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Lunedì 7 marzo è iniziato alla Camera il dibattito sul Ddl Calabrò, riguardante le "Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato, e di dichiarazioni anticipate di trattamento".
Molta confusione è stata fatta nel descrivere le implicazioni di questa legge, tanto che si sono formate tre diverse correnti di pensiero. La prima, quella dei laicisti che non vogliono questa legge, considerandola non abbastanza liberale. La seconda corrente, rappresentata da moltissimi politici cattolici e da gran parte del centro e del centrodestra, che sta portando avanti la campagna per l'approvazione di questa legge. C'è poi una terza corrente di pensiero, costituita da coloro che sono contrari a questa legge, laici e cattolici, perché temono che essa possa aprire una breccia per l'eutanasia passiva nelle normative del nostro Stato, per i motivi che andremo fra poco a trattare. A quest'ultima corrente di pensiero aderiscono Giuliano Ferrara, gli intellettuali che gravitano attorno al quotidiano "Il Foglio" e gli attivisti pro-life che fanno parte del "Comitato Verità e Vita".
Come vedremo, la tesi più ragionevole è quella di questo terzo gruppo di pensatori.
QUELLE STRANE ANALOGIE CON LA LEGGE 194…
Analizzando approfonditamente il testo della legge, si può osservare come essa presenti un inganno analogo a quello della legge 194/78 sull'aborto: Nell' art.1 si sostiene infatti che essa "riconosce e tutela la vita umana, quale diritto inviolabile ed indisponibile" come la legge che legalizzò l'aborto sosteneva nel suo primo articolo"Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.".
Entrambe quindi partono da una premessa apparentemente rispettosa della vita. Invece, come nei punti successivi al primo la 194 introduceva l'aborto legale, la legge ora in discussione apre al testamento biologico.
C'ERA BISOGNO DI QUESTA LEGGE SUL FINEVITA?
Non erano necessarie le DAT (Dichiarazioni Anticipate di Trattamento). Prima di tutto il nostro ordinamento ha un presidio molto forte in difesa della persona umana contro il pericolo di abbandono terapeutico e di eutanasia, in quanto sono puniti l'omicidio del consenziente e l'istigazione al suicidio. Inoltre in Italia il Codice di Deontologia Medica prevede che il personale sanitario debba evitare sia l'accanimento sia l'abbandono terapeutico.
I difensori di questa legge sostengono che essa debba essere approvata per evitare altri casi Eluana Englaro (la ragazza in stato vegetativo lasciata morire di fame e di sete nel febbraio 2009 per la sospensione di idratazione e alimentazione).
Come già detto però, essendo già tutelata la vita in questi casi, ed essendo in particolare vietata.
La sospensione di idratazione e nutrizione per i disabili (anche grazie alla Convenzione di Oviedo del 1997), la legge da ricercarsi doveva essere finalizzata al contrasto delle "sentenze creative" dei giudici, perché il problema è insorto proprio sul terreno giudiziario e là va risolto. Infatti la legge molto probabilmente non eviterà le sentenze creative, in quanto il testo della stessa contiene molte ambiguità ed è per questo soggetta a diversa interpretazione.
Se invece si voleva a tutti i costi una legge sulla tutela del fine-vita, sarebbe bastato un unico articolo: "E' vietato sospendere la nutrizione e l'idratazione ai soggetti incapaci".
Invece nel testo arrivato alla Camera, il divieto di sospensione dell'idratazione e dell'alimentazione è solo uno specchio per le allodole, studiato ad arte per convincere i cattolici a credere che questa sia una legge buona e giusta.
Purtroppo non è così: mettendo un paletto ne vengono scardinati molti altri.
GLI INGANNI DELLE DAT
La legge, contenendo in sé la legittimazione del testamento biologico, mette in discussione l'indisponibilità della vita umana, principio cardine del diritto naturale, da sempre difeso dalla morale cattolica.
Nell' art.3 infatti si stabilisce che con le DAT "il dichiarante esprime il proprio orientamento in merito ai trattamenti sanitari in previsione di un'eventuale futura perdita della propria capacità di intendere e di volere" (con cui si amplia la validità delle DAT non solo agli stati vegetativi, ma anche a malattie come la Sindrome di Alzheimer) e "dichiara il proprio orientamento circa l'attivazione o non attivazione di trattamenti sanitari".
Questo articolo, presentato come garanzia dell'autonomia decisionale, in realtà è esattamente il contrario. Legittimando le DAT si permette che ognuno possa decidere nel presente le terapie che intende rifiutare in un eventuale stato futuro di incapacità di intendere e di volere. Nel momento in cui le DAT verranno attuate, non si rispetterà l'autonomia decisionale attuale del paziente, ma ci si metterà a servizio di un'altra volontà, che era appartenuta a quella persona in un altro momento e in un altro contesto.
Lo Stato Italiano, giustamente, ha sempre garantito il consenso informato per le terapie. Tuttavia quest'ultimo è un consenso attuale, attraverso cui il paziente acconsente nel presente all'attivazione contemporanea di un trattamento sanitario. Con le DAT invece si pretende di fare affidamento a ciò che uno ha scritto mesi, magari anni prima, in una situazione psicofisica forse completamente diversa. Ciò costituisce un'assurdità, in quanto la scienza conferma che la volontà è soggetta a frequenti cambiamenti. Spesso capita che nel tempo i pazienti cambino idea rispetto alle cure a cui vorrebbero o non vorrebbero essere sottoposti, ma negli stati di incoscienza essi sono impossibilitati a comunicarci l'eventuale mutamento di volontà.
Un grande interrogativo morale che sorge spontaneo è relativo allo stato in cui si redigono le dichiarazioni anticipate di trattamento. Infatti coloro che le scrivono da sani, non essendo in punto di morte, non si rendono conto di ciò che stanno decidendo. Come confermano ricerche scientifiche, quando si sta per morire ci si sente più attaccati alla vita. L'eutanasia è la tentazione dei sani.
E' emblematica la storia di Sylvie Ménard, allieva di Umberto Veronesi, in passato responsabile di un reparto dell'Istituto di tumori di Milano ed in prima linea nella battaglia per la legalizzazione dell'eutanasia.
In seguito all'insorgere di un cancro, però cambiò del tutto la sua volontà :"Adesso che per me la morte non è più un concetto virtuale non ho nessuna voglia di andarmene (…). Anche se concluderò la mia vita in un letto con le ossa che rischiano di sbriciolarsi, io ora voglio vivere fino in fondo la mia esistenza". Disse inoltre "Da sana l'avrei sottoscritto (Il testamento biologico, ndr), ora l'avrei voluto stracciare". Immaginiamo che situazione terribile quella di chi non fosse più in grado di comunicare il cambiamento di volontà.
Se al contrario le DAT vengono scritte quando il soggetto estensore è già affetto dalla patologia, si va parimenti incontro ad un'altra difficoltà, in quanto da malati si è fortemente condizionati dalla sofferenza e dalla paura e non si può scegliere lucidamente il proprio bene.
Ezekiel Emanuel, bioeticista di Harvard, pubblicò sulla rivista Jama del 2000 le sue ricerche su 988 malati terminali. Di questi solo il 10% era inizialmente favorevole all'eutanasia per se stesso. Dopo qualche mese la metà di tale 10% aveva già cambiato idea e alla fine dell'indagine, solo uno dei 988 malati terminali era morto per suicidio assistito. E questo non era tra quelli che inizialmente desideravano l'eutanasia: ecco un altro che, seppure in negativo, aveva cambiato volontà.
Per i sostenitori della legge ora in esame alla Camera, essa non sarebbe malvagia e le DAT non sarebbero equiparabili al testamento biologico, perché non sono vincolanti per il singolo medico (art.7). Tuttavia la non vincolatività non è una garanzia dell'inviolabilità della vita: se il paziente si troverà di fronte un medico pro-choice, o peggio ancora un radicale, si può essere certi che questi non ci penserà due volte a mettere in atto le volontà di rifiuto delle terapie vitali espresse nelle DAT.
L'implicazione sconvolgente di questa legge è che il medico che eseguirà le volontà di rifiuto delle terapie in base a un testamento biologico, agirà legittimamente per l'ordinamento generale! Per questo non potrà essere perseguibile penalmente, e sarà aperta la strada all'eutanasia passiva.
VITA E MORTE DI INABILI E MINORENNI DIPENDERANNO DA ALTRI
Una ulteriore problematicità che presenta il Ddl Calabrò, che è un altro attacco all'autonomia del paziente, deriva dal fatto che il curatore può decidere per il disabile, i genitori per i figli minori, come riscontrabile dall'articolo 2. Si assegna a terze persone una decisione sulla vita e sulla morte del paziente che non può decidere da sé. Essi potranno rifiutare per l'assistito qualsiasi terapia, perché secondo i commi 1,6,7 dell'art.2 (art.2, comma 7 "Il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la potestà parentale o la tutela") ogni trattamento sanitario, anche le terapie salvavita, per essere attivate avranno bisogno dell'approvazione dei tutori di questi soggetti. Così viene annullata completamente la dignità del paziente inabile o minorenne, perché anche in assenza di un testamento biologico sarà del tutto in balìa delle volontà dei suoi tutori.
CONCLUSIONI
Concludo con l'auspicio, che tutti noi di "Io amo l'Italia" dovremmo far nostro, che il disegno di legge all'esame della Camera venga bocciato. Sarebbe lodevole una legge che tutelasse davvero la vita nel momento della sua fine, promuovendo le cure palliative e il sostegno alle famiglie dei malati, ma purtroppo non è questo il caso del Ddl Calabrò.
E' necessario recuperare il rispetto della dignità della persona, che rimane tale anche in situazioni di così grande precarietà, quando non è più in grado né di intendere né di volere.
Coloro che hanno a cuore la tutela della vita, e i cattolici in particolare, non cadano nell'inganno del finto pietismo e non facciano il gioco di una società che fa di tutto per abbandonare a se stessi e alla morte i malati, perché non vuole farsi carico dei più deboli. Torniamo a conferire dignità e valore al malato: nessuno se si sente amato e voluto chiede di morire.
(Ringrazio per la documentazione Giovanni Ceroni)
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