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1) MESSA DELLA NOTTE
È un grande regalo il Natale, un grande regalo per tutti. Se non ci fosse il Natale, la rincorsa monotona dei giorni - che passano davanti a noi nello spazio di un anno - sarebbe tutta al buio.
IL NATALE DI CRISTO È PER L'UMANITÀ INTERA
Non c'è uomo, per quanto scettico e amareggiato, che non ne senta l'incanto. Questa celebrazione è per l'umanità intera (così povera di ragioni per essere serena e sperare) l'offerta di una grande ricchezza. Tutti, almeno confusamente, l'avvertono, anche se la fortuna di saperla apprezzare e la capacità di goderne autenticamente non ha in tutti la stessa intensità e la stessa misura.
Nessuno però è escluso da questa festa; nessuno - quali che siano i suoi convincimenti e le sue scelte esistenziali - può sentirsi totalmente estraneo e spaesato a Betlemme.
Oggi tutta la famiglia umana è toccata, almeno per qualche riverbero, dalla gioia di questo giorno. Perché oggi, come ci ha detto l'Apostolo, è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini (Tt 2, 11).
Per tutti: non solo per i credenti, ma anche per quelli che credono di non credere; non solo o per chi è assiduo all'incontro domenicale con il Signore, ma anche per chi ritrova oggi per una volta la strada della chiesa e decide per una volta di dare un po' d'attenzione e un po' d'amore esplicito a colui che l'ha creato; non solo per chi quotidianamente si interroga sulla sua risposta concreta e coerente al Vangelo di Cristo che lo interpella, ma anche per chi abitualmente vive distratto, lontano, riverso nella molteplicità delle cose e degli interessi, restio a occuparsi regolarmente di Dio, forse perché lo intuisce troppo esigente e ha paura di essere disturbato dalle sue incalzanti richieste.
IL FASCINO DEL NATALE
Tutti oggi, in grado massimo o in grado minimo, sperimentano la grazia divina; tutti, di poco o di tanto, si avvicinano alla salvezza.
C'è nel Natale il fascino di una sostanziale poesia. Percepirlo è già una iniziale esperienza cristiana e un modo, sia pure tenue e ancora esterno, di accostarsi al Dio che è suprema bellezza.
È la poesia che traluce dalla ammirevole semplicità del racconto evangelico che abbiamo ancora una volta ascoltato; è la poesia dei nostri presepi: una tradizione nella quale il popolo più umile di tutte le regioni d'Italia da secoli esprime il suo gusto, la sua fantasia, il suo genio; è la poesia delle consuetudini eloquenti e gentili, che adornano questo tempo natalizio e lo rendono così carico di sincere emozioni.
A un livello più profondo, c'è nel Natale il richiamo ai valori di una più autentica umanità; valori che il mondo di oggi - così esaltato dalle sua bravure e così inaridito - ha impellente necessità di riscoprire.
Per esempio, il valore della maternità, riconosciuta non come un infortunio o come una vergogna sociale, ma come un dono, come una condizione di onore, come un titolo di merito di fronte a questa nostra patria dalle poche vite e dalle introvabili culle.
Poi il valore della letizia, che deve prendere tutti quando un nuovo figlio di Dio fa il suo ingresso nel mondo. Il valore dell'amore sponsale, che, quando è solido e alimentato dalla fede, consente di affrontare e superare i disagi dell'esistenza, sia che provengono da circostanze fortuite sia che abbiano la loro causa nell'insensibilità dei poteri mondani, come è capitato a Giuseppe e a Maria.
Infine il valori insostituibile della famiglia, che sola può offrire all'uomo, che comincia il suo disagevole e insidiato cammino sulla terra, la situazione più favorevole per uno sviluppo senza traumi, senza sbandamenti, senza irreversibili devianze.
IL NATALE È UNA VERITÀ
Soprattutto il Natale è una verità: la verità del Dio che sorprendentemente ci ama ed è venuto a farsi uno di noi. Dio ormai non ci lascia più; per questo oggi esplode la gioia, che dalla capanna di Betlemme raggiunge gli estremi confini dell'universo.
