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Vogliamo provare a capirci qualcosa in questa storia dell’Università, delle occupazioni, della Gelmini e tutto il resto? Non sarà facile, vi avverto, perché circola una confusione tale – in parte dovuta alla malafede, in parte alla superficialità – che a mettere un po’ d’ordine ci vuole concentrazione.
Prendiamo le mosse dai motivi della protesta: sui giornali, nei tiggì, nelle interviste ai ragazzi che protestano e occupano le università, si parla quasi sempre di “legge Gelmini”. Lì dentro sarebbe l’origine della devastazione dell’istruzione universitaria in Italia. La legge Gelmini, come dice Curzio Maltese su Repubblica, è quella che taglia il domani ai nostri ragazzi. Maltese ne è così convinto (ma non è il solo) che nel suo elegiaco resoconto di una notte di occupazione, pubblicato oggi su Rep., dice tra l’altro: “Gli studenti hanno tirato l’alba per studiare la legge Gelmini nei minimi particolari scovandovi un’infinita serie di contraddizioni”.
La prima contraddizione che Maltese e i suoi giovani eroi avrebbero dovuto scovare è che non esiste alcuna “legge Gelmini” che riguardi l’Università. Esiste un decreto legge che il Parlamento sta convertendo in legge in questi giorni (n°137 del 2008) che riguarda in modo particolare la scuola primaria (il maestro unico, i voti in numeri, ecc). Certo, studiandolo nei “minimi particolari” si può scoprire che c’è un articolo che riguarda l’abilitazione della laurea in scienze della formazione primaria (art.6) e un altro l’accesso alle scuole di specializzazione in medicina e chirurgia (art.7). Ma non sembra che siano questi i motivi della marea montante della protesta.
Alla confusione contribuisce anche Walter Veltroni quando, in nome delle occupazioni in corso, chiede a Berlusconi di ritirare il decreto Gelmini. La stessa cosa chiedono gli universitari ricevuti dal ministro che poi si indignano quando questo rifiuta. Ma a meno che tutte le proteste di questi giorni siano una forma di solidarietà verso gli alunni delle elementari, resta forte il sentore propagandistico di tutta questa vicenda.
Allora con chi ce l’hanno davvero gli occupanti, che sempre secondo i giornali, “come un bollettino di guerra” estendono la loro protesta in ogni angolo universitario d’Italia? Non è dai giornalisti che viene un indizio, nonostante il fatto che i quotidiani sono pieni, in questi giorni, di pagine e pagine che scavano ogni dettaglio del fenomeno studentesco. Nelle interviste in tivvù invece qualche ragazzo ha timidamente suggerito che la protesta punta contro la legge 133. Si tratta della legge approvata all’inizio d’agosto denominata "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria". E’ in sostanza la cosiddetta “pre-finanziaria”, delineata e poi approvata ormai quattro mesi fa.
Viene intanto da chiedersi perché si protesta a fine ottobre per un decreto presentato a fine giugno, e qui si potrebbe fare un po’ di dietrologia, considerando le necessità dell’opposizione di riconquistare la scena alla vigilia della manifestazione del 25 ottobre e quella dei giornali di complemento di inscenare in qualche modo la ribellione contro il governo Berlusconi. Ma qui per ora tralasciamo di approfondire.
Vediamo piuttosto se i contenuti della 133 giustificano l’impeto della protesta. Torniamo per un momento all’elegia dell’occupazione composta oggi da Maltese. Nell’attacco si fa parlare uno studente che secondo l’autore dovrebbe essere rappresentativo delle ragioni profonde della “rabbia dei ragazzi miti” conto il governo. Dice dunque lo studente: “Ho 22 anni e vivo ogni giorno sotto ricatto. Ho paura di non farcela a riscattare tutti i crediti, del contratto di precario che scade, di non poter pagare l’affitto, di non trovare lavoro dopo la laurea, della crisi mondiale, dell’aumento delle bollette”. Sono obiettivamente tutti buoni motivi per aver paura, ma hanno qualcosa a che fare con la legge 133 e con le occupazioni di questi giorni? Molto poco.
