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« Torna agli articoli di Giacomo Biffi
La notizia sarebbe ancora sotto segreto. Una ristretta commissione di esperti sta faticando con la tranquilla impazienza dei dotti a dare una perfetta edizione critica di tutto il materiale di cui sono avventurosamente venuto in possesso.
In questo genere di lavoro di solito si va per le lunghe. E', gente precisa, puntigliosa. E se c'è in taluni un residuo di italica disinvoltura, è intimidito e come raggelato dal pensiero di quel che potranno dire e scrivere i sapienti d'oltralpe. Sicché ci vorranno degli anni.
D'altronde è urgente a mio parere che questi antichi frammenti si conoscano. La carità mi spinge a violare l'impegno al riserbo, col rischio di incorrere nell'ira dei miei colleghi occhialuti e taciturni. Sono persone miti, inoffensive, laboriose come le api. Nulla è però più duraturo e micidiale dei loro risentimenti, quando vengono stuzzicati nel loro proprio campo.
Tanto più grande e meritevole apparirà il mio amore per la cristianità e per le sue attuali controversie. Ma forse è meglio che cominci a spiegare tutto dal principio.
In principio c'è il commendator Giovanni Migliavacca, anzi Migliavacca commendator Giovanni, come ha impavidamente stampato sui suoi biglietti da visita.
Ci fosse un "trattato sull'industriale milanese", verrebbe riprodotto in copertina come uno dei più perfetti esemplari. Cosa fabbrichi non ho mai ben capito, Qualunque cosa sia, riesce a venderla a tutte le latitudini. Ai suoi tempi ha fatto le "tecniche" alla sera e parla il francese e l'inglese con la stessa difficoltà dell'italiano. Le sue impiegate, di bella presenza, dovrebbero sapere tre lingue. Ma quanto più è bella la presenza, tanto meno si formalizza sulla glottologia. Ma non c'è da pensare male: in ufficio è paterno, ma serio. La segretaria gli serve come l'Enciclopedia Treccani nel soggiorno della sua cosa. Arredano l'ambiente: le guarda con soddisfazione, ma non le tocca. Non vuole complicazioni, né con la moglie né con la cultura.
E' cattolico convinto. Sua moglie difatti va a messa tutte le domeniche libere e sua figlia ha studiato dalle Marcelline.
A parole è fiero oppositore del governo, per via delle tasse. In fondo al cuore spera che le cose non cambino. Egli si è fatto tutto nel ventennio democristiano, e all'epoca del "miracolo economico" è riuscito anche a piazzarsi sui mercati internazionali davanti ai concorrenti francesi e inglesi, ai quali è rimasta sempre in fondo al cuore la persuasione di essere stati raggirati: l'avevano preso per un italiano - spaghetti, mandolino, "dolce far niente" - e quando si sono accorti che era un milanese era già troppo tardi.
Le sue convinzioni sociali sono ben definite: dal Po, in giù sono tutti "terroni", ma la colpa è di Garibaldi che ci ha messo insieme; la politica è una cosa sporca ed è per i meridionali che non sanno far altro, però i sottosegretari si invitano a pranzo anche se sono della Basilicata.
I preti devono interessarsi solo di quel che succede in chiesa, ma anche in chiesa non devono proibire di cantare l'"Ave Maria" durante il matrimonio della sua "bambina", perché "lui paga".
Gli operai fanno sciopero perché non hanno voglia di lavorare come invece lavora lui, che è sulla breccia dall'alba a mezzanotte.
Naturalmente, come tutti i milanesi è convinto di avere il "cuore in mano". Non sfugge a nessuna colletta, a nessuna richiesta. In Valsassina, dove ha la casetta del "vikend" mantiene il riscaldamento all'asilo dei paese. E se il Milan vince il campionato, i frati di Padova ricevono un assegno di sei cifre.
Rispetta tutte le opinioni, tranne quelle dei sindacati e dei tifosi dell'Inter.
Rispetta gli animali, i preti, i carabinieri, a patto che restino tutti a una certa distanza.
Io sono un prete. E tuttavia è mio amico.
E' mio amico fin dall'infanzia. Pur essendo più anziano di me di qualche anno, è stato mio compagno di giochi nel cortiletto dei nostro caseggiato popolare, dalle ringhiere perennemente pavesate di camicie e di mutande, donde occhieggiavano di tanto in tanto le nostre madri a rassicurarsi che la nostra scapestraggine restasse nel limite dei sopportabile.
Poi io ho fatto il prete e lui i soldi, ma siamo rimasti amici lo stesso.
Nell'aprile del '67 - proprio poche settimane prima della "guerra dei sei giorni" - il comm. Giovanni Migliavacca mi dice a bruciapelo: "Vieni a fare un giro con me in Palestina?".
Era a causa del Padre Mariano della televisione. L'aveva sentito una sera che era a letto con l'influenza parlare del paese di Gesù, Nazaret, Gerusalemme, Betlemme, nomi che gli ricordavano il presepio e i pomeriggi domenicali all'oratorio, e gli era venuto il ghiribizzo - come una nostalgia - di andarli a vedere di persona. E aveva trovato naturale pensare a me, prete, come accompagnatore.
La proposta mi provocò una crisi di coscienza. Potevo senza rimorsi spendere tanti soldi per un viaggio, sia pure per un pellegrinaggio in Terra Santa? E' vero che io vedevo tanti miei confratelli - i più informati sui nuovi sviluppi del cristianesimo post-conciliare - andare un po' in tutte le parti dei mondo a dialogare sull'impegno e sul disimpegno, sulla comunità primitiva e sulla povertà evangelica.
Si parlava anzi in quei giorni di un prossimo raduno internazionale alle Isole Bahamas per la riscoperta della Chiesa dei poveri. Io però non sarei andato a dialogare e perciò non avevo scuse.
