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REFERENDUM NEL SUDAN DEL SUD: OLTRE IL 98 X CENTO HA VOTATO PER L'INDIPENDENZA DAL NORD MUSULMANO
Il vescovo comboniano da trent'anni in Africa: ''Il dialogo con i musulmani nella nostra terra è impossibile''
di Antonio Giuliano
 

«Per la mia gente del Sud Sudan è un trionfo. È la proclamazione della liberazione dall'oppressione del governo fondamentalista islamico del Nord. Ora il mio popolo ha un'anima rigenerata». Gli occhi di Cesare Mazzolari, vescovo di Rumbek, capitale dello Stato dei Laghi (Sudan del sud), brillano quando parla di quella che ormai considera la sua terra. Il Sud Sudan diventerà uno Stato indipendente: sono stati resi noti i risultati del referendum che si è tenuto dal 9 al 15 gennaio scorso in cui il 98,83% dei circa 4 milioni di elettori si è pronunciato per la secessione dal regime sudanese settentrionale di Omar al Bashir.
Missionario comboniano, originario di Brescia, monsignor Mazzolari da trent'anni esatti è di casa in Africa. Nei giorni scorsi era all'Università Cattolica di Milano per la presentazione del libro a fumetti Diario di un viaggio in Sudan, realizzato dalla Scuola internazionale di Comics in collaborazione con la Fondazione Cesar. Sull'esito del voto non ha mai avuto dubbi: «La mia gente ha accolto con entusiasmo il referendum: già all'alba del primo giorno di voto le urne traboccavano di persone che uscendo danzavano e inneggiavano all'indipendenza. Una festa per tutti. Anche per le donne che hanno votato in massa: il 52% dei votanti».
Certo il passato è appena dietro l'angolo. Sono passati solo sei anni dalla fine della sanguinosa guerra civile tra il regime islamista di Khartum nel Nord e gli indipendentisti cristiani e animisti del Sud. Un conflitto durato 22 anni che ha lasciato sul campo quasi due milioni di vittime. Ma per monsignor Mazzolari è tempo di guardare al futuro: «Adesso ci sarà da lavorare per trovare la coesione, la guerra ci ha divisi, e alcuni gruppi hanno sofferto più di altri. La riconciliazione non sarà sistematica come è stato per il Sudafrica, ci vorrà più tempo. E poi c'è grande panico specie tra i cristiani per i proclami di Bashir che minaccia di imporre la sharia, la legge islamica, alle persone del sud rimaste al nord. Ecco perché da giorni si stanno riversando nel meridione. Sono già 20-25 mila persone…».
Eppure lui non si è fatto trovare impreparato. Tira fuori dalle tasche una mappa delle regioni sudanesi e spiega: «Nella mia diocesi stiamo già assistendo circa 10 mila sfollati arrivati con i barconi del Nilo o attraverso il deserto. Solo nella scuola di Rumsek abbiamo accolto 800 famiglie. Mancano di tutto: cibo, vestiti, abitazioni. Noi avevamo previsto un'equipe di accoglienza in caso di emergenza. Ma i familiari ormai non li aspettavano più. E loro stessi che abitano al nord da 25 anni e i cui figli son nati là pensavano ormai di rimanerci avendo trovato un lavoro».
Il governo di Karthum si è impegnato a riconoscere l'esito del referendum, ma molti di loro temono ritorsioni: «Giustamente - rimarca Mazzolari – . Sanno bene che cosa vuol dire la legge islamica: basta un nonnulla per venire incolpati senza motivo. E se ti accusano di furto ti tagliano una mano, se vieni accusato di altri crimini ti lasciano in prigione tutta la vita o ti massacrano. Non possono praticare la loro religione, per trovare lavoro devi diventare per forza musulmano, e le opportunità di avere proprietà e case sono limitate. Vivrebbero comunque da schiavi e sarebbero prima o poi costretti ad andare via».
Anche se negli ultimi mesi si era parlato di timidi segnali distensivi del regime del nord, il comboniano è scettico: «Il presidente Bashir vedendo l'esodo, ha cominciato a correggere un po' il suo linguaggio. Ma non credo proprio che la situazione sia migliorata: se ci siamo separati è proprio perché gli accordi di pace non sono stati rispettati. Purtroppo credo che la Chiesa del Nord soffrirà. Il dialogo con i musulmani nella nostra terra è impossibile. L'unica opzione per il regime fondamentalista è una convivenza mal tollerata con le minoranze».
Il vescovo conosce ormai da vicino il fanatismo islamico, di conversioni forzate e di crocifissioni. Ma non è tipo da arrendersi. Il motto che ha voluto nel suo stemma episcopale l'ha coniato di suo pugno: "Per reconciliationem et crucem ad unitatem et pacem" ("Alla pace e all'unità attraverso la riconciliazione e la croce"). In queste ore gli studenti universitari di Khartum stanno protestando contro il regime: «Io spero – afferma Mazzolari – che anche il Nord possa evolvere verso un sistema democratico. Quanto al Sud ci vorranno almeno una decina d'anni per avere una classe dirigente, ma sono fiducioso».
C'è grande attesa per Salva Kiir, il neo presidente del Sud Sudan, un cattolico praticante: «Lo conosco – continua il missionario – penso possa essere la persona giusta. La Chiesa e gli organismi internazionali ci stanno dando una grossa mano. Le grande risorse naturali, come quelle petrolifere, fanno gola alle potenze internazionali come la Cina (che preleva il 42% del petrolio). Ma gli Usa per esempio stanno contribuendo moltissimo alla transizione con aiuti economici».
C'è però una risorsa che pare contare più delle altre: «È la fede della nostra gente – dice senza esitazione Mazzolari -. Non dimenticherò l'eroismo delle mamme che supplicavano John Garang (il leader protestante dei guerriglieri cristiani del Sud) di porre fine alla guerra. La tenacia di questo popolo nell'affrontare gli ostacoli e di affermare la propria identità, lo straordinario spirito di dedizione sono una professione di fede nel valore della vita. La fede ci ha salvato, abbiamo pregato tanto per questo referendum. E io sono sicuro che il cuore del sudanese non cederà al desiderio di vendetta perché ha una capacità unica di perdonare e di cominciare di nuovo. Siamo ancora traumatizzati dalla guerra. Però anche se dovremo fare tanti sacrifici, possiamo davvero scrivere un nuovo capitolo».
E lui sulla soglia delle 74 primavere, il prossimo 9 febbraio, non vede l'ora di cominciare. Si lascia scappare un sorriso quando pensa se avrà un buco di tempo libero al ritorno nella sua diocesi, lunga quasi come l'Italia: «Comincerò come sempre con 2 ore di preghiera al mattino. E poi dovrò mettermi in cammino per le undici missioni diocesane. La sfida più grande è sempre l'educazione. Ma abbiamo già molti nostri studenti nelle agenzie internazionali...».
Di grande aiuto è l'ansia di voltar pagina della gente che fotografa ricorrendo alla saggezza africana: «Un proverbio congolese dice che quando due elefanti lottano è l'erba che ne va di mezzo. Così è successo in Sudan: Nord e Sud si sono scannati e a pagare il prezzo più alto è stata la popolazione civile. Ma adesso i risultati del referendum sono chiari: il "mio" popolo del Sud ha scelto di non essere più l'erba calpestata, ma un'erba che può crescere tranquilla, un campo fertile per una nuova società».

 
Fonte: La Bussola Quotidiana, 01-02-2011