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« Torna agli articoli di Gianteo Bordero
Benedetto XVI, con la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani, scrive un'altra pagina importante del suo pontificato. Una pagina destinata a rimanere e, probabilmente, a diventare la cifra del papato ratzingeriano. Sanare uno scisma, infatti, significa medicare la ferita più profonda che possa essere inferta all'unità del corpo mistico di Cristo, la Chiesa: la divisione tra le sue membra. Dividere è facile, unire è molto più difficile. Papa Benedetto, rispondendo all'esortazione di Gesù nel Vangelo di Giovanni («Che siano una sola cosa affinché il mondo creda»), si avvia a chiudere definitivamente una delle vicende più dolorose nella storia della Chiesa degli ultimi due secoli. «Uno scisma piccolo - afferma Gianni Baget Bozzo intervistato dal Foglio - ma che ha avuto un ruolo importante nel post-Concilio».
I segnali di una pacificazione definitiva tra Roma ed Ecône (la cittadina svizzera nella quale monsignor Lefebvre aveva fondato il suo seminario alla fine degli anni Sessanta dopo la rottura definitiva con il Vaticano a causa delle riforme conciliari) si erano intensificati sin dai primi mesi del pontificato di Benedetto XVI: già sul finire dell'agosto 2005, infatti, Ratzinger aveva incontrato a Castel Gandolfo Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità San Pio X. I comunicati ufficiali scaturiti da quell'incontro - sia quello della Santa Sede che quello dei lefebvriani - sottolineavano il desiderio reciproco di procedere gradualmente ad un riavvicinamento nel nome del comune amore per la Chiesa.
Ma l'evento decisivo è stato senz'altro la promulgazione del motu proprio «Summorum pontificum», del 7 luglio 2007, con il quale Benedetto XVI ha deciso di «liberalizzare» l'uso del messale romano di San Pio V (nella sua ultima versione risalente al 1962, Giovanni XXIII regnante) affermando che esso non è stato abrogato dalla riforma liturgica del 1970 e che il nuovo messale di Paolo VI rappresenta la forma ordinaria, ma non esclusiva, della liturgia cattolica. Un gesto, questo, che ha provocato numerose contestazioni all'interno della Chiesa, soprattutto da parte di coloro che - per usare un'espressione dello stesso Papa Ratzinger - considerano il Vaticano II come un momento di «rottura» rispetto al passato, una sorta di rifondazione della Chiesa scaturita dal compromesso con la modernità. Le contestazioni hanno assunto forme più o meno eclatanti, soprattutto in Francia (patria di Lefebvre), e lo stesso Benedetto XVI, durante il suo viaggio a Lourdes dello scorso anno, ha dovuto richiamare i vescovi transalpini al rispetto del motu proprio.
Ma le diffuse proteste non hanno fermato Papa Ratzinger. Anzi. Dopo aver ricevuto lo scorso 15 dicembre fa una lettera di monsignor Fellay che chiedeva la revoca della scomunica promulgata da Giovanni Paolo II nel 1988 («Siamo sempre fermamente determinati nella volontà di rimanere cattolici e di mettere tutte le nostre forze al servizio della Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo, che è la Chiesa cattolica romana. Noi accettiamo i suoi insegnamenti con animo filiale. Noi crediamo fermamente al Primato di Pietro e alle sue prerogative, e per questo ci fa tanto soffrire l'attuale situazione» scriveva Fellay nella missiva) e dopo aver appreso che la Fraternità San Pio X ha organizzato per il Natale 2008 una preghiera del rosario volta a «ottenere dalla Madonna il ritiro del decreto», ha valutato che i tempi erano maturi per il passo decisivo.
Il testo della revoca è stato diffuso questa mattina dalla sala stampa vaticana. In esso la Santa Sede afferma che «con questo atto si desidera consolidare le reciproche relazioni di fiducia e intensificare e dare stabilità ai rapporti della Fraternità San Pio X con questa Sede Apostolica. Questo dono di pace, al termine delle celebrazioni natalizie, vuol essere anche un segno per promuovere l'unità nella carità della Chiesa universale e arrivare a togliere lo scandalo della divisione. Si auspica che questo passo sia seguito dalla sollecita realizzazione della piena comunione con la Chiesa di tutta la Fraternità San Pio X, testimoniando così vera fedeltà e vero riconoscimento del Magistero e dell'autorità del Papa con la prova dell'unità visibile».
Vedremo ora, dunque, se gli auspici del Vaticano troveranno rapida realizzazione. Ma quello che sin d'ora si può dire è che Benedetto XVI, che già quand'era come cardinale alla guida dell'ex Sant'Uffizio aveva provato ripetutamente a raggiungere un accordo con i lefebvriani, ha compiuto un gesto di alto valore storico ed ecclesiologico. Riammettendo i vescovi ordinati da Lefebvre alla piena comunione con Roma, egli chiude definitivamente un'epoca, si lascia alle spalle la deleteria spaccatura post-conciliare tra tradizionalisti e progressisti, riconosce che anche i primi avevano delle ragioni che solo le mode teologiche del momento hanno impedito di valutare sino in fondo.
Riprendendo un'immagine usata da Jean Guitton in un suo famoso saggio, potremmo dire che, con la sua decisione, Papa Ratzinger contribuisce a ricucire la veste di Cristo dilacerata nella storia dagli scismi e dalla divisione tra i cristiani. Guitton sostiene che gli strappi, sin dalla grande eresia ariana, hanno sempre fatto assumere alla Chiesa maggiore coscienza di sé e della sua missione. Ora che uno di questi strappi si appresta ad essere sanato, è augurabile che i motivi che l'hanno causato possano essere finalmente letti alla luce della ritrovata unità delle membra, e non con le lenti di un fanatismo ideologico e teologico che ha fatto solo tanto male alla Chiesa in questi ultimi decenni.
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