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« Torna agli articoli di Davi
In nome dei bambini. Certo, in nome e per conto loro. Come sempre. Anche se poi i bambini sembrano chiedere altro. Fanno un certo effetto le due pagine intere che il Corriere della Sera di ieri, giornale di industriali e banche, dedica alla presenza in Italia dei bambini che crescono all’interno di coppie omosessuali. Dal punto di vista giornalistico, a un lettore attento, sembrano quasi un autogol, una involontaria ironia. Tutta una pagina in cui, in nome dei bambini, si chiede riconoscimento legale per la volontà di coppie omossessuali di avere figli, e l’unica volta che in quella pagina si lascia parlare un bambino, lui racconta che i suoi compagni gli chiedono perché ha due mamme. E racconta che anche se lui, bene indottrinato da chi lo cresce, si mette a parlare di «diritti» (a otto anni!) spiegando che le ha sempre avute, alla fine i suoi compagni gli richiedono: perché hai due mamme?
Evidentemente ai bambini i conti non tornano. Ma qualcuno, in nome loro, sta provando a farli comunque tornare. Sarebbero «centomila» secondo il titolo che, naturalmente, li inserisce in nuove «famiglie». I dati sono altrettanto naturalmente forniti da Arcigay, e vengono dalla stima che il 17,7% dei gay e il 20,5% delle lesbiche con più di 40 anni ha prole. Il che significa che si assommano, senza distinguere, bambini nati da matrimoni eterosessuali poi falliti e 'traslocati' in coppie omosessuali e bambini nati già all’interno di tali coppie da fecondazione a mezzo di donatori.
Insomma un dato un poco eterogeneo. E che serve, evidentemente, a dare forza alla richiesta, sempre a nome dei bambini, da parte degli omosessuali che in misura del 49% vuole avere un figlio. La doppia pagina è uno 'spottone ' gratis, senza alcuna voce in contraddittorio, ad un’associazione che si occupa di queste cose, e che sta immaginando alcune battaglie legali che facciano leva sulle discrasie delle leggi presenti nei diversi Paesi Ue. L’obiettivo è fare breccia nell’ordinamento che in Italia tiene saldo il riconoscimento giuridico dei genitori naturali, salvo poi le varie possibilità di affido, di riconoscimento... Dunque, in nome dei bambini, i quali secondo il Corriere sarebbero oggi discriminati in Italia, si vorrebbe non tanto assicurare ai bambini diritti certi, quanto alcune prerogative ad alcune categorie. In nome dei bambini si mira a riconoscere una prerogativa a chi fa certe scelte ma non vuole viverne le conseguenze. Come quella, per chi decide una convivenza omosessuale, di non riuscire a procreare figli. C’è qualcosa di spinoso in questo dolce e colorito parlare di bambini: in nome loro si vuole evitare la propria responsabilità. In fondo si tratta di rendere tutto uguale, cioè evitare il principio di responsabilità. Sarebbe un grande tema, da trattare con onestà intellettuale e apertura. Come spesso mostrano anche esponenti del mondo omosessuale. E che si può trattare con grande rispetto dei fatti e delle persone. Sia omosessuali che etero. Invece il Corriere cita al lettore ignaro il fior fiore di esperti di infanzia e famiglia che si prodigano in consulenze che finiscono, anch’esse, per suonare quasi ridicole, tanto sono faziose.
Come quella di una psicologa e una sociologa che dipingono i figli cresciuti da omosessuali come bambini più tolleranti, meno conformisti, cresciuti da genitori con più alto grado di istruzione e autoconsapevolezza di quelli eterosessuali. Una specie di bambini perfetti in mezzo a coppie perfette. Dirò ai miei quattro piccoli che sono stati veramente sfortunati. O addirittura, tali consulenze si rivelano in realtà dei 'razzismi al contrario'.
Come quando lo psicoterapeuta intervistato dopo aver definito molto meglio le condizioni 'familiari' vissute dai piccoli cresciuti da omosessuali denuncia il «vero pericolo» per i pargoletti: «I pregiudizi di una società, la nostra, in cui la famiglia è quella tradizionale, sposata, magari in chiesa. Su questo c’è da combattere». In nome dei bambini, naturalmente.
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