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« Torna agli articoli di Costanza
Lo so che san Francesco di Sales era ieri, e quindi avrei dovuto scrivere l'altro ieri in modo da pubblicare nel giorno giusto, ma invece mi sono ritrovata a finire l'ufficio delle letture alle 23.52, e quindi niente, eccomi. Che santo fosse lo sapevo, perché è il patrono dei giornalisti, e allora mi ricordo ogni anno che sta per scadere la tassa annuale di iscrizione all'Ordine (ognuno ha i suoi promemoria).
Insomma, mi ritrovo che è già domani, e io ancora sto leggendo il brano tratto dall'Introduzione alla vita devota. Mi ricordo così che la Filotea campeggia da anni in quella sezione della mia libreria, che attualmente consta di tre scaffali, dedicata ai libri che assolutamente devo leggere, che ho comprato e messo da parte per quando smetterò con questa illogica abitudine di andare anche a dormire, ogni tanto.
Però, quando un libro te lo consigliano tipo otto sacerdoti, probabilmente il cielo ti sta facendo arrivare un messaggio, neanche troppo criptato: LEG-GI-LO, zuccona! (Zuccona l'ho aggiunto io ma Dio non potrà che concordare).
E così questa sera mi ci sono messa. Che dire, giusto una giornalista poteva recensire un libro senza averlo finito, però ecco, mi premeva non lasciar passare la sua festa senza dare anche a voi questo compito a casa che mi sono assegnata. Il monaco wi-fi non dovrebbe mancare la lettura di questo classico, che è stato il primo a prendere sul serio il desiderio di Dio dei laici, e a proporre alle persone che vivono nel mondo un piano intelligente e organizzato "per condurre l'anima dal primo desiderio della vita devota fino alla ferma risoluzione di abbracciarla".
Non si può non amare questo vescovo nobile nato nel '600 in Savoia da famiglia ricca e molto ben inserita, insomma il massimo dello chic, che rinuncia a tutto, e che ha il coraggio di dire "scrivo di vita devota senza essere devoto, ma non mi manca il desiderio di diventarlo" (si sa che i santi più sono santi più vedono i propri limiti, perché illuminati inpieno dalla luce di Dio).
Il trattato è diviso in cinque parti: nella prima parla di come organizzare seriamente i nostri buoni propositi, nella seconda dei mezzi per avvicinarsi a Dio (sacramenti e preghiera), nella terza delle virtù e dei consigli per rafforzarle, nella quarta degli inganni del nemico, mentre nella quinta "guida l'anima un po' in disparte per rinfrescarsi", prima di riprendere il cammino più speditamente.
Il brano che ogni anno la Chiesa ci ripropone all'Ufficio delle letture [vedi nota in fondo all'articolo, N.d.BB] è quello in cui ci ricorda che una madre di famiglia non può non metter da parte nulla come i cappuccini, né un artigiano passare tutto il giorno in chiesa come un religioso (insomma, il famoso fenomeno delle parrochesse, le donne che stanno più in parrocchia che in casa).
Davvero una miniera di intuizioni e chiarimenti lucidi e intelligenti, come sto sbirciando qua e là tra le pagine. Mi rituffo nella lettura... [...]
Nota di BastaBugie: nell'articolo è stata citato un brano tratto dalla Filotea o introduzione alla vita devota di S. Francesco di Sales (Parte 1, Cap. 3), che spiega come la vera devozione sia possibile in ogni vocazione e professione.
Eccolo nella sua interezza:
Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna «secondo la propria specie» (Gn 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione.
La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall'artigiano, dal domestico dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta; bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona.
Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente se il vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l'artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammissibile? Questo errore si verifica tuttavia molto spesso. No, Filotea, la devozione non distrugge nulla quando è sincera, ma anzi perfeziona tutto e, quando contrasta con gli impegni di qualcuno, è senza dubbio falsa.
L'ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.
Tutte le pietre preziose, gettate nel miele, diventano più splendenti, ognuna secondo il proprio colore, così ogni persona si perfeziona nella sua vocazione, se l'unisce alla devozione. La cura della famiglia è resa più leggera, l'amore fra marito e moglie più sincero, il servizio del principe più fedele, e tutte le altre occupazioni più soavi e amabili.
È un errore, anzi un'eresia, voler escludere l'esercizio della devozione dall'ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. È vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta.
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