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OMELIA XIV DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 6,1-6)
Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria
di Giacomo Biffi
 

L’ENIGMATICA OSTINAZIONE DELL’UOMO A NON VOLERE ESSERE SALVATO
Nella parola di Dio c'è un tema che emerge a ogni svolta della storia di salvezza; un tema misterioso e stupefacente: il rapporto strano e drammatico che troppo spesso si istituisce tra il Creatore, che vuol donarsi e salvare, e la creatura, che pare provi fastidio a essere amata e salvata. 
Sono di fronte l'iniziativa di Dio, che vuole aprirsi e comunicarsi, e l'incredibile resistenza dell'uomo, che si rinchiude e non vuole ascoltare: Io ti mando a un popolo di ribelli, dice il Signore al profeta, incaricandolo di recare il suo messaggio agli Israeliti. Non si sa se sia più incomprensibile ed enigmatico l'amore di Dio, che continua a far risonare nel mondo la sua voce con un risultato così scarso, o l'ostinazione dell'uomo, che riesce a eludere ogni tentativo della divina generosità. Siamo mandati a salvare della gente che non ha nessuna voglia di essere salvata: "Voglio morire". 
L'episodio del ritorno di Gesù a Nazaret è quasi la raffigurazione scenica di questo mistero. Egli aveva già iniziato ad annunciare pubblicamente l'imminenza del regno di Dio e la necessità del pentimento, aveva già parlato un po' in tutte le città della Galilea. Adesso finalmente si presenta al suo paese, dove era conosciuto, dove aveva il suo parentado, dove lo conoscevano tutti da sempre. E, come era solito fare, comincia la sua predicazione non in maniera esteriormente straordinaria, bensì inserendosi nelle consuetudini religiose del suo popolo: Venuto il sabato, cioè il giorno festivo ebraico, va come tutti nella sinagoga del villaggio, e qui, dopo che è stata letta la Sacra Scrittura, prende a insegnare secondo le abitudini dei rabbini. 
L'evangelista sottolinea il fatto che l'attività magisteriale e taumaturgica di Gesù nella sua terra e tra i suoi compaesani si conclude con un vistoso insuccesso, il più clamoroso capitatogli fino a quel momento. Tanto che la narrazione nota che Gesù si meravigliava della loro incredulità.

LA SORPRENDENTE UMILTA' DI DIO, SCANDALO PER L'UOMO DI TUTTI I TEMPI
Se esaminiamo un po' da vicino le ragioni del fallimento della missione del Signore a Nazaret e le radici dell'ottusità spirituale dei Nazaretani di fronte alla grazia di Dio, troviamo che sono essenzialmente due; e con stupore ci avvediamo che, almeno apparentemente, sono l'una in contrasto con l'altra. In primo luogo, gli ascoltatori sembrano trovare difficoltà ad accettare una verità troppo grande per loro: Che sapienza è mai questa che gli è stata data? 
Tutti i temi abituali della predicazione di Gesù - e che verosimilmente saranno risonati anche quel giorno - prendevano l'uditorio e lo portavano ad altezze inconsuete: la paternità di Dio, il regno dei cieli che è stato messo alla nostra portata ed è diventato l'approdo della nostra esistenza, la necessità della conversione interiore e del mutamento di vita, la legge dell'amore come fastigio e compendio di tutte le regole del comportamento umano, la libertà dello Spirito che ci fa superare tutte le angustie delle prescrizioni rituali e sociali, insomma tutto il "Vangelo" di Gesù, la sua "buona notizia", era una luce troppo abbagliante per gli occhi avvezzi solo alla penombra di prospettive mediocri. Ciò che egli diceva era troppo superiore alle attese e alla mentalità di quanti si erano radunati nella sinagoga, e restava estraneo ai loro impegni e ai loro interessi. 
Ma gli ascoltatori di Gesù trovano un secondo intralcio sulla via della comprensione: non riuscivano ad accettare che un insegnamento tanto elevato provenisse da una persona tanto comune e vicina, che fino a poco tempo prima aveva condotto una vita normalissima in mezzo a loro; che aveva lavorato come tutti; che con molti di loro era anche imparentato: Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Giuda, di Simone? 
Non si rassegnavano a persuadersi che la verità eterna potesse vestirsi di abiti così dimessi, che la salvezza divina si presentasse in forme così accessibili, che la grazia giungesse attraverso una strada così priva di splendore. In sostanza, non riuscivano ad accogliere l'Incarnazione, cioè il mistero di un Dio che, per recuperare l'uomo perduto, si abbassa fino a lui e si inserisce umilmente nella sua vicenda. A essere sinceri, le riluttanze a credere dei Nazaretani sono talvolta anche le nostre. Anche noi siamo messi in imbarazzo dalla eccessiva grandezza del dono di Dio e al tempo stesso dalla eccessiva povertà della sua presentazione. 
Quando sentiamo parlare dello Spirito Santo che abita nei nostri cuori, della nostra partecipazione alla natura divina, della vita eterna e della gioia senza fine preparate per noi, della nostra totale vittoria sul dolore e sulla morte nel destino di piena risurrezione che ci sarà dato, ci sembra tutto incredibile, tutto lontano dalla nostra banale concretezza: troppo bello per essere vero, troppo sublime per essere nostro. 
E quando vediamo tutta questa ricchezza ravvolta, contenuta, velata nella opacità della vita ecclesiale; quando pensiamo alla esiguità dei mezzi salvifici: un po' d'acqua per il battesimo, il pane e il vino per l'eucaristia, poche parole per l'assoluzione dei peccati; quando ci imbattiamo nella meschinità delle persone che compongono la Chiesa e nei difetti di quelli che la dirigono, allora siamo tentati di dire: "Tutto ciò è troppo miserabile per avere un'origine divina!".

SOLO UNA FEDE SEMPLICE PUO' COMPRENDERE LO "STILE" DI DIO
Solo una fede semplice può comprendere lo "stile" di Dio In fondo, le nostre più gravi difficoltà a credere derivano dalla nostra incapacità di capire e accettare il "carattere" del nostro Dio, che è l'opposto del nostro. Noi tendiamo a presentare con molta enfasi le nostre cose, che pur contano poco. Mettiamo più cura nella confezione della scatola che non nel suo contenuto. I maestri del mondo - pensatori, letterati, uomini pubblici - eccellono tutti nell'arte di non dire niente con frasi bellissime e colorite. 
Per Dio è il contrario: il suo dono è così alto che ci sbalordisce, ma il modo con cui ce lo offre è così umile che ci scandalizza. 
Le cose di Dio sono eccelse, ma sono in genere presentate con semplicità. Perciò i semplici sono quelli che le capiscono meglio. 
Chiediamo allora la grazia della semplicità, che consente la fede e ci preserva dall'incredulità. La nostra incredulità può arrivare alla triste potenza di legare perfino le mani a Dio: Non poté operare nessun prodigio, è detto di quel che è avvenuto a Gesù nell'episodio di Nazaret. 
Il Signore ci conceda di non provocare mai con la chiusura del nostro spirito questa assurda paralisi nei nostri confronti della divina volontà di salvezza.

Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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ALTRA OMELIA XIV DOMENICA T. ORD. - ANNO B Mc 6,1-6)
da Il settimanale di Padre Pio
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Fonte: Stilli come rugiada il mio dire