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« Torna agli articoli di Guido Mattioni
Wang Duchuan non sa nulla delle Olimpiadi. A dirla tutta, non gliene potrebbe fregare un accidente dei Giochi di Pechino. Lui, trentenne contadino di Baoding, ormai ex fertile centro agricolo nella provincia meridionale dell’Hebei, ad appena un’ora e mezzo di treno dalla capitale, guarda disperato il suo campo di grano ridotto a una landa di stoppie. E piange sulla risaia, più asciutta di un osso di seppia. «I ruscelli, tutti i nostri fiumi - spiega allargando le braccia - sono a secco, qui non c’è più acqua».
Di acqua, nell’Hebei, ce n’era. E tanta. Il fatto è che le autorità l’hanno «spostata» altrove. La si può vedere volteggiare vanitosa nel cielo inquinato di Pechino sotto forma di giochi delle fontane. O nebulizzata sopra i fiori dei parchi dagli inesausti sistemi di irrigazione che frustano l’aria e allagano le aiuole. La si può addirittura ascoltare, giorno e notte, nel concerto continuo di schizzi, gorgoglii, zampilli e sciacquoni che, attraverso il gigantesco organo a canne del sistema idraulico cittadino, garantiscono docce e ghiaccio, tè e tuffi, rasature e più intime necessità alle centinaia di migliaia di persone arrivate in occasione dei Giochi olimpici.
Peccato che buona parte di quest’acqua sprecata fosse proprio quella del povero Wang e di altre decine di migliaia di agricoltori ai quali il governo comunista l’ha presa - in Occidente si direbbe rubata - senza nemmeno chiederla. Deviandola poi a Pechino con 400 chilometri di canali e acquedotti realizzati in gran fretta in appena 100 giorni. Pare che qualcuno, ai piani alti, avesse fatto dei calcoli cinesi, cioè decisamente megalomani, prevedendo l’arrivo in città di mezzo milione di persone. Un afflusso che avrebbe lasciato la città, già afflitta da penuria nonché come tutto il Paese da inquinamento idrico, all’asciutto. Bisognava prenderla altrove.
Tutti quei turisti, poi si è visto, non sono arrivati a Pechino. Ma l’acqua di Wang e dei suoi colleghi, quella ormai sì. E il costo della poca rimasta, di quell’unico filo sottile che a Baoding e dintorni esce dai rubinetti, è aumentato del 300%. Con il risultato che sono già migliaia, nella regione, gli agricoltori indebitati e ridotti sul lastrico da questa spaventosa siccità artificiale, provocata dal regime. E sono almeno 31mila le persone che in questo modo hanno perso i campi e la casa. Tanto che tra i contadini c’è stato chi - riporta con una coraggiosa inchiesta svolta in loco, tra mille difficoltà, il giornale londinese Sunday Times - non ha retto allo strazio e si è tolto la vita. Qualcuno in modo atroce, bevendo pesticidi, ha raccontato sottovoce la gente ai reporter.
Sì, sottovoce, perché il nemico, cioè il regime, ti ascolta. E controlla. Al punto che - qui arriviamo all’assurdo - l’intera provincia è stata isolata dal resto della Cina, soprattutto da Pechino, con una presenza nelle strade di un autentico esercito di poliziotti, del tutto inusuale per una pacifica area agricola. E con decine di posti di blocco camuffati con grotteschi cartelli recanti la scritta «Checkpoint di Sicurezza Olimpica». Così si impediscono, nei due sensi, i movimenti di persone curiose. Perché la capitale non sappia quel che succede a Baoding. Ma soprattutto perché Badoing non deve sapere dove sta scorrendo inutilmente la sua acqua.
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