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Adesso che finalmente si è «sistemato», e vita natural durante (la carica di presidente della camera dei deputati è metafisica: semel presidente, semper presidente), potrebbe godersene tutti gl’innumerevoli privilegi e smetterla di rincorrere la legittimazione da parte dell’establishment politico, mediatico e culturale politicamente corretto, ritenendola assolutamente necessaria per fare ancora «carriera».
Una rincorsa, peraltro, che rischia di portarlo in un vicolo cieco.
Infatti, è convinto – così gli hanno detto, e lui non ha avuto tempo per approfondire – che il fascismo è stato un fenomeno – in tutte le sue articolazioni: regime, movimento, base popolare e «dottrina» – di destra. Ed allora, per farsi perdonare gli errori di gioventù e per togliersi di dosso il marchio dell’infamia, fa di tutto per piacere alla sinistra. Per rendersi tale sforzo meno faticoso e problematico, segue la via facile dell’isomorfismo mimetico (lui non sa che cos’è, ma gli assicuriamo che è proprio quello che fa).
Tanto per esemplificare: alla sinistra – anche quella cristiana – piacciono molto e a prescindere gl’immigrati, soprattutto se clandestini, e lui non perde occasione per farsene, in modo un po’ goffo per la verità, paladino, anche in riferimento alle pretese più assurde. Ma questo è ancora poco, e soprattutto è a rischio: infatti, non sono pochi i leader della sinistra europea che hanno praticato politiche sull’immigrazione assai restrittive, da Zapatero al socialista tedesco Schroeder (soprattutto quest’ultimo, che ha stabilito l’obbligo – l’obbligo non la mera possibilità, come fa la vituperata destra in Italia – per i medici di denunciare gl’immigrati clandestini che avessero a curare). Allora, per non sbagliare, si è rifugiato su un terreno più sicuro, dove l’imitazione della sinistra per assomigliarle (e piacerle) il più possibile dà più garanzie di riuscita. E così, se la sinistra – anche quella cristiana – ha in odio ogni posizione che in qualche modo sia riferibile alla Chiesa cattolica, al magistero del Papa e a quello di alcuni (solo alcuni) vescovi, o sia propria della nostra tradizione giudaico cristiana e del migliore Occidente, ma soprattutto del diritto e della verità sociale naturali, allora lui non perde occasione per attaccare la Chiesa e le sue «ingerenze» (non senza qualche perigliosa avventura nel per lui inesplorato territorio della storia), o per marcare il suo dissenso «laico» da chi vorrebbe in qualche modo tutelare il diritto alla vita e della vita, la famiglia naturale fondata sul matrimonio fra un maschio e una femmina e la libertà d’educazione, cioè i principi non negoziabili alla base di ogni sana filosofia della società e della politica.
Peccato, però, che così facendo, lui s’imprima viepiù quel marchio che tenta di cancellare. Infatti, è ben noto a chi ha studiato, anche non moltissimo, che il fascismo è stato un fenomeno dalle origini decisamente anticlericali se non anticristiane, che è entrato presto in concorrenza con la Chiesa, contestandole le «ingerenze» nell’educazione della gioventù e l’opposizione alle politiche finalizzate alla virilizzazione e purificazione della razza italica, per liberarla da tare genetiche e culturali che la potessero indebolire e farla degenerare. Così com’è noto, senza che sia stato necessario perdere la vista sui libri, che il fascismo fu un fenomeno statalista, anzi tendenzialmente statolatrico, che praticava il culto dell’autorità istituzionale e fortemente inclinato al positivismo giuridico, cioè all’idea del diritto e dei diritti come mera creazione del legislatore, titolare di un potere superiorem non recognoscens. Queste idee sono invero molto di sinistra, e per questo chi ha studiato, anche se non molto, sa che il fascismo fu essenzialmente e intenzionalmente Rivoluzionario e di sinistra, ma che godette di un consenso di destra e per questo dovette moderarsi un po’.
E che altro sono stati, se non un ritorno a tali idee, la sua opposizione al decreto del governo come estremo tentativo per salvare la vita a Eluana Englaro, condannata a morire per fame e per sete, e il suo consenso alla decisione del capo dello stato di non emanarlo, stringendo con lui una sorta di riedizione dello scellerato patto Molotov-von Ribbentrop, stavolta non contro la Polonia e le repubbliche baltiche, ma contro la vita?
Infatti, si è eccepito che il decreto legge era incostituzionale. In realtà, aveva un significativo precedente nei termini: quello emanato nel 1991 dal presidente Cossiga per vanificare una sentenza della Cassazione che avrebbe comportato la liberazione di circa quaranta imputati di reati di mafia, e così tenerli in carcere con provvedimento dell’esecutivo, e quindi era da tale precedente più che legittimato. Ma se anche fosse stato incostituzionale, questo significherebbe solo che il governo ha riconosciuto l’esistenza di una norma non scritta («Non uccidere l’innocente»), che s’impone a ogni legge positiva e a ogni sentenza della magistratura, ed ha tentato di ridarle cittadinanza nell’ordinamento giuridico dal quale era stata espulsa con sentenza dei giudici. È precisamente quello che nessuno statalismo – né comunista, né socialdemocratico, né fascista, né «democratico» – può sopportare. Di qui la predica hegeliana sulla costituzione scritta (infondata giuridicamente, ma quello che qui conta è il paradigma), sulle istituzioni da rispettare, mentre una donna veniva uccisa perché gravemente disabile.
Dunque, schierandosi contro il governo e per il capo dello stato, era convinto di uscire definitivamente dal tunnel, ed invece si è trovato nel vicolo cieco dello statalismo legalista. Un atteggiamento che non riconosce diritti e diritto superiori e sottratti all’arbitrio di giudici e legislatori, e si rifugia nel formalismo del rispetto delle sentenze – qui comunque invocato come il cavolo a merenda –, delle istituzioni e da ultimo, non potendo mancare il condimento relativista, della volontà soggettiva. Un atteggiamento che avrebbe impedito un processo come quello di Norimberga – a prescindere dal problema del giudice-vincitore e dell’imputato-vinto –, e che è sempre stato il fondamento «giuridico» di ogni totalitarismo, sia in versione soft, che in versione hard.
Insomma, la sistemazione in altissimo loco, pur ambita e simpatetica con la sua personalità, non sembra averlo placato, e continua a correre verso sinistra, pur sempre in affanno, sempre in posizione di retroguardia, sempre in preda all’isomorfismo mimetico. Senza rendersi conto, peraltro, che a sinistra incontra fatalmente anche quel fascismo dal quale cerca invano – e inutilmente – di liberarsi come da un fantasma che lo perseguita, incapace com’è di comprenderlo e così di rimuovere davvero il complesso che lo affligge. Ed in effetti, non foss’altro che per una predisposizione genetica, nell’imitazione della sinistra proprio del fascismo incarna i peggiori vizi statalistici, paganeggianti e persino eugenisti, che lo hanno caratterizzato e che aveva in comune – sebbene questa parte della sua storia sia stata spesso occultata e coperta con un certo pudore– con le socialdemocrazie nordiche e i socialismi reali.
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