"Ma ghe pensi mi per la grana", ripeteva spazientito il Migliavacca. Era per la mia coscienza cascare dalla padella nella brace: potevo compromettermi in questo modo con un tipico rappresentante del capitalismo e correre così il rischio di venire perfettamente "integrato nel sistema"?
Alla fine il desiderio fu più forte delle mie titubanze. E così una mattina d'aprile salivo sull'aereo dietro il mio commendatore, con l'eccitazione e la vergogna di un adolescente d'altri tempi che varcasse per la prima volta la soglia di una casa di peccato.
Il resoconto del nostro soggiorno palestinese mi porterebbe fuori argomento. Ai nostri fini basti dire che, esaurita la visita ai luoghi santi e qualche approssimativa devozione, il commendator Giovanni Migliavacca si era abbandonato anche là all'istinto dell'uomo d'affari, e, vestito mezzo americano e mezzo arabo, s'aggirava tutto il giorno per le stradette e le bottegucce tutto intento a farsi spennare da quei musi levantini. Ci vedevamo a cena, quando ritornava carico di tutta la paccottiglia del Medio Oriente.
Una sera mi viene in albergo con un involto misterioso pieno di carte sbrindellate. "Tieni, questa è roba per te che hai studiato il latino. Ho capito subito io che sono stracci del "tempo di Carlo Codiga" o almeno dei Lombardi alla prima crociata".
Già avevo cominciato a canzonarlo, come facevo, ma qualcosa in quei brandelli mi colpì. Si trattava senza dubbio di pergamene di una antichità impressionante. Benché sbiaditi e quasi cancellati dalla polvere e dalle macchie, i segni che vi erano mi apparvero subito come caratteri greci, gli stessi dei più antichi codici del Nuovo Testamento. Metteva conto di considerarli con un po' di attenzione.
L'esame degli esperti, dopo il nostro ritorno, diede risultati sensazionali. Erano frammenti - ci si assicurò della metà del secondo secolo, di uno scritto cristiano che poteva benissimo risalire alla fine del primo. Pagine di un "quinto evangelo" sobrio nella forma e originale nel contenuto, capace di gettare una luce nuovissima sull'autentico insegnamento di Gesù.
Finanziati dall'impagabile commendatore - che si dimostrava tanto più entusiasta quanto meno ci capiva - ci si accinse in équipe, com'è d'obbligo oggi, a preparare l'edizione critica, una fatica che è solo ai suoi inizi.
Quando vedrà la luce, sarà un trauma per il mondo dei dotti. Migliaia di volumi pubblicati dalla cultura tedesca, francese, anglosassone per risolvere la questione sinottica e il problema dell'origine degli evangeli dovranno essere mandati al macero e tutto si dovrà ristudiare da capo. Centinaia di professori universitari vivono oggi ignari i loro ultimi anni di tranquillità prima della disperazione e dell'infarto.
Ma io non posso aspettare l'edizione critica. Ed ecco perché.
Un vento nuovo spira in questi anni sulla cristianità. Idee giovani e vigorose lievitano il popolo di Dio. Sacerdoti, teologi, teologhesse enunciano concetti ogni giorno più sorprendenti, nei linguaggi più disparati, tra la meraviglia attonita degli abitanti di Gerusalemme: è una nuova Pentecoste.
Io sarei stato dall'inizio tra gli ammiratori senza riserve di questo moderno multiforme "annuncio", se non avessi incontrato una difficoltà; tutti questi maestri dichiaravano di voler tornare ai genuini insegnamenti di Gesù, come sono contenuti negli scritti del Nuovo Testamento, senza incrostazioni, senza "superstrutture"; eppure le loro dottrine non mi apparivano suffragate dai testi sacri a nostra disposizione.
Non che mi sembrassero sbagliate. Anzi, mi tutte belle e affascinanti, ma non ne vedevo il fondamento evangelico. Mi mancava il loro collegamento con Cristo e questo mi metteva a disagio. Forse, nei rari momenti di silenzio interiore, metteva a disagio anche, i loro sostenitori.
Ed ecco che quasi per miracolo il collegamento mi veniva offerto dalle cartacce raccolte chissà dove dal commendator Migliavacca Giovanni. Ognuno di quei frammenti sembrava costituire la prova finora mancante alla genuinità biblica delle nuove dottrine. Tutto mi diventava chiaro.
Nessuno si meraviglierà allora dell'entusiasmo che mi ha afferrato alla scoperta, e della mia impazienza, per la quale non ho saputo attendere la famosa edizione scientifica, che ho preannunciato, e mi sono deciso a pubblicare questi testi in una traduzione forse un po' spigliata, ma sostanzialmente fedele, e con un modesto commento illustrativo.
Se incorrerò nel biasimo dei miei colleghi, che pubblicheranno tra non molto in modo impeccabile il testo originale e l'esame comparato delle sue fonti spero almeno di avere la riconoscenza di tutti quei pensatori - si fa per dire - che troveranno in queste brevi pagine una base sicura per i loro ardimenti.
A qualcuno potrà non garbare l'idea del vecchio manoscritto. Non vorremmo si arrivasse addirittura a mettere in dubbio la buona fede nostra o del nostro amico commendatore.
Questi ritrovamenti sono capitati con molta frequenza in questi ultimi secoli, anche ai migliori scrittori; Perché sarebbero interdetti solo al signor Migliavacca? Il quale è decisissimo a non mostrare le sue preziose pergamene a nessun curioso che ne facesse richiesta. E ha invece disposto che alla sua morte vengano consegnate alla Biblioteca Ambrosiana, dove resteranno, custodite con uguale amore, assieme alle pagine autografe del celebre Anonimo manzoniano.
CARD. GIACOMO BIFFI
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