La legge 133, come detto, si occupa di tutta la pubblica amministrazione e dedica all’Università il capo V, composto a sua volta da tre articoli, il 15, il 16 e il 17 (gli articoli sono in tutto 85). Vi si tratta di costo dei libri scolastici, della facoltà di trasformazione delle Università in fondazioni e dei progetti di ricerca di eccellenza. Niente che possa suscitare più che un noioso dibattito televisivo. C’è poi l’allegato dove si parla di tagli per il ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e per tutti gli altri ministeri. Sono tagli generalizzati, legati alle esigenze di bilancio di cui ci si può certamente lamentare, ma non si può dire che l’Università sia stata colpita con particolare durezza: 107 milioni di euro nel 2009, 114 nel 2010 e 197 nel 2011. Si potrebbe anche supporre che si tratti di tagli mirati ad eliminare sprechi e privilegi, ma non vogliamo essere così ottimisti: ci limitiamo a dire che non sembrano destinati a “tagliare il domani” dei nostri ragazzi.
C’è anche bisogna dirlo, come per tutti i comparti della p.a., il blocco del turn-over per tre ani: i dipendenti che vanno in pensione non saranno sostituiti. Molti potranno dispiacersene, vedendo aspettative di carriera deluse, ma visto il numero stratosferico di docenti nel comparto istruzione non ci sentiamo di dolercene più di tanto e comunque non sembra una misura destinata ad infiammare gli animi degli studenti.
Viene dunque da chiedersi quali sono, se ci sono, i veri motivi della protesta e se essa sia davvero così dilagante e unanime come i giornali e le tivvù la descrivono. In altri articoli dedicati a questa vicenda abbiamo raccolto storie e testimonianze di molti studenti che da un lato ridimensionano la portata della rivolta e la circoscrivono alla parte più politicizzata degli studenti (centro sociali, ecc..), dall’altro denunciano minacce e violenze contro la maggioranza di quelli che vorrebbero continuare a studiare in pace. C’è poi un altro elemento che viene fuori dalle cronache: i più vocianti in questa stagione di proteste non sembrano essere gli studenti, bensì professori e rettori, loro sì preoccupati che lo status quo in cui prosperano, tra familismi e baronie, possa prima o poi essere alterato. Anche qui sono sempre gli stessi: il solito Maltese ad esempio fa parlare Fernando Ferroni, professore di Fisica, uno dei promotori della protesta contro la lectio magistralis del Papa e oggi in prima linea nelle occupazioni. Per non parlare di uno come Luigi Frati, Rettore della Sapienza, che organizza la protesta, ma è lo stesso che usò l’aula magna della Facoltà per il ricevimento di matrimonio della figlia.
Da altre facoltà ci raccontano di professori che danno dei vigliacchi agli studenti che restano in classe a studiare, di rettori che incoraggiano la sospensione delle lezioni e altri paradossi del genere.
Insomma, una minoranza confusa e vociante di studenti e docenti domina la scena grazie al potere magnificante dell’informazione, mentre scompare dalla vista e dal bilancio delle ragioni la maggioranza silenziosa di studenti che continuano a stare in classe e studiare.
Al di là dell’epica dominante, che assegna ai ribelli il ruolo da protagonisti, ne scandaglia sogni e passioni e ne canta le gesta eroiche contro il maligno Cavaliere, c’è una narrazione più ordinaria ma più vera che parla di un altro tipo di eroi.
L’Università è al disastro sotto ogni punto di vista, da molti più anni di quanti ne abbia il ministro Gelmini e da molto prima dell’entrata in scena di Berlusconi. Semmai è l’indiscussa egemonia della sinistra sugli atenei italiani a essere coeva con la loro crisi.
Che ci siano ancora centinaia di migliaia di studenti silenziosi che puntano le loro carte e il loro futuro su questa Università, ci stupisce e ci meraviglia molto di più delle tribù dei sacchi a pelo – du’ amici, ‘na chitarra e ‘no spinello – che pensano di passare alla storia salvando il mondo dalla Gelmini.
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