Non siamo più soli: i compagni, gli amici, i parenti ci possono abbandonare. Ma il Dio che ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio, unito personalmente per sempre alla nostra natura di creature fragili e dolenti, non ci abbandonerà mai alle nostre tristezze, alla nostra inquietudine, al nostro peccato.
Questa è la "buona notizia" che oggi ci è data: Ecco, vi annunzio una grande gioia (Lc 2,10), ha detto l'angelo ai pastori. Non è una fiaba, è una notizia, cioè l'informazione su un fatto avvenuto; non è un bel sogno, è una realtà ancora più bella di ciò che desidereremmo di sognare.
Nessun uomo ormai può sfuggire al suo Creatore, che lo insegue, lo vuole raggiungere e legare a sé. Non possiamo sfuggirgli, perché il suo amore corre più veloce di noi.
Ti inganni, se credi di poter schivare fino alla fine il Signore che è venuto a cercarti. Egli non ti darà pace, per farti arrivare davvero alla pace; ti tormenterà, per portarti ad essere sul serio felice; forse disporrà sulla tua via le sconfitte e le delusioni, per farti partecipe della sua definitiva vittoria.
Questa è la verità del Natale. Capirlo, inebriarcene, lasciarci trovare da colui che è venuto a cercarci sino a farsi uomo: è questo l'augurio natalizio più genuino e più bello che in questi giorni ci possiamo scambiare.
2) MESSA DEL GIORNO
Una preoccupazione evidente presiede alla scelta delle letture che la Chiesa fa per la nostra meditazione di oggi: quella di salvarci da una facile banalizzazione che oggi rievochiamo.
I particolari dell'umile nascita tra noi del Figlio di Dio possono diventare forvianti per chi si accosta alla mirabile scena del presepio con troppa superficialità. Il bambino, la stalla, i pastori - in una parola, tutti i particolari umanissimi e poetici del quadro - potrebbero indurci ad una valutazione senza verità.
IL NATALE DI CRISTO È L'EVENTO CENTRALE DELLA STORIA
Ma riflettiamo un momento: non ci sarebbe nessuna ragione di festeggiare un neonato con tanta solennità e tanto impegno se questo neonato non fosse il Creatore del mondo. La stalla di Betlemme non meriterebbe nessuna speciale considerazione se in essa non avesse visto la luce il Signore dell'universo. E che senso avrebbe contemplare affettuosamente i pastori, se essi non fossero i testimoni dell'evento centrale della storia?
Il pericolo della banalizzazione si è enormemente accresciuto nei nostri giorni, nei quali pare che tutta l'attenzione sia attratta non dalla sostanza del mistero natalizio, ma dal suo involucro più esteriore, non dal significato della festa ma dalla sua ornamentazione superflua, non dal dono inaudito che abbiamo ricevuto dal cielo ma dai regali che per una gentile consuetudine ci scambiamo tra noi.
Ci spieghiamo allora perché oggi la Chiesa con insistenza nella prima parte della messa ci richiama la vera identità di quel bambino di cui celebriamo la nascita; egli, ci ha detto la Lettera agli Ebrei, è il Figlio che è venuto a concludere e ad esaurire il lungo discorso che Dio nei secoli ha fatto all'umanità per mezzo dei profeti; anzi, è colui per mezzo del quale è stato fatto il mondo. Tutto l'universo è suo, perché egli è l'erede di tutte le cose. È l'irradiazione della gloria del Padre e ci sostiene tutti nell'essere con la potenza della sua parola. Essendo Figlio vero, generato da Dio, è oggetto dell'adorazione degli angeli che lo riconoscono come il sovrano (cf Eb 1,1-6).
L'AUTENTICA IDENTITÀ DI COLUI CHE È NATO
A ben guardare, un'intenzione identica a questa muove, probabilmente, l'evangelista Giovanni a premettere alla sua narrazione la pagina splendente del prologo che noi abbiamo ancora una volta ascoltato.
Nel seguito del suo racconto, egli ci mostrerà Gesù di Nazareth come un uomo debole come noi, che conosce la stanchezza e la sete (cf Gv 4, 6.7), che deve nascondersi per non essere ucciso a sassate (cf Gv 8,559), che si lascia arrestare (cf Gv 18,12) e processare (cf Gv 18,19), che è senza difesa davanti alla flagellazione, agli insulti, agli schiaffi, (cf Gv 19,1-3), che muore dissanguato sulla croce, il patibolo dei malfattori (cf Gv 19,30).
Non lasciatevi ingannare, sembra dirci l'evangelista con il suo prologo, da questa manifestazione di umanità fragile, emarginata, sopraffatta. Colui che vediamo costituito nella nostra stessa natura mortale è il Verbo eterno che è fin dal principio presso Dio, che è Dio stesso (cf Gv 1,1-2), sicchè tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste (cf Gv 1,3)
IL NATALE NON È UN MOMENTO DI FOLCLORE, MA È LA CELEBRAZIONE DELLA DIVINITÀ DI GESÙ CRISTO
Questo discorso viene rivolto anche a noi nella giornata di oggi, e molto opportunamente, perché ci aiuta a superare ogni ambiguità di valutazione e a collocarci nell'atteggiamento più giusto e più penetrante di fronte al presepio. Quell'infante che ancora non sa parlare è la stessa "parola" eterna e sostanziale del Padre. Quella creatura tremante per il freddo, bisognosa di tutto e insidiata da mille pericoli è la sede stessa della vita (cf Gv 1,4). Quell'esserino che sembra schiacciato dal buio nella notte profonda è la luce vera, quella che illumina ogni uomo (Gv 1,9). Egli appare nel racconto natalizio come un figlio dei poveri, che addirittura in maniera miserabile inizia la sua strada nell'esistenza, ma - ci è stato ricordato - noi vedemmo la sua gloria come di unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità (Gv 1,14).
Insomma, noi riceviamo dalla parola di Dio un forte e appassionato invito a percepire la festività odierna nella sua verità, in modo che ci sia consentito di oltrepassare tutti gli orpelli, le distrazioni, le esteriorità che sciupano il nostro Natale e ci sia dato di accogliere con sincerità di cuore colui che può avvolgerci nell'onda rinnovatrice della vita divina.
Non c'è nulla che sia obbiettivamente più vuoto, più deludente e alla fine più amaro di un Natale vissuto come una convenzione del folclore tradizionale, della quale non si capiscono più né le ragioni celebrative né i contenuti di grazia; in una parola, di un Natale senza una fede convinta nella divinità del Signore Gesù che è nato a Betlemme.
Ma se questa fede c'è - anche se è una piccola fiammella che però desidera ravvivarsi in questa benedetta occasione - allora non c'è nulla di più bello, di più entusiasmante, di più carico di speranza del Natale cristiano.
Sapere che Dio diventa uomo e viene ad abitare in mezzo a noi (cf Gv 1,14) ci permette di superare ogni pessimismo sulla sorte nostra e di quella disorientata umanità. La certezza che quelli che credono nel suo nome sono veramente generati da Dio nella vita Divina (cf Gv 1,12-13) diventa dentro di noi una fonte di gioia e di pace, che nessuna tristezza della terra riesce più a inaridire. La persuasione che tutti possiamo partecipare e di fatto partecipiamo della pienezza di grazia e di verità, proprio del Figlio unigenito del Padre che per noi si è fatto bambino, ci colma di lieto stupore e ci pone in condizione di affrontare qualunque difficoltà dell'esistenza.
Come si vede, solo quelli che credono - o che tentano di credere o che almeno rimpiangono sinceramente di credere troppo poco - possono dire senza nessuna vana retorica di passare un buon Natale.
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