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« Torna agli articoli di Carlo Bellieni
Entra in commercio la pillola abortiva e non si vede cosa ci guadagnino le donne da un sistema che risulta più doloroso e che continua ad andare nella via della privatizzazione di una scelta tragica: l´aborto. E´ come se, novità dopo novità, discutessimo sempre sui dettagli, ma ci scordassimo dei protagonisti, di quello che passano e di quelli che sono i loro diritti. Certo che il dettaglio conta: "non un aborto banalizzato, ma un aborto vissuto in tutta la sua crudezza", commenta la ginecologa Alessandra Kusterman (La carne e il cuore: storie di donne, a cura di C Bellieni. Cantagalli 2010) e le fa eco la psichiatra Claudia Ravaldi: "Continuiamo a cercare soluzioni veloci, mirate a correggere l´incidente di percorso. E trascuriamo la persona, la sua vita precedente, ciò che da questo atto giungerà come conseguenza psichica" (ibidem). Già: il dettaglio conta, ma domandatevi una buona volta cosa è un aborto, perché l´aborto è il grande censurato di questa storia. Paradosso? Proprio no: si parla di legge, metodi, ospedalizzazione, obiezioni, ma nessuno parla più (ma se ne è mai parlato?) dell´aborto, di come termina la vita del concepito e stravolge quella della madre. E davvero l´interesse della donna è allora trovare un sistema per farlo in modo più solitario? O magari le donne vorrebbero ben altro? Si impiegano risorse per far campare gli anzianotti fino a 120 anni, e ci sono donne che sono afferrate alla gola dalla tragedia della povertà. Si liberalizza la droga da sballo per vivere isolati dal mondo e ci sono migliaia di ragazze che vivono gravidanze nella solitudine e nell´abbandono. Si spendono miliardi per non farsi sfuggire nemmeno un bambino down all´analisi prenatale, e ci sono centinaia di genitori che non trovano soldi per curare i loro amati bambini colpiti da sindrome down così come da altre terribili malattie. Allora, il bisogno primo della gente è come eliminare meglio il bambino concepito o come trovare un clima culturale per abbracciarlo e trovare i soldi?! Chiedetelo a tutte le mamme che hanno abortito. Chiedetelo a tutte le ragazzine se il loro desiderio è fare figli o trovare il modo di non farli nascere. Perché non farli nascere è una scorciatoia, e come tutte le scorciatoie appare una via percorribile come l´altra, sennonché è facile che ci siano buche e sterpi. Ma è davvero una libera scelta abortire? O è imposto dal clima del figlio unico culturale (più feroce di quello del figlio unico di stato cinese), dall´obbligo di procreare dopo i 30 e di farne uno solo, dall´obbligo sociale - e che obbligo!- di farlo perfetto perché altro non è permesso: se nasce "diverso" tutti ti guardano e ti domandano di soppiatto "Ma non lo sapeva prima?" "Ma non ha fatto la diagnosi prenatale?". E´ davvero una scelta abortire, quando vengono abortiti quasi tutti non solo i bimbi con ritardo ma anche quelli che hanno anomalie genetiche che non danno gravi alterazioni, come la sindrome di Turner o di Klinefelter, nomi strani ,ma che significano bassa statura nel primo caso e eccessiva altezza con talora (non sempre) un po´ più di insuccesso scolastico nel secondo? E quanto è una scelta delle future nonne, piuttosto che quella delle future mamme che invece il figlio lo vorrebbero contro il parere dei genitori (basta vedere il boom di gravidanze e nascite adolescenziali all´estero)? Domande, domande: domande da non far crollare sotto la sfera delle procedure. La pillola abortiva non ci piace, soprattutto perché sposta ancora una volta il dibattito dal dolore e dai diritti dei protagonisti, e risulta un nuovo alibi per non discutere su come aiutare le donne. Le ragazze invece vorrebbero essere davvero libere di far famiglia e figli e sono pronte a premiare chi apre loro questa prospettiva e a punire, col libero voto, chi invece sa solo offrire nuove "procedure".
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