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“Non si può risolvere il flagello [dell’Aids] con la distribuzione di preservativi: al contrario, il rischio è di aumentare il problema”. Da giorni questa frase di Benedetto XVI viene accusata di insensibilità verso la tragica epidemia che colpisce molte parti del mondo, ma soprattutto l’Africa.
Il ministro olandese Bert Koenders ha detto che le parole del pontefice sono “estremamente pericolose e molto gravi” e che il papa “rende le cose più difficili”; il ministero francese degli esteri ha detto che i commenti di Benedetto XVI sono “una minaccia alla salute pubblica e al dovere di salvare vite umane”; il ministro tedesco della sanità ha giudicato “irresponsabile” il privare del preservativo i “più poveri dei poveri”.
Tanto (falso) umanitarismo di rappresentanti di governi europei è anzitutto irrazionale e per nulla scientifico. La stessa agenzia Onu per la lotta all’Aids ha dovuto confessare – in uno studio del 2003 - che il condom fallisce in almeno il 10% dei casi. Altri studi dimostrano che le percentuali di fallimento nel fermare l’epidemia raggiungono anche il 50%. In Thailandia, il dott. Somchai Pinyopornpanich, vicedirettore generale del dipartimento per il controllo delle malattie a Bangkok, afferma che si ammala di Aids il 46,9% di uomini che usano il preservativo e il 39,1% delle donne.
Anche l’affermazione del papa che “il rischio è di aumentare il problema” è confermato dalle statistiche. Paesi come il Sud Africa, che hanno abbracciato in pieno la campagna sul “sesso sicuro” con l’uso del condom, sostenuta dall’Onu, l’Unione europea e varie organizzazioni non governative, hanno visto uno spaventoso incremento della diffusione dell’Aids. Al contrario, Paesi dove si spingeva alla responsabilità, all’astinenza e alla fedeltà, hanno visto una riduzione dell’epidemia.
Valga per tutti lo studio del dott. Edward Green del Centro sulla popolazione e lo sviluppo di Harvard che ha verificato il programma ABC (Abstinence; Be faithful; Condom, cioè astinenza, fedeltà, preservativo) applicato in Uganda dal 1986 e che, dal 1991, ha visto un declino delle infezioni dal 21% al 6%. Non va dimenticato che Green era un sostenitore del “sesso sicuro” con il condom e invece è divenuto un sostenitore dell’astinenza e della fedeltà nei rapporti di coppia.
Molti studi – anche quelli promossi dall’Onu – hanno dimostrato che le nazioni che più hanno fatto uso di preservativi sono pure quelli con le maggiori percentuali di infetti da Aids. Norman Hearst, medico ed epidemiologo dell’università della California, uno studioso del settore, ha ammesso una volta: “La promozione di condom in Africa è stata un disastro”.
E tanto per vedere la “pericolosità” dell’influenza cattolica sulla diffusione dell’Aids, basta citare il caso delle Filippine, Paese cattolico all’85% dove la percentuale di malati di Aids è dello 0,01%.
Lo stesso New York Times, che in questi giorni ha attaccato il papa per la sua frase “pericolosa”, ha dovuto ammettere la vittoria sull’Aids nelle Filippine, dovuta alla moralità tradizionale, basata sull’astinenza e sulla fedeltà. In un articolo del 20 aprile 2003 definiva l’arcipelago filippino come un luogo in cui “un bassissimo uso dei condom e una bassissima percentuale di infezioni da Hiv sembrano andare mano nella mano. Gli sforzi di prevenzione dell’Aids sono spesso focalizzati sull’uso del preservativo, ma qui non sono facilmente reperibili – e in maggioranza disprezzati – in questa nazione di cattolici conservatori”.
Davanti a tutti questi dati ci si può domandare come mai personalità dell’Onu, dell’Ue e organizzazioni “umanitarie” continuino a sbandierare la necessità dell’uso dei condom e bastonano la Chiesa cattolica per la sua sottolineatura sull’importanza dell’educazione, dell’astinenza e della fedeltà nei rapporti di coppia.
È possibile che lo facciano per guadagnare? Che abbiano tutti delle azioni nelle ditte che producono preservativi? Forse no. Credo che questo accanimento sul condom e contro la Chiesa cattolica e il papa siano solo un’ultima edizione di una forma di neocolonialismo. Anzitutto – come ha detto un missionario del Pime in Africa da decenni – si pensa che l’uomo africano non possa essere educato alla responsabilità e per questo ridurre il “sesso sicuro” alla tecnica è la risposta più facile.
E non bisogna dimenticare che eliminando la responsabilità e la fedeltà dal rapporto di coppia si spinge a un uso strumentale il corpo della donna africana, e non solo. Avviene così che i più accaniti femministi, sventolando i condom, divengano i propugnatori di un nuovo schiavismo.
Ma il neocolonialismo più pericoloso è quello di far passare con la lotta all’Aids una rivoluzione pansessuale, dove manchi qualunque riferimento ideale e rimangano ferme solo due cose: l’autonomia e il narcisismo della rivoluzione sessuale e la cura contro l’Aids. Da anni l’Onu e l’Ue stanno cercando di promuovere un documento chiamato “Linee guida sull’Aids e diritti umani” in cui si suggerisce che se in ogni nazione non si cambiano le leggi sulla sessualità, l’Aids non potrà essere sconfitto. Le “Linee guida internazionali” chiedono una completa libertà sessuale dove vengano riformate le leggi che “proibiscono atti sessuali (compresi adulterio, sodomia, fornicazione e incontri di commercio sessuale) fra adulti consenzienti e in privato”, ma anche con minori (pedofilia). In tal modo le Linee guida salvano quegli atteggiamenti che sono causa della diffusione dell’Aids, ma si premuniscono chiedendo che ogni nazione metta a disposizione medicine e cure. Esse richiedono la legalizzazione internazionale del matrimonio omosessuale; l’aborto possibile ovunque e per ogni donna; ma suggeriscono che contraccettivi, condom e cure anti-Aids siano distribuiti a tutti, anche a minori usati nel commercio sessuale, (cfr. http://data.unaids.org/Publications/IRC-pub07/jc1252-internguidelines_en.pdf).
La lotta mondiale all’Aids a colpi di condom è in realtà la lotta per questa ideologia.
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