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« Torna agli articoli di Giacomo Biffi
Gesù aveva l'arte dei paragoni: sapeva calare la verità più alta nella concretezza di un'immagine vicina all'esperienza dei suoi ascoltatori. Questi paragoni - queste "parabole", per usare la parola evangelica - in qualche caso potevano apparire un po' enigmatiche nel loro significato profondo, ma una volta spiegate si iscrivevano nelle coscienze e non si dimenticavano più.
Tra gli "esempi" cari a Gesù c'è quello del "seme", una delle realtà più consuete a chi conduce una vita legata alla terra, ai suoi ritmi, alla sua fecondità. Nel Vangelo abbiamo quattro parabole centrate sull'idea di "seme": quella del diverso rendimento del terreno, quella del grano e della zizzania, e le due che oggi sono state richiamate, il seme di grano che cresce spontaneamente e il seme di senapa che, pur piccolo, diventa un arbusto di notevoli proporzioni.
L'argomento su cui le due parabole di oggi ci invitano a riflettere è il "regno di Dio": a che cosa possiamo paragonare il regno di Dio? Attenzione, però: non si tratta del "regno di Dio" come sarà alla fine, un regno nel quale speriamo di entrare dopo la nostra morte quando la nostra vicenda terrena si sarà conclusa, bensì del "regno di Dio" che secondo la parola di Cristo è già "in mezzo a noi" (cf. Lc 17,21), vale a dire della Chiesa, che già ci offre nella fede la conoscenza della verità che dà salvezza e nella carità già ci rende partecipi della stessa vita divina che impreziosisce l'anima dei beati del cielo.
Siamo dunque chiamati a meditare sulla condizione ecclesiale storica. La Chiesa, difatti, come ci insegna il Concilio Vaticano II, è appunto "il regno di Dio già presente mistericamente", cioè sotto il velo dei segni efficaci. La Chiesa è il regno di Dio nella sua forma iniziale, imperfetta, nascosta, ma autentica e sostanziale; è il regno di Dio che già possiede in sé la ricchezza definitiva, ma è ancora esposto alle intemperie della storia.
LA GRANDEZZA E LO SPLENDORE NASCOSTO DELLA CHIESA DI CRISTO
Il regno di Dio come oggi ci è dato, ci insegna il Signore, ha le connotazioni di un seme. Che cosa è il seme? Il seme è il futuro reso presente, è la garanzia di ciò che potremo avere alla fine, è speranza e al tempo stesso anticipazione della messe futura. Nel seme di un albero, tutto l'albero è già contenuto con la sua precisa identità, con il suo potenziale vigore, con la sua capacità di sviluppo; ma è contenuto in un piccolo spazio, in una condizione di fragilità, in una apparenza dimessa e senza splendore.
Così è la Chiesa. Non ha potere nel mondo, non sempre raccoglie la maggioranza degli uomini di un territorio, non ha grandi possibilità di farsi valere di fronte ai signori della politica, dell'economia, della cultura, della comunicazione. Anche la comunità cristiana, cui apparteniamo, si presenta esigua. E neppure siamo molto buoni: siamo anche noi pieni di egoismo, soggetti a mille debolezze. Magari non riusciamo sempre a dar vita a cose di rilievo né a provocare vistosi cambiamenti. Eppure abbiamo già il Signore con noi, abbiamo già il tesoro della sua grazia, abbiamo la forza inesauribile del suo amore. Possiamo già nella fede contemplare il disegno di Dio nella sua verità; già ci è data con la virtù della speranza la consapevolezza del nostro destino di gioia. In una parola, siamo già il "regno di Dio". Perciò deve essere sempre viva e coltivata in noi la consolante consapevolezza della "appartenenza"; cioè la letizia, la fierezza, la gratitudine di essere parte della grande e stupenda realtà che è la Chiesa di Cristo, anche se adesso essa si presenta sotto vesti povere e difettose.
LA VITALITA' SEGRETA E LA FORZA INTRINSECA DEL REGNO DI DIO
Poi Gesù ci dà un secondo insegnamento importante: il regno di Dio, che è già tra noi, è un seme che germoglia e cresce da se stesso, per l'energia che ha dentro di sé. La storia del regno di Dio sulla terra non può essere valutata dai nostri insuccessi. La vita divina, che nella vita ecclesiale è già donata alla terra, si sviluppa per suo conto.
Molte volte noi ci affanniamo con le nostre iniziative, con le nostre organizzazioni, eppure sembra che nel campo pastorale non spunti niente. Ma nelle coscienze segrete degli uomini e nelle stesse vicende della comunità cristiana, c'è sempre il momento in cui arriva un supplemento di luce, c'è sempre il momento in cui il Regno si dilata nella storia e nei cuori. Ci sono ore in cui le ostilità verso la Chiesa, che sembravano invincibili ed eterne, improvvisamente crollano; ci sono ore in cui i terreni più aridi si mettono a dare frutti di dedizione generosa alla causa di Dio; ci sono ore in cui i cuori più induriti si convertono. Il seme - ci ha detto Gesù - cresce spontaneamente: neppure noi sappiamo il come e il perché (cf. Mc 4,27).
L'OPERARE DIVINO NON ESCLUDE LA NOSTRA RESPONSABILITÀ
Dorma o vegli (Mc 4,27), precisa il Signore. Nella Chiesa c'è chi dorme sempre, e non si decide mai a fare qualcosa di positivo e di efficace al servizio del Vangelo; e c'è anche chi non ha pace nella sua attività. Quando arriverà il momento del giudizio finale, ci verrà chiesto conto delle nostre sonnolenze, se non sono state un po' troppe; e ci verrà chiesto conto anche delle nostre veglie, se sono state tutte e solo per il vero bene dei fratelli e per l'autentica vitalità della comunità ecclesiale. Perché, come ci ha ricordato san Paolo nella seconda lettura, tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male (2 Cor 5,10). Ma una cosa deve essere ben chiara: né le nostre inerzie né le nostre pigrizie riusciranno a ostacolare il cammino del Regno, né il nostro frenetico agitarci lo dilaterà, se non sarà accompagnato dall'energia della grazia divina che lavora nascostamente negli animi.
L'ATTESA FIDUCIOSA E PAZIENTE DELLA VITTORIA FINALE
Se poi qualche volta possiamo essere scoraggiati per la scarsità e la debolezza della comunità cristiana, che vive in mezzo alle grandi prepotenze che dominano la scena del mondo, ricordiamoci della parabola del granello di senapa. Anche se ora siamo piccoli e poveri, siamo destinati a diventare il grande Regno di Dio che nell'eternità radunerà in una sola gioiosa famiglia le schiere senza numero degli angeli e dei santi. In fondo, questa riflessione ci ha detto che la santa Chiesa Cattolica deve essere oggetto prima di tutto della nostra fede, in modo che se ne possa percepire la forza e la bellezza di là dalle sue disadorne apparenze; poi è l'argomento della nostra speranza, perché proprio la Chiesa ci garantisce che, di là dalle sconfitte terrestri, ci è riservata la vittoria finale della vita senza tramonto; ma soprattutto deve essere la destinataria del nostro amore, perché essa custodisce entro la sua umanità il grande dono divino fatto agli uomini, cioè la realtà meravigliosa del Regno.
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.
ALTRA OMELIA XI DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 1,40-45)
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