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« Torna agli articoli di Elena Molinari
La sezione multimediale del Laogai Museum di Washington, dove diversi video raccontano le vicende dei prigionieri politici cinesi. In mostra gli orrori di Pechino.
Harry Wu aveva 23 anni quando venne condannato ai lavori forzati a vita. Wu, uno studente di geologia dell’Università di Pechino, era stato colpevole di aver criticato il partito comunista cinese e di aver professato apertamente la sua fede cattolica. Essere rinchiuso in un laogai (un campo di rieducazione) negli anni ’60 equivaleva a sparire per sempre. Ma Wu fu relativamente fortunato. Dopo 19 anni di schiavitù e torture in 12 campi di lavoro diversi, la morte di Mao e la successiva apertura del governo cinese al mondo esterno di Deng Xiaoping gli regalarono la libertà. Non solo, Wu ottenne persino il permesso di lasciare la Cina e nel 1985, con 40 dollari in tasca, Wu approdò in America ansioso di cominciare una nuova vita. Ma non di dimenticare.
Se la sua storia di abusi e pestaggi quotidiani si era chiusa, le sofferenze di centinaia di migliaia di prigionieri dei laogai continuavano. Wu girò gli Stati Uniti in cerca di sponsor finché, nel 1992, non riuscì a dare vita alla Laogai research foundation, un’organizzazione no-profit con la missione di documentare l’orrore dei campi di concentramento cinesi che continuarono a uccidere per tutto il XX secolo. Ancora oggi, i laogai formano la rete di campi di lavoro più estesa ed efficiente mai esistita, e grazie al lavoro gratuito di criminali e dissidenti, esportano prodotti ad alto contenuto di manodopera in tutto il mondo. Per raccontare le storie di migliaia di vittime morte di freddo, fame o torture in una delle 1.100 prigioni del sistema, Wu ha raccolto le lettere, le foto e le divise di centinaia di vittime e sopravvissuti, cui ha aggiunto migliaia di beni di consumo prodotti nei campi e li ha riuniti nel primo Museo al mondo dei laogai. Fra artefatti e testimonianze, dalla galleria, che ha aperto le porte a Washington in questi giorni grazie al sostegno del motore di ricerca Yahoo, emergono statistiche raccapriccianti. Wu e gli altri ricercatori della fondazione calcolano che dalla loro apertura all’inizio degli anni ’50, quasi 50 milioni di persone siano passate attraverso i cancelli dei campi di prigionia del partito comunista cinese. E il flusso di detenuti è andato crescendo nel tempo.
Nel 1979, quando Wu venne scarcerato, il numero delle persone incarcerate nei laogai si misurava nelle decine di migliaia. Oggi i prigionieri sono 6,8 milioni, distribuiti su tutto il territorio cinese. La maggior parte (da metà ai due terzi) sono dissidenti politici, obiettori di coscienza o religiosi non allineati con la chiesa di Stato.
Concepiti inizialmente come uno strumento di controllo politico e psicologico durante la rivoluzione culturale, oggi i laogai sono diventati anche una forza economica: una fonte inesauribile di manodopera gratuita che alimenta l’economia cinese.
Hu, noto anche in Italia per aver pubblicato un volume con cui racconta la sua storia (Controrivoluzionario, pubblicato dalle edizioni San Paolo lo scorso anno) spiega di aver assistito in prima persona all’espansione dei laogai negli ultimi vent’anni. Negli anni ’90, il dissidente ha compiuto infatti numerosi viaggi in Cina, sotto mentite spoglie, seguendo a ritroso il percorso di centinaia di prodotti in vendita nei grandi magazzini cinesi e occidentali e tracciandone le origini nelle mani di prigionieri dei laogai. Su alberi di Natale artificiali, braccialetti di plastica e giocattoli, Wu ha trovato prova di provenienza dai campi di lavoro.
In seguito alle sue scoperte, nel 1998 la commissione per le relazioni internazionali della Camera Usa pubblicò un resoconto che segnalava i prodotti emersi dai laogai e presenti sul mercato americano con i marchi Staples (cancelleria per ufficio), Chrysler e Nestlé. Un detenuto del campo di lavoro Changji, nella regione di Xinjiang, ha poi testimoniato pubblicamente che il campo produce per i fornitori cinesi di grandi marche dell’abbigliamento come Banana Republic, Neiman Marcus e French Connection.
Wu ha scoperto (e documenta nel Museo) anche un commercio illegale di organi estratti dai cadaveri dei prigionieri. A causa delle sue ricerche, l’ex prigioniero fu dichiarato un 'nemico pubblico' della Cina e durante un viaggio a Pechino fu arrestato e condannato a 15 anni di carcere. Solo una notevole pressione politica internazionale ottenne la sua liberazione dopo 66 giorni di prigione.
Grazie al suo lavoro e a quello di decine di ex detenuti, i segreti dei laogai sono diventati più difficili da nascondere per il governo cinese. Storie come quella di Wan Guifu, morto di botte a 57 anni dopo essere stato costretto per anni a rompere con le mani e con i denti semi di anguria e nocciole destinate ai supermercati cinesi, sono uscite dai fili spinati dei campi di concentramento del XXI secolo. Ora reclamano giustizia.
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