci un po' d'ordine.
1. Sento dire, di qua e di là, che l'aborto è già terreno conquistato dalla sinistra e che qualsiasi tentativo di ribaltare la situazione è ormai fuori tempo massimo, fatica sprecata, battaglia persa a priori. Dicono che la gente non ci pensa più: lo ha già "metabolizzato". La reazione scomposta delle femministe - che rappresentavano diverse realtà della sinistra - mi sembra indicare tutt'altro. L'entità di un'azione si può misurare anche dalla reazione che provoca. Se la difesa della vita innocente suscita una tale ferocia e una tale bramosia di sopprimerla, vuol dire che è ancora un tema vivo. Non ci si scomoda per qualcosa senza importanza. "¡Ladran, Sancho, señal que cabalgamos! - Ci abbaiano, Sancio, segno che stiamo cavalcando!", diceva Don Chisciotte. Ci odiano e ci assaltano, segno che stiamo avanzando, potremmo dire i difensori della vita innocente.
2. Una seconda riflessione si desume dal contenuto del convegno: la difesa della vita umana e della maternità. Come mai la difesa della vita innocente e della maternità suscita tanto odio e tanta contestazione da parte della sinistra antagonista? È chiaro che i rivoluzionari capiscono che qui c'è un filo rosso, un caposaldo della morale, della dignità umana e della civiltà che bisogna assolutamente abbattere per poter avanzare verso l'anarchia. In altre parole, vedono nella lotta in favore dell'aborto, e conseguentemente contro la famiglia, un fattore importante per l'avanzo della Rivoluzione. Lo diceva già Lenin: "Perché la Rivoluzione trionfi abbiamo bisogno delle donne. E l'unico modo per averle è toglierle dalle loro case. Dobbiamo distruggere l'istinto materno individualistico. Una donna che ama i suoi figli non è altro che una cagna". Ora, io non sempre vedo in alcuni ambienti pro-vita italiani una simile e speculare comprensione della difesa della vita innocente e della maternità come fattori di Contro-Rivoluzione. "Non bisogna mischiare le carte", mi sento a volte dire. Senza inquadrare la difesa della vita innocente e della maternità, e quindi della famiglia, in un panorama più ampio di scontro fra bene e male, fra civiltà e anarchia, insomma fra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, non avremmo mai lo stesso dinamismo né la stessa ampiezza di vedute della sinistra.
3. Un terzo elemento di riflessione lo traggo dagli slogan dipinti sui muri: "cloro al clero", "viscido cristiano", ecc. La sinistra capisce benissimo che questa è una guerra di religione. Io vedo che alcuni esponenti del mondo pro-vita negano questo fatto evidente, e vogliono restringere la loro azione alla difesa della dignità della donna, della libertà di scelta e via dicendo, cause senz'altro eccellenti, ma che non toccano il nucleo della questione: l'aborto è un problema morale, e come tale è, in ultima analisi, un problema religioso. Durante lo stesso convegno, di fronte a gruppi di persone che, impossibilitate di entrare, si erano messe a pregare sul marciapiede, non mancò chi suggerisce di non farlo "per non essere accusati di clericalismo". Escludere l'argomento religioso dalla causa pro-vita e pro-famiglia equivale a privarla della sua arma più potente. Ci piaccia o meno, questa è una guerra di religione. La sinistra lo capisce. Quanto prima lo capiremo noi meglio sarà.
4. Un'altra riflessione prende spunto dal pamphlet che le femministe distribuivano: "Non lasceremo spazio a questi antiabortisti!". Illustrato con un pugno alzato, nero e minaccioso, simbolo del socialismo. "Togliere lo spazio" agli avversari è la propria essenza della dittatura. Ed è ciò che hanno fatto, impedendo i partecipanti al convegno - perfino un vescovo - di entrare. Volevano poi infiltrarsi nel teatro per interromperne i lavori. Ossia, hanno calpestato la nostra libertà di movimento e volevano calpestare anche la libertà di parola. Non ci possiamo illudere. Non c'è niente di più brutalmente dittatoriale della Rivoluzione quando si sente trionfante. Gli abortisti sbandierano la libertà come valore definitorio della loro lotta. In realtà, la Rivoluzione dà poca importanza alla libertà per il bene. Gli interessa solo la libertà per il male. Quando è al potere, toglie facilmente e perfino allegramente al bene la libertà, in tutta la misura possibile. Sorge quindi la domanda: si può "dialogare" con questa gente?
5. Un'ultima riflessione riguarda il divario fra l'età anagrafica delle manifestanti e l'"età anagrafica" degli slogan che recitavano. La maggior parte era anagraficamente molto giovane. Ma gli slogan erano gli stessi che le loro nonne urlavano nei cortei degli anni Sessanta. Con una differenza. Confrontate con argomenti, le loro nonne sapevano ribattere. Ne risultavano a volte dibattitti non esenti di profondità e di spirito. Queste ragazze, invece, restavano mute di fronte alla minima argomentazione logica o scientifica. Ripetono senza capirli slogan insegnatigli dai leader. Aveva ragione Cristina Zaccanti, coordinatrice regionale del Popolo della Famiglia, quando commentava la "fragilità argomentativa ed esistenziale" delle manifestanti. Io stesso mi sono confrontato con tre di loro, pacatamente e al margine della manifestazione, e sono rimasto scioccato dalla loro inconsistenza dottrinale e temperamentale.
Tirando le somme, credo che sia stata un'esperienza non esente da elementi positivi, che permetterà di sollevare tante domande riguardo alla causa pro-vita nel nostro paese.

 
Titolo originale: «Io, catapultato negli anni '70 tra picchetti anti aborto e streghe»
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14 ottobre 2024