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« Torna agli articoli di Carlo Cambi
Aveva ragione Otto von Bismarck: meno la gente sa come sono fatte le salsicce e le leggi, più dorme tranquilla. In due giorni abbiamo appreso che la soia è - sic - il cereale più ricco e sano - parola del quotidiano Libero che ripiglia il parere di un noto nutrizionista - e che due degli uomini più ricchi della terra - Bill Gates e Richard Branson - e che più si sono avvantaggiati della globalizzazione finanziano la produzione di carne sintetica.
Il combinato disposto dell'ignoranza da una parte e della credulità dall'altra fa sì che stiamo scivolando verso una gastrocrazia che comanderà il mondo semplicemente perché mangia meglio. Ci vogliono fare fessi a tavola per ottenere un doppio risultato; da una parte darci l'illusione di essere satolli, dall'altra imporci regimi alimentari che consentano alle élite di essere sempre più in condizione dominante, azzerando le identità agricole e gastronomiche. Perciò ogni giorno c'è una notizia falsa o mirabolante sul cibo.
LE ORRIBILI POLPETTE
Tutto ruota attorno all'approvvigionamento di proteine. I più vecchi ricorderanno che il piano Marshall prevedeva massicce dosi di proteine, tant'è che in Italia i primi allevamenti intensivi di polli furono messi su con i consigli e i soldi degli americani. Poi ci hanno colonizzato con le orride polpette. Ora ci provano con la carne sintetica, con gli insetti commestibili e facendo pubblicità in tutti i modi al primo alimento che non costa nulla, che è manipolabile e che se diventa di massa fa diventare ricchissimi: la soia.
Fateci caso: tutti i regimi alimentari alternativi, alla moda, hanno come primo ingrediente la soia. Non il riso, perché la Cina ne ha un bisogno disperato, non la carne, perché deve essere riservata a chi comanda, non il pesce per la stessa ragione, ma soia perché è come un foglio di carta bianca: puoi imporle qualsiasi sapore illudendo chi la mangia di preservare la propria identità alimentare, quando in realtà diventa anche a tavola suddito della globalizzazione.
LA GASTROCAZIA
Libero si è fatto paladino di questa offensiva di azzeramento delle identità gastronomiche, facendoci credere che gli spaghetti fatti con la soia - cosa impossibile - sono i più sani. In un articolo firmato da Claudia Osmetti, si legge che la farina di kamut è più leggera. Ignora che Kamut è il marchio commerciale imposto dagli americani a un grano che hanno scippato all'Africa, il khorasan. In Italia ci sono grani in tutto simili, come i saragolla e i turanici. Solo che ogni chicco di kamut fa guadagnare alla multinazionale royalty e a chi lo consuma l'illusione di un valore nutrizionale.
Ma il massimo su Libero lo si raggiunge quando, per spiegarci come un'indagine Dòxa Aidepi certifica che è cresciuto il consumo di pasta integrale, il nutrizionista Giuseppe Rotilio, nientemeno che capo del dipartimento di Promozione della qualità della vita all'Università San Raffaele di Roma, afferma: «La pasta che al suo interno utilizza farine di cereali è meno raffinata, il che significa che è anche meno assimilabile. L'unico cereale completo da un punto di vista nutrizionale è la soia, ma in Italia viene usata ancora poco».
La cronista racconta come il parere di Rotilio venga confermato da un'altra nutrizionista, Fabiola Ficarra, che di suo ci mette il carico da undici: «Noi italiani siamo molto tradizionalisti, non rinunciamo facilmente alla pasta: assumere cereali che hanno l'aspetto di spaghetti o maccheroni è una buona alternativa. Il farro va molto bene per gli sportivi ed è ricco di fibre che aiutano anche chi soffre di diabete. Il kamut è molto ricco di proteine. La segale è un alimento a basso contenuto calorico e glicemico: è ottima nella prevenzione delle patologie cardiovascolari».
Vi diciamo la verità: il kamut è un grano duro come molti altri, non ha nulla di speciale, tutte le paste sono fatte solo con cereali. Quelle a base di legumi non possono chiamarsi paste. Gli autorevoli nutrizionisti hanno confuso cereali con legumi. Perché la soia è un legume.
CINGHIALE IN PROVETTA
Ma ora è lecito il sospetto: perché sbagliare proprio a vantaggio della soia, quella che l'Europa ha giustamente penalizzato, impedendo che si parli di latte di soia come di bistecche di soia perché latte e bistecca sono nomi che possono darsi solo agli alimenti di origine animale? Per le spinte globaliste. Le stesse che ci illudono - con grande stupita enfasi dei nostri giornali - che mangeremo l'abbacchio sintetico, il cinghiale in provetta, la chianina di sintesi.
Sì, perché la start up che il signor Microsoft e Mr Virgin hanno ampiamente foraggiato - lucrando milioni di dollari dal rialzo in Borsa delle azioni dei macellai sintetici - è dedita a produrre carni dalle staminali degli animali. La motivazione di questi esperimenti è apparentemente benefica; non si può continuare ad allevare animali perché il pianeta ne soffre, è giusto che tutti abbiano proteine.
A CENA 1.000 CAVALLETTE
Il bello è che i vegani esultano: mangeremo simil-carne. Una spiegazione forse c'è: la moda vegana è stata imposta per indirizzare i consumi alimentari verso la massima massificazione e il massimo profìtto. Le ragioni sono sempre le stesse: la terra non può sfamare tutti, dunque servono alternative. Le cose non stanno così: per sfamare con le verdure un uomo, sì consuma tanta acqua e molto più suolo che per sfamarlo con la carne. Perché vanno misurate le quantità equivalenti e così, per assumere tante proteine quante se he assumono con ì etto di manzo, bisogna mangiare 1.000 cavallette.
La verità è, invece, che se si difendono le agricolture di prossimità e i cibi tradizionali, sta in equilibrio tanto l'ambiente, quanto l'economia non globalizzata. E l'identità gastronomica è il più potente antidoto all'omologazione globale. Proprio quello che i signori della fame non vogliono e che l'ignoranza di chi informa agevola. Anche se de gustibus non est disputandum e ragionando d'insetti e di fagioli globali ogni scarrafone è buono a mamma soia.
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