« Torna agli articoli di I


L'INGANNO DELL'AUTODETERMINAZIONE
La libertà che non può essere chiesta
di Giacomo Samek Lodovici
 

Non c’è un’«autodeterminazione di Stato». Se un malato decide di rifiutare le cure, o di essere lasciato morire, non può pretendere che i medici e l’autorità pubblica collaborino. Il suicidio è un atto malvagio: il fatto che sia scelto liberamente non ne cambia la sostanza.

 Spesso si invoca l’autodeterminazione per giustificare il testamento biologico, l’eutanasia e l’obbligo del medico di assecondare il malato, anche quando quest’ultimo chiede di sospendere terapie salvavita chiaramente proporzionate. Ora, a parte il fatto che obbligando i medici in nome dell’autodeterminazione del malato si calpesta quella dei primi, il concetto di autodeterminazione è molto denso: con qualche semplificazione diciamo che l’uomo si autodetermina, in misura più o meno ampia, ogni volta che sceglie di compiere o non compiere un’azione. Già per Aristotele quando scegliamo un’azione, con ciò stesso determiniamo noi stessi, perché determiniamo (come minimo) la nostra qualità morale: se scegliamo di compiere delle azioni buone siamo buoni e se scegliamo di esplicare delle azioni malvagie siamo malvagi. Perciò autodeterminarsi non è in sé un bene morale: la bontà/malvagità dipende dalla bontà/malvagità dell’atto che scegliamo di compiere.
 Se l’autodeterminarsi fosse già in sé un bene morale a prescindere dalle azioni che scegliamo, sarebbe un bene morale scegliere di torturare, di violentare un bambino, di assassinare, ecc. Insomma, l’autodeterminazione è un’azione moralmente buona se sono buone le azioni che essa sceglie. Ora, suicidarsi è un atto malvagio, dunque autodeterminarsi suicidandosi è un atto malvagio. Come, poi, si individua la bontà delle azioni è un altro complesso problema. Inoltre (eccetto casi rarissimi), quando apparentemente disponiamo solo di noi stessi, in realtà incidiamo anche sugli altri: per esempio, il suicida priva gli altri del contributo che egli solitamente (e, a volte, doverosamente) fornisce loro e provoca un dolore lacerante nelle persone che gli vogliono bene. E chi si suicida con l’assistenza e l’approvazione dei suoi cari incide negativamente su chi prova disapprovazione e dolore per tale suicidio assistito.
 Vito Mancuso (sul Corriere della Sera di lunedì) chiede: che cosa se ne fa un uomo della libertà di coscienza «se poi, a livello pratico, non può autodeterminarsi deliberando su se stesso?». Si può rispondere che la coscienza del soggetto non determina il bene/male, nondimeno è giusto che un soggetto adulto decida quali azioni compiere e (già per san Tommaso, S. Th., I-II, q. 96, a. 2) lo Stato deve consentirgli di compierle, tollerando quelle malvagie che danneggiano gli altri solo poco e indirettamente e vietando quelle che ledono gli altri gravemente e direttamente.
  Dunque se io sono malato e rifiuto di iniziare delle terapie salvavita chiaramente proporzionate, come si devono  comportare gli altri e lo Stato? Essi hanno il dovere di implorarmi a iniziarle. Ma se non riescono a convincermi?
  Come si evince anche dalla più diffusa (non l’unica) interpretazione dell’articolo 32 della Costituzione, se essi riescono ad appurare (cosa spesso molto difficile) che io sono lucido e autonomo (il che avviene di rado), devono tollerare a malincuore che io rifiuti tali terapie, sebbene questo mio atto (un suicidio) sia malvagio: non devono impormele coercitivamente perché (questo è il punto) farebbero violenza sul mio corpo. Almeno così mi pare (ma ritengo importanti anche le ragioni di chi la pensa diversamente). Tollerare a malincuore un atto malvagio è, tuttavia, ben diverso da cooperare a compierlo, come invece fa chi – già solo sospendendo delle terapie salvavita – asseconda la volontà di morire di un uomo, uccidendolo come egli chiede o come ha chiesto redigendo il testamento biologico.
Inoltre il testamento biologico di chi non riesce più a comunicare e che ha scritto in passato che esige di non iniziare/sospendere delle terapie proporzionate non va assecondato, anche perché è un dato di fatto che, nella maggior parte dei casi, le persone che inizialmente chiedono l’eutanasia cambiano successivamente idea: l’esecuzione del testamento sarebbe proprio la trasgressione della loro volontà. Non siamo certi che abbiano cambiato idea, però è la cosa più probabile e, se siamo in dubbio sulla volontà attuale del soggetto, per il principio di precauzione dobbiamo somministrargli terapie proporzionate perché si deve optare per il bene del malato. Che è il rimanere in vita: l’esserci dell’uomo determina già la sua dignità inviolabile.

 
Fonte: Avvenire, 09/10/08