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Dopo una serie di incontri con diverse amministrazioni comunali, è partita la macchina organizzativa dei vari gay pride, che sposteranno qualche migliaio di attivisti LGBT da una città all'altra della penisola.
Tuttavia, dopo i primi permessi, i sindaci di Genova e Trento hanno fatto opportune precisazioni: non potendo negare il permesso per l'occupazione dello spazio pubblico, la provincia di Trento ha negato il patrocinio al gay pride perché, secondo il suo presidente Ugo Rossi (autonomista, centro sinistra), «non apporta alcun contributo alla crescita e valorizzazione della società trentina».
Niente patrocinio anche dal Sindaco di Genova, Marco Bucci (civico, centro-destra) che ricorda come la propria amministrazione abbia fin da subito dichiarato di voler patrocinare solo «iniziative non divisive per la cittadinanza o comunque non offensive per qualsiasi fascia della popolazione genovese, avendo questa scelta anche un onere economico per la collettività».
È evidente che qualcosa sta cambiando: gli esponenti dei partiti hanno probabilmente capito che i voti della galassia LGBT sono minimi (a Bologna, nel 2017, soltanto 109 donatori) e fanno perdere voti, specialmente nelle piccole città di provincia.
Pertanto, le dichiarazioni dei due sindaci citati possono fornire indicazioni sul come fermare l'annuale caravanserraglio di bestemmie, oscenità, porcherie e irrisione della religione cattolica.
1) ATTIVITÀ PREPARATORIE
Una costante attività di informazione (ad es. con una newsletter periodica) oppure una serie di incontri ai quali si invitano gli esponenti dei partiti meno ostili alla famiglia, può essere una buona preparazione delle successive attività. Tali esponenti aderiscono con facilità perché generalmente sanno che questo è il sentimento profondo della maggior parte delle persone.
Nel caso in cui, invece, ci si muova per la prima volta, un incontro organizzato e reclamizzato da una pluralità di associazioni può essere di aiuto, specialmente se presenziano esponenti dei partiti (richiamano i mass-media).
2) ATTIVITÀ VERSO LE AMMINISTRAZIONI COMUNALI
È utile che un'associazione "pilota" chieda per iscritto ai sindaci (in una provincia di medie dimensioni come Bologna ce ne sono solo 55) di negare il patrocinio al gay pride, ribadendo gli argomenti enunciati dai loro colleghi di Genova e Trento: è un evento divisivo, che non aiuta in alcun modo la crescita del territorio, comprendente manifestazioni che offendono buona parte della popolazione e comporta una spesa non giustificabile. La lettera va ovviamente inviata alla stampa locale, così come un comunicato stampa di "condanna" del patrocinio eventualmente concesso.
La condivisione del comunicato da parte dei consiglieri comunali più sensibili alla difesa della vita e della famiglia generalmente aiuta ad avere eco mediatica. Se il Comune è guidato da una maggioranza non nemica della vita e della famiglia è opportuno che un consigliere proponga una delibera.
3) ATTIVITÀ INFRA-ECCLESIALI
In alcune Diocesi può valere la pena incontrare il Vescovo per chiedere di dar corso a una processione o altra forma di riparazione pubblica alle offese generalmente arrecate da un gay pride.
Nel caso in cui il Vescovo non lo ritenesse opportuno, un gruppo di associazioni può autonomamente promuovere un momento di preghiera in una Chiesa a grande visibilità cittadina. Ma si ritiene sempre controproducente andare incontro ad un pubblico biasimo da parte della Curia vescovile.
Al contrario, una presa di posizione - anche soltanto indiretta - da parte del Vescovo può essere considerata la migliore forma di contrasto.
L'eventuale interruzione di funzioni liturgiche, così come l'aggressione da parte degli attivisti LGBT - pur costituendo quasi sempre un'offesa a Dio - può tuttavia rivelare alla popolazione lo scopo ultimo del movimento omosessualista.
4) ASPETTI ECONOMICI
Ogni gay pride ha costante bisogno di sovvenzioni e contributi per farsi pubblicità, affittare spazi e locali, realizzare insegne e striscioni, ecc. Lo studio e la ricerca di finanziamenti inizia generalmente 2 mesi prima.
Pertanto, se si ha la possibilità di render note tali sponsorizzazioni attraverso i mass-media è sempre bene farlo, perché la stragrande maggioranza dei clienti/utenti dello sponsor non gradisce le manifestazioni di cui si parla.
Qualora si disponga di adeguata strumentazione informatica, può anche essere opportuno lanciare campagne di boicottaggio verso gli sponsor che sono generalmente impreparati a questo tipo di reazione da parte dei cattolici.
Nota di BastaBugie: ecco altre notizie dal gaio mondo gay (sempre meno gaio).
LABURISTI: TRANS NELLE QUOTE ROSA. E IN 300 DONNE LASCIANO IL PARTITO.
Il Comitato direttivo nazionale del Partito laburista inglese ha fatto sapere che le quote rosa sono "sempre state aperte a tutte le donne, che ovviamente include donne trans". A complicare la vicenda si aggiunge il fatto che per essere donna trans pare basti un'autocertificazione per il partito. In tal modo qualsiasi maschio potrebbe far parte della quote rosa a prescindere da trattamenti ormonali e operazioni chirurgiche. Il Comitato esecutivo deve ancora discutere della questione.
300 attiviste laburiste sembra che abbiano lasciato il partito per protesta dato che essere donna trans non significa - correttamente - essere donna. Una di queste attiviste ha rilasciato questa dichiarazione ad un giornale: "Perché dovremmo essere noi a lasciare il nostro spazio? Un uomo trans-identificato che dice: 'Io sono una donna, quindi ho il diritto di essere in questa lista', questo è ciò a cui mi sto opponendo, nient'altro. Ritornerò nel partito quando sento che difenderà e rappresenterà le donne".
E' l'eterogenesi dei fini. Le femministe - e molte di esse provengono dal partito laburista - hanno battagliato per anni al fine di eliminare i ruoli femminili e maschili dalla società, considerati residui ancestrali di epoche patriarcali, ed ora si lamentano che gli uomini vogliano fare le donne.
(Gender Watch News, 5 maggio 2018)
IL RITRATTO DI OSCAR WILDE CHE LA VULGATA GAY NASCONDE
Il recente film Happy Prince: l'ultimo ritratto di Oscar Wilde, scritto, diretto e interpretato da Rupert Everett, uno dei nomi più importanti del cinema britannico, ha il grande merito di presentarci gli ultimi giorni di uno dei più celebri e celebrati scrittori degli ultimi due secoli mostrandocelo in tutta la sua interezza, con tutte le sue contraddizioni, con la sua fragilità di fronte alle tentazioni, ma anche con quel desiderio di Dio che lo portò, prima di morire, a convertirsi al Cattolicesimo e a chiedere i Sacramenti.
Un aspetto, quello della religiosità di Oscar, che è spesso censurato da chi lo vuole ridurre a semplice icona gay.
Mentre era detenuto nel carcere di Reading, condannato a due anni di lavori forzati, lesse numerose opere religiose, tra cui tutte le opere di John Henry Newman. In carcere si riconciliò con la moglie: si abbracciarono dopo tanto tempo, parlarono tutto il tempo possibile, soprattutto dei figli e Oscar si raccomandò che la moglie non li viziasse, e li educasse in modo che qualunque cosa facessero, anche la più sbagliata, non mentissero e tornassero comunque da lei per raccontargliela: solo così poteva insegnare loro cosa fosse la redenzione.
Wilde aveva avuto modo di riflettere profondamente sulla sua storia, e sul suo rapporto con Bosie Douglas, il giovane che l'aveva condotto alla rovina. Scrisse una lunga lettera all'ex amico, che anni dopo venne pubblicata col titolo De Profundis. Era davvero il grido di dolore di Oscar dal profondo delle sua notte più oscura, un'oscurità che tuttavia non aveva preso la sua anima. Anzi: dopo molto tempo Oscar sembrava riuscire a scorgere dentro se stesso, a leggere tra le righe della sua vita.
Scrisse: "Ora trovo nascosto in fondo alla mia natura qualche cosa che mi dice che nel mondo intero niente è privo di significato, e tanto meno la sofferenza. Quel qualche cosa nascosto in fondo alla mia natura, come un tesoro in un campo, è l'umiltà. È l'ultima cosa che mi sia rimasta, e la migliore di tutte; la scoperta finale a cui sono giunto; il punto di partenza per una evoluzione nuova".
Dopo la scarcerazione, Oscar trascorse due anni di vagabondaggio, di confusione, di solitudine. Rivide purtroppo Bosie, che lo portò con sé in Italia, a Napoli, dove Oscar vide per l'ultima volta la sua natura malvagia in azione, e chiuse definitivamente il loro rapporto. Non rivide più la moglie, che morì a Genova per gli esiti di una lesione alla spina dorsale. Infine trascinò la sua vita, segnata ormai dalla malattia, a Parigi.
Venne raggiunto a Parigi dal vecchio amico Robbie Ross, che era stato il suo primo amante di sesso maschile. Robbie, tuttavia, proprio grazie ad Oscar aveva scoperto il Cattolicesimo, si era convertito e aveva mutato radicalmente la propria vita. Robbie ora era per Oscar "solo" un amico, un'amicizia profonda e preziosa. Con Ross parlava dei suoi figli, che l'amico visitava regolarmente, e fu felice di sapere che uno di loro, Vyvyan, era diventato cattolico.
Ora voleva anche lui compiere finalmente il grande passo, dopo aver atteso tutta la vita. Robbie fu sorpreso e commosso, e sembrava quasi non credergli. Gli chiese se fosse proprio convinto. "Il cattolicesimo è la sola religione in cui morirei" aveva detto dopo il suo rilascio dal carcere, ed ora, per una volta, voleva essere di parola.
Aveva vacillato tutta la vita, mentre intorno a lui i suoi amici, uno dopo l'altro, si convertivano: Robbie, Gray, Beardsley, e infine suo figlio.
Oscar morì con questa consolazione. Robbie quando vide che stava iniziando l'agonia si precipitò a cercare un sacerdote. Andò presso un vicino convento di padri passionisti, e per quanto incredibile possa sembrare, vi trovò un religioso irlandese, padre Cuthbert Dunne.
Oscar ricevette i Sacramenti dalla mani di un connazionale, un uomo dell'Isola del Destino che la Provvidenza aveva voluto che incontrasse nel momento finale. Perse coscienza mentre nelle sue mani stringeva il rosario di padre Cuthbert.
Era il 30 novembre del 1900, ed Oscar Wilde moriva in pace.
(Rino Cammilleri, La Nuova Bussola Quotidiana, 5 maggio 2018)
IN BELGIO È CHIESA ARCOBALENO: OK AGLI ATTI OMOSESSUALI
Il cardinale Jozef De Kesel, l'uomo che ha distrutto - con la complicità della Santa Sede - la Comunità dei Santi Apostoli, fiorente di vocazioni nel Belgio de-cristianizzato, ha incontrato il gruppo gay HLMW il 24 aprile scorso e ha detto che «La Chiesa deve rispettare di più gli omosessuali, anche nella loro esperienza di sessualità». Cioè che atti come la sodomia, da sempre condannati nell'Antico e nel Nuovo Testamento potrebbero trovare un'approvazione ecclesiastica.
Inutile dire che tutto questo è in contrasto con la tradizione di sempre della Chiesa, le Sacre Scritture, il catechismo e vari documenti anche recenti della Santa Sede. Secondo la pagina web di propaganda gay hlwm.be, De Kesel avrebbe affermato che la condanna degli atti omosessuali «non è più sostenibile».
Naturalmente il cardinale, pupillo del cardinale Danneels, implicato in uno scandaloso caso di copertura di abusi sessuali, e grande amico e consigliere di Jorge Mario Bergoglio, ha fatto riferimento alle parole di Francesco «Chi sono io per giudicare»; ma non ha riportato, come troppo spesso accade in questi casi, l'intera citazione, in cui si fa riferimento al catechismo, e si è limitato all'uso che ne fanno i gruppi di attivismo omosessualista. De Kesel ha detto che solo dieci anni fa osservazioni come quelle che stava facendo non sarebbero state possibili. Una frecciata a Benedetto XVI, che, secondo quanto ci dicono, non aveva una grande stima dell'attuale arcivescovo di Malines-Bruxelles. E probabilmente, sapendo quanto fosse pignolo papa Ratzinger in tema di scelte episcopali, avrà avuto le sue buone ragioni.
De Kesel ha ammesso che egli stesso, venti anni fa, si sarebbe espresso diversamente sull'omosessualità e avrebbe seguito l'insegnamento del Nuovo Testamento e della Chiesa. Secondo De Kesel, la Chiesa in Europa «è cambiata in meglio»: Invece la Chiesa in Europa Orientale, Africa e Asia non sarebbe ancora «inclusa in questo cambiamento "in meglio"».
Ma De Kesel non si è limitato a questo. Nell'incontro, come hanno riportato non pochi giornali del Paese, il cardinale avrebbe detto di voler riflettere a una qualche forma di celebrazione di preghiera per dare un sigillo religioso a una relazione omosessuale. Inutile dire che seguendo questo modo di pensare il porporato entra in diretto contrasto sia con quello che insegna la Chiesa cattolica, sia anche - pare - con quello che afferma il Pontefice regnante.
Nell'incontro con la comunità di cui parlavamo, il cardinale ha confermato di stare riflettendo a un'ipotesi del genere. Nella conversazione si è parlato sia delle relazioni omosessuali che della distinzione fra di esse e un matrimonio cristiano fra un uomo e una donna. Il cardinale avrebbe detto che si augura di poter rispondere fra non molto alla richiesta, presente in omosessuali cattolici, di poter beneficiare di un riconoscimento simbolico della Chiesa per la loro unione.
I commentatori cattolici fanno notare che a dispetto del suo progressismo spinto, un matrimonio religioso sembrerebbe andare troppo avanti. E non sarebbe favorevole più di tanto a una "benedizione" ecclesiastica, perché la somiglianza con un matrimonio naturale sembrerebbe troppo forte. L'idea del porporato, per accontentare la sua platea omosessuale, sarebbe piuttosto quella di una "celebrazione di ringraziamento", o di una "celebrazione di preghiera". Però senza scambio di anelli...
(Marco Tosatti, La Nuova Bussola Quotidiana, 7 maggio 2018)
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