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« Torna agli articoli di Giacomo Biffi
Si deve o non si deve pagare le tasse ai Romani? Questa era davvero, per gli Ebrei dei tempi di Cristo, una questione scottante. Evocava anche un problema generale di comportamento di fronte all'occupazione straniera: bisognava realisticamente accettare il dominio di Roma o si doveva organizzare la resistenza e la ribellione? Era per molti un caso di coscienza. Il caso viene sottoposto a Gesù, in termini che fanno appello, oltre che alla sua sapienza, alla sua schiettezza, alla sua libertà di spirito, alla sua imparzialità, alla sua passione per la giustizia: Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Era difficile riconoscere in modo più esplicito e lusinghiero l'autorità morale e la dirittura di carattere del giovane profeta di Nazaret. Ma non era un elogio fatto in buona fede. È interessante notare che, per formulare l'arduo quesito, si erano messi insieme e accordati tra loro due gruppi di persone che normalmente vivevano in reciproca ostilità: i farisei (conservatori e nazionalisti) e gli erodiani (che accettavano la politica spregiudicata e collaborazionista del re). Gesù, dando subito un bell'esempio della franchezza che gli era stata lodata, smaschera le loro cattive intenzioni, chiamandoli senza tanti complimenti "ipocriti": Ipocriti, perché mi tentate? Tuttavia non sfugge al problema. Anche se conosce la loro malizia e il loro desiderio di metterlo negli impicci, acconsente a rispondere. Il rischio era grave: si trattava o di lasciarsi coinvolgere delle beghe politiche (tradendo così la sua missione tipicamente religiosa) o di invitare la gente a pagare le tasse (perdendo così tutta la sua popolarità). Questa, di pagare le tasse, è una cosa che non si è mai fatta volentieri in nessun tempo e in nessun paese. Un predicatore che invita la gente a pagare le tasse, è destinato a un sicuro insuccesso. Qui però l'insidia era ancora più grave. L'interrogativo: è lecito o no pagare il tributo a Cesare?, nella sostanza voleva dire: "Ti rassegni alla dominazione straniera o ti decidi a combatterla come ingiusta?". Farisei ed erodiani sembrano dirgli: "Discendi un po' dalle altezze, lascia stare gli argomenti dei quali tu parli così spesso e che a noi interessano così poco (come il Regno di Dio, il Padre, il giudizio, l'amore del prossimo), e òccupati delle questioni vive del tuo tempo e del tuo popolo. Non evadere dalla morsa dei problemi terrestri, non rifugiarti sempre nella tranquillità alienante della prospettiva religiosa: rispondi, impégnati, compromettiti". Gesù risponde, ma non si impegna nel campo politico. Risponde, ma non si compromette in una contestazione attiva della prepotenza di Roma. Risponde, ma non propone affatto l'obiezione fiscale. Non dice: "Detrai dal tuo pagamento quanto prevedi che andrà a finire ad acquistare le armi dell'oppressore" (come forse a qualche cristiano dei nostri giorni piacerebbe che avesse risposto). Dice: "Se accettate per i vostri traffici e per i vostri guadagni la moneta dell'imperatore, voi riconoscete all'imperatore l'autorità di gestire la cosa pubblica, e quindi anche il suo diritto a raccogliere i tributi". Ma sottolinea subito - l'autorità politica non è illimitata: è circoscritta dall'autorità prevalente di Dio. E arriva in tal modo ad enunciare un principio fondamentale, che costituisce la fonte della vera liberazione dell'uomo da ogni possibile prevaricazione del potere e da ogni tirannide.
