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Il 12 giugno, temendo quello che poi di fatto è accaduto in Irlanda, Libération, il giornale della sinistra chic (posseduto dai famosi Rotschild), con un articolo di Alain Duhamel, fratello del direttore generale di France Télévision, vomitava rabbia e disprezzo contro il "dispotismo irlandese", che osava sfidare l'Unione europea.
Per l'élite europea chi vota contro non è abbastanza evoluto. Ma ogni volta che si passa dalle urne per loro c'è una sberla. Il Trattato di Lisbona deve essere approvato all'unanimità, e il "no" di Dublino dovrebbe chiudere automaticamente la partita. Ma l'élite europea - o "eurocasta" che dir si voglia - non ha alcuna intenzione di mollare l'osso, e già ieri sera provava a derubricare la nuova bocciatura come un semplice incidente di percorso, aggirabile con uno dei tanti marchingegni istituzionali già adottati in passato. Magari chiamando di nuovo gli irlandesi alle urne il prossimo anno. Ovviamente, avessero vinto i "sì", col cavolo che i fautori del "no" avrebbero avuto una seconda chance. È di questa strana idea di democrazia che i popoli europei non si fidano...
LA VENDETTA DEGLI ELETTORI CONTRO L'EUROCASTA
Gli elettori europei si dividono in due categorie: quelli che hanno bocciato i trattati europei e quelli ai quali è stata negata la possibilità di bocciarli. Gli irlandesi appartengono alla prima categoria. Gli italiani, come altri popoli europei, fanno parte della seconda. A Dublino e dintorni giovedì scorso, per volere della Corte suprema, cioè della massima magistratura irlandese, i cittadini sono stati chiamati alle urne per approvare o respingere il Trattato di Lisbona, versione edulcorata della precedente costituzione europea, che fu affossata dal pronunciamento degli elettori francesi e olandesi nel 2005. Il verdetto irlandese è stato reso noto ieri: il 53,4% dei votanti ha detto "no". È la conferma - l'ennesima - che il palazzo di Bruxelles è visto dalla gran parte degli europei come un'astronave aliena piombata nel mezzo del continente da chissà dove, abitata da personaggi strani che, pur usando una lingua astrusa e incomprensibile, lontana da ogni comune idioma europeo, pretendono di dettare legge in casa nostra. Il raffronto con gli Stati Uniti, inevitabile pietra di paragone e oggetto delle invidie degli eurotecnocrati, è semplicemente umiliante. La Costituzione americana è sangue e storia di quel popolo, e ogni cittadino d'oltreoceano conosce a memoria almeno i principali emendamenti, quelli che difendono le sue libertà. Il Trattato di Lisbona è il figlio deforme delle beghe delle élites europee e dei loro compromessi al ribasso, è la traduzione cartacea di un progetto costruttivista che nessun cittadino europeo ha ancora capito in cosa consista e in che modo dovrebbe essergli utile. Tant'è che solo pochi esperti della materia - un circolo ristretto di iniziati che se si presentassero al giudizio degli elettori non riuscirebbero nemmeno a farsi eleggere amministratori di condominio - sono in grado di ricordarne qualche brandello di testo.
UN'ÉLITE INAMOVIBILE
Eppure gli europei, ogni volta che hanno potuto, non l'hanno mandata a dire. Si iniziò con il trattato di Maastricht, che nel 1992 fu sottoposto al giudizio dei danesi, i quali lo bocciarono, anche se di stretta misura. L'impalcatura europea fu salvata miracolosamente dai francesi, i quali - pochi mesi dopo - approvarono con il 51% dei voti l'accordo europeo. Si tornò a dare la parola ai cittadini nel 2001, quando gli irlandesi affossarono il trattato di Nizza, che stabiliva le regole da adottare man mano che gli stati dell'Europa orientale sarebbero entrati nell'Unione. L'accordo dovette essere modificato e fu necessario un secondo referendum per strappare il "sì" di Dublino. Nel 2005 fu il turno della costituzione europea, prima promossa da un referendum spagnolo, quindi silurata senza pietà dagli elettori di Francia e Paesi Bassi. Così furono necessari due anni di riflessione per approvare, a Lisbona, una nuova carta europea, chiamata ufficialmente "trattato di riforma", che assegna più poteri ai parlamenti nazionali e diminuisce la facoltà legislativa della Ue. Non è servito a niente: appena sottoposto agli elettori, questo Trattato ha subito la stessa sorte riservata al suo predecessore. Se a Bruxelles e Strasburgo la politica fosse governata dalla decenza, il voto irlandese sancirebbe la fine dei tentativi di imporre agli europei regole che rifiutano. Il Trattato di Lisbona deve essere approvato all'unanimità, e il "no" di Dublino dovrebbe chiudere automaticamente la partita. Ma l'élite europea non ha alcuna intenzione di mollare l'osso, e già ieri sera provava a derubricare la nuova bocciatura come un semplice incidente di percorso, aggirabile con uno dei tanti marchingegni istituzionali già adottati in passato. Magari chiamando di nuovo gli irlandesi alle urne il prossimo anno. Ovviamente, avessero vinto i "sì", col cavolo che i fautori del "no" avrebbero avuto una seconda chance. Il presidente della commissione europea, José Manuel Barroso, ha ricordato che diciotto Paesi hanno già approvato il trattato, e ha invitato gli altri otto a tirare dritto con le ratifiche. Peccato che l'Irlanda sia stato l'unico Paese che abbia previsto una consultazione popolare, mentre i diciotto che hanno approvato l'accordo l'abbiano fatto solo tramite i parlamenti: evidentemente certe cose sono ritenute troppo importanti per essere affidate al rozzo giudizio degli elettori.
UNA STRANA IDEA DI DEMOCRAZIA
In Italia, dove il testo è stato varato dal consiglio dei ministri due settimane fa, l'iter per l'approvazione definitiva del trattato inizierà tra pochi giorni. Ovviamente fare un referendum, da queste parti, è pura utopia. Quale sia l'idea d'Europa e di democrazia che va per la maggiore l'ha spiegato con toni da Istituto Luce Giorgio Napolitano, commentando il voto irlandese: «Non si può pensare che la decisione di poco più della metà degli elettori di un Paese che rappresenta meno dell'1% della popolazione dell'Unione possa arrestare l'indispensabile, ed oramai non più procrastinabile, processo di riforma. È l'ora di una scelta coraggiosa da parte di quanti vogliono dare coerente sviluppo alla costruzione europea, lasciandone fuori chi, nonostante impegni solennemente sottoscritti, minaccia di bloccarla». Bontà sua, il presidente della Repubblica se la prende con chi ha sottoposto il trattato Ue al voto degli elettori e propone di lasciare fuori dall'Europa chi non piega la testa al diktat della casta di Bruxelles. Poi si chiedono come mai, appena si parla di Unione europea, la mano degli elettori corre alla fondina.
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