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Molte tasse e pochi tagli nella manovra Monti. Strada obbligata, hanno sostenuto in molti: è molto difficile, si è ripetuto, riuscire ad intervenire sulla spesa con una manovra ideata in meno di venti giorni.
Tale argomentazione desta qualche perplessità. Se così fosse, infatti, gli incrementi del prelievo fiscale dovrebbero essere temporanei e prevedere una data di scadenza. Così non sembra essere, in particolare per quanto riguarda l'aumento delle accise sui carburanti: aggravio che fa seguito ad altri tre interventi del precedente governo e che porta l'imposta effettiva a oltre 85 centesimi per litro di benzina e a 72 centesimi per il gasolio. Il provvedimento, lungi dall'essere temporaneo, prevede un ulteriore ritocco che entrerà in vigore il 1° gennaio 2013 e si configura quindi come un intervento strutturale di crescita del prelievo fiscale.
E' la strada giusta da percorrere per risanare le finanze pubbliche? Il problema dell'Italia è l'insufficienza delle entrate? Parrebbe di no. Con i provvedimenti dell'ultima manovra il prelievo si avvia a salire nel 2013 intorno al 45% del PIL: poco meno della metà della ricchezza prodotta che viene trasferita dalle famiglie e dalle imprese al settore pubblico. La pressione fiscale è ai massimi livelli di sempre (superiore anche al biennio 96/97 quando il governo Prodi impose l'eurotassa) e pone il nostro Paese ai vertici della classifica mondiale di settore.
Tassa e spendi è quindi una strategia ampiamente sperimentata e che non sembra aver portato a buoni risultati: al contrario, tale politica economica è responsabile della nostra asfittica crescita economica che subirà un ulteriore taglio a seguito degli ultimi interventi.
L'incremento della pressione fiscale può, forse, essere paragonato ad un antipiretico che interviene momentaneamente sul sintomo, l'eccesso di temperatura, ma che non pone rimedio alla malattia.
E' invece sul lato della spesa che occorre agire con maggiore determinazione come si può evincere da un'analisi del settore dei trasporti. E' possibile suddividere tale ambito in due parti: l'auto da un lato ed i trasporti collettivi (in ambito locale e ferroviari) dall'altro.
Ora, mentre il bilancio fra prelievo fiscale e spesa pubblica per il trasporto individuale è largamente favorevole per la finanza pubblica – a fronte di 70 miliardi di entrate si registra una spesa complessiva dell'ordine dei 20 miliardi all'anno – ferrovia e trasporto pubblico costano al contribuente oltre 10 miliardi.
Tale ingente trasferimento di risorse viene abitualmente giustificato con motivazioni di carattere sociale ed ambientale, argomentazioni che non trovano però riscontro nella realtà.
Treni, autobus e tram comportano realmente minori consumi energetici ed emissioni di inquinanti ma, nel medio-lungo periodo, politiche pubbliche volte a favorirne un maggiore utilizzo a scapito dell'auto si sono rilevate fallimentari ovunque, anche in Paesi come la Svizzera o la Francia che hanno speso più efficacemente le risorse disponibili rispetto a quanto accaduto da noi ed hanno creato un sistema di trasporti pubblici di elevata qualità. Ciò nondimeno, l'utilizzo dell'automobile in quei Paesi è analogo a quello dell'Italia. Ad esclusione degli spostamenti diretti verso le aree centrali delle maggiori aree urbane che rappresentano una quota molto modesta della mobilità complessiva, il trasporto collettivo non rappresenta una reale alternativa a quello individuale che garantisce tempi di spostamento nettamente più contenuti.
Tale realtà ha un'implicazione rilevante anche in termini di "contenuti sociali" della politica dei trasporti: la maggior parte delle persone a basso reddito, infatti, vivono e lavorano nelle zone periferiche; per costoro la scelta dell'auto su cui, come abbiamo visto, grava un elevato carico fiscale, non ha alternativa. Al contrario, molti fra gli utenti dei mezzi collettivi così come dei treni ad alta velocità che sfruttano infrastrutture interamente finanziate con risorse pubbliche, hanno redditi medio/alti.
Occorre infine sottolineare come una parte significativa dei finanziamenti pubblici ai trasporti collettivi sia conseguenza degli elevati livelli di inefficienza del settore. Qualora si procedesse ad una privatizzazione delle aziende ed all'introduzione di meccanismi concorrenziali per l'affidamento dei servizi, sarebbe possibile ridurre drasticamente i sussidi a parità di servizi offerti e tariffe praticate.
Sarebbe altresì opportuno cancellare gli investimenti in infrastrutture quali la linea ad alta capacità Torino – Lione o la Milano – Genova (più volte dichiarata inutile dallo stesso amministratore delegato di FS) prive di giustificazione economica. Purtroppo, l'attuale esecutivo sembra invece voler confermare la politica del precedente governo, prelevando le risorse necessarie da quegli automobilisti che mai le utilizzeranno.
La asimmetria prodotta dal contrasto nella percezione di benefici concentrati - che vanno ad un numero ridotto di persone, ad esempio i dipendenti di aziende pubbliche o le imprese di costruzione - e costi diffusi, ripartiti su un gran numero di contribuenti è una delle più rilevanti ragioni degli interventi pubblici, persino di quelli meno giustificati.
Una decisione, per esempio, di distribuire 20.000 Euro a 100.000 beneficiati, conferisce ad ognuno di essi un incentivo pari a 20.000 Euro ad adoperarsi perché la decisione venga approvata. Se, d'altro canto, i 2 miliardi di Euro che rappresentano il costo della proposta vengono ripartiti sull'intera collettività, ognuno dei 57 milioni di italiani avrà un incentivo pari a soli 35 Euro ad opporsi all'approvazione della decisione.
Come previsto da Vilfredo Pareto nel lontano 1896: "In queste circostanze, l'esito è fuori di dubbio: gli sfruttatori avranno una vittoria schiacciante" anche perché mentre i beneficiari sono correttamente informati dei vantaggi potenziali di un provvedimento che li riguarda da vicino, coloro che ne subiranno le conseguenze e ne sopporteranno il costo, in genere sono all'oscuro del problema. L'informazione in materia, infatti, ha un valore molto diverso per gli uni e per gli altri: i pochi beneficiari, avendo molto da guadagnare dal provvedimento hanno tutto l'interesse ad essere correttamente informati, le "vittime", essendo numerosissime e sopportando quindi un danno che, per ognuno di loro, è limitato, non hanno interesse a studiare le conseguenze di provvedimenti che avvantaggiano i vari gruppi di interesse. La differenza nel numero dei beneficiari e di coloro che sopportano il costo della spesa pubblica, inoltre, fa sì che mentre i beneficiari, essendo pochi, sono facilmente organizzabili, gli altri, essendo numerosissimi non lo sono.
E' questo il motivo per cui ridurre la spesa è molto più difficile che non aumentare le entrate: riuscirà nel medio periodo il governo tecnico a smentire questa ferrea regola?
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