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« Torna agli articoli di Gianfranco Amato
Il General Medical Council (GMC), l'Ordine nazionale dei medici britannici, è stato categorico: i medici cristiani sono obbligati ad eseguire operazioni chirurgiche per il cambiamento di sesso. Si tratta di quell'intervento operatorio che va sotto il nome di Sex Reassignment Surgery (SRS), ovvero riattribuzione chirurgica di sesso. Le nuove disposizioni del GMC sono chiarissime: nessun medico potrà rifiutarsi di praticare una SRS adducendo motivazioni di carattere etico-religioso. Con buona pace del diritto all'obiezione di coscienza.
In effetti, l'articolo 5 del Codice Medico britannico prevede espressamente la facoltà di «astenersi dall'eseguire una particolare procedura per ragioni connesse a convinzioni e valori personali». Nonostante ciò, il GMC ha ora deciso di vietare la possibilità di astensione per quanto riguarda quelle particolari operazioni chirurgiche, «poiché sono richieste da un particolare gruppo di pazienti e non possono pertanto essere soggette all'obiezione di coscienza».
Il dott. Peter Saunders del Christian Medical Fellowship non ha usato mezzi termini per denunciare la decisione: «Attraverso regolamenti e disposizioni normative si sta cercando di marginalizzare i cristiani nella professione medica in Gran Bretagna». Soprattutto in questo momento storico, visto che, come precisa lo stesso Saunders, «la medicina britannica del XXI secolo contempla, in realtà, pratiche che a molti medici appaiono immorali».
Queste nuove guide del GMC vengono viste da numerosi operatori sanitari come un ulteriore attacco al diritto di esercitare la professione medica secondo la propria coscienza, che resta il vero fondamento di quella professione. Il GMC, dal canto suo, ha difeso ad oltranza la propria decisione, precisando che essa rispetta il quadro normativo nazionale, ed in particolare quella che è diventata ormai la bibbia del politically correct, ovvero l'Equality Act 2010, la famigerata legge contro ogni forma di discriminazione. Rispetto a quella legge sembra non esserci obiezione di coscienza che tenga.
Nonostante il fatto che proprio l'obiezione di coscienza sia espressamente riconosciuta dall'art.18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, dall'art.18 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, dall'art.9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e dall'art.10 della Carta fondamentale dei diritti dell'Unione Europea. Anche la dottrina morale cattolica, che ha sempre avuto una particolare attenzione per la dignità e la libertà dell'uomo, ha riconosciuto come fondamentale e inalienabile il diritto all'obiezione di coscienza.
Uno dei punti più alti del Magistero sulla questione è stato raggiunto con l'enciclica Evangelium vitae del Beato Giovanni Paolo II. In quel documento, infatti, è stato codificato il dovere morale di non riconoscere le leggi ingiuste, poiché esse «non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza». Precisa il Sommo Pontefice in quell'enciclica che «i cristiani, come tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati, per un grave dovere di coscienza, a non prestare la loro collaborazione formale a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile, sono in contrasto con la Legge di Dio», poiché «dal punto di vista morale, non è mai lecito cooperare formalmente al male».
Tutti i cristiani dovrebbero ricordarsi più spesso che la Legge di Dio prevale su quella degli uomini, e farebbero bene ad armarsi dello stesso coraggio mostrato da Pietro e dagli Apostoli quando, dinanzi al sommo sacerdote, non esitarono a proclamare: Oboedire oportet Deo magis quam hominibus (Bisogna obbedire a Dio, piuttosto che agli uomini).
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