L'INVIOLABILITÀ DELLA COSCIENZA DI FRONTE AD OGNI AUTORITA' MONDANA
Lo Stato antico era sempre totalitario: disponeva di tutto l'uomo, perfino della sua vita religiosa. Anche gli atti di culto erano regolati dalle leggi ed erano funzionali all'azione e ai progetti dello Stato. È una inclinazione che rispunta sempre tra gli uomini politici. Molti di essi sono persuasi di poter stabilire loro che cosa sia giusto e che cosa non sia giusto in faccia a Dio; che cosa si debba e che cosa non si debba fare per essere coerenti con le verità della fede; che cosa possano e che cosa non possano dire coloro che hanno ricevuto la missione di guidare il popolo dei credenti. Contro questa sempre rinascente tendenza, Gesù afferma la necessità di fare spazio a Dio e di dargli un posto che non può non essere il primo e il prevalente. E tale affermazione diventa premessa di salvezza dell'uomo di fronte a ogni esorbitanza dei potenti. Egli insegna: alle autorità terrene dovete tutto e solo quello che compete a loro. Nessun organismo dello Stato, nessuna forza politica, nessun partito può pretendere ciò che appartiene soltanto a noi come persone (alle quali anche lo Stato è finalizzato) e a Dio, come Signore dell'universo. Nessun organismo dello Stato, nessuna forza politica, nessun partito può impadronirsi della vostra anima o manipolarla, può interferire nelle vostre convinzioni morali, può imporvi una sua concezione del mondo: Date a Cesare quel che è di Cesare, ma niente di più. Come si vede, il Vangelo non insegna affatto la rivoluzione o la contestazione del sistema; al contrario, predica la lealtà e l'obbedienza verso l'autorità, le sue leggi e le sue decisioni. Ma impone a qualunque autorità mondana (statale, governativa, partitica, sindacale) di non oltrepassare il suo campo specifico, che è tutto racchiuso nell'ambito del bene terreno, e non può toccare la sfera sacra della coscienza, la quale può essere illuminata solo dalla luce che viene dall'alto. E nell'ottica cristiana l'ambito del bene terreno è molto ristretto e non è mai primeggiante, perché ciò che conta davvero per l'uomo è il rapporto col Padre che è nei cieli, è l'avvento del Regno di Dio, è la vita eterna; e alla luce di questi valori tutto va giudicato. Nessun ambito dell'esistenza deve rimanere estraneo a Dio. Ciò che sta a cuore a Gesù, ciò che è lo scopo vero del suo insegnamento, ciò che è il senso profondo dell'episodio, riferitoci dalla pagina evangelica che abbiamo ascoltato, è l'ultima frase: Date a Dio quel che è di Dio, cioè tutto. Poiché Dio è il Creatore e il Signore di tutto, tutto a lui in definitiva deve essere rapportato. Non c'è angolo dell'esistenza, non c'è attività umana, da cui il Creatore di tutte le cose possa essere legittimamente estromesso. Niente di quello che l'uomo fa o dice o pensa, è indifferente alla sua essenziale indole religiosa. Tutto - anche il necessario impegno terrestre, nei suoi vari settori e nei suoi vari momenti - deve essere compiuto intenzionalmente per Dio e in oggettiva conformità al suo volere. Poiché tutto proviene da Dio, tutto a Dio deve essere riferito e ricondotto, nell'affetto sincero del cuore e nell'obbedienza della vita. È la lezione che abbiamo raccolto anche dalla pagina del profeta Isaia, che ci è stata proposta come prima lettura: Io sono il Signore e non c'è alcun altro. Gli uomini che pretendono di diventare nostri padroni o nostri maestri di vita contro o anche solo al di fuori dell'unico vero Signore, sono un'insidia e un ostacolo al primato, nella nostra esistenza, del Dio vivo e vero, il solo che merita la nostra adorazione e l'adesione di tutto il nostro essere; e sono un'insidia e un ostacolo anche all'affermazione della nostra libertà di persone e alla nostra inalienabile dignità. Perché proprio inginocchiandosi davanti all'unico Dio e donandosi all'unico Signore Gesù Cristo, l'uomo, di fronte a ogni autorità terrena, si mantiene libero e può liberamente usare di tutti i beni del mondo. Come ha detto san Paolo: Tutte le cose sono vostre, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio. Lo Spirito Santo, luce vera delle coscienze, ci conceda di capire questa essenziale verità, in mezzo alle mille menzogne che ogni giorno ci vengono da ogni parte proposte.
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.
ALTRA OMELIA XXIX DOMENICA T. ORD. - ANNO A (Mt 22,15-21)
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