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IL CASO
Beppino Englaro è stato autorizzato dalla Corte d'Appello di Milano, su indicazione della Cassazione, a sospendere la nutrizione e l'idratazione artificiale alla figlia Eluana (di cui era stato nominato tutore), provocandone la morte. Egli ha più volte affermato di avere ritenuto la figlia – che si trovava in stato vegetativo persistente – morta fin dal giorno dell'incidente stradale.
La Cassazione aveva affermato che, poiché non vi era nessuna possibilità che la disabile tornasse allo stato di coscienza, il padre/tutore poteva esprimere il rifiuto alla nutrizione e idratazione artificiale – considerati terapia e non sostegno vitale – in sua vece, sia pure rispettando la sua volontà presunta.
COSA SUCCEDERÀ CON LA NUOVA LEGGE?
Il tutore può rifiutare ogni forma di terapia per il soggetto in stato vegetativo (che, in quanto mancante di coscienza, può essere interdetto). Può quindi rifiutare: a) l'inserimento e l'avvio di qualsiasi forma di nutrizione artificiale (ad esempio, la piccola operazione necessaria per l'inserimento della PEG); b) qualunque altra terapia (ad esempio antibiotici in caso di influenza). Il suo rifiuto – anche se porta alla morte del disabile – è direttamente efficace, senza alcuna necessità di promuovere una causa.
Prima che il soggetto cada nella condizione di stato vegetativo, quando è ancora in coma, il genitore o il tutore può rifiutare respirazione artificiale e terapie di rianimazione.
Il tutore non può chiedere che alimentazione e idratazione artificiale già intraprese vengano interrotte. Tuttavia i medici autonomamente o su azione giudiziaria del tutore possono sospendere la nutrizione e idratazione artificiale se non sono più efficaci.
Ancora: i medici in autonomia (o costretti da un'azione giudiziaria del tutore) possono (o debbono) sospendere ogni terapia nei confronti del disabile incosciente se ritenuti "trattamenti straordinari non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati".
MOTIVAZIONE GIURIDICA
Tra le tante forzature del "caso Englaro" vi era quella di attribuire al padre/tutore il potere di decidere di terapie e sostegno vitale per l'interdetto, anche con conseguenze mortali, come se non si trattasse di diritto "personalissimo", che quindi può essere esercitato solo dal diretto interessato.
Il progetto di legge conferma questa forzatura e sancisce che i medici, di fronte al rifiuto del legale rappresentante dell'incapace e alla sua richiesta di interrompere le terapie, devono ottemperare, salvo ricorrere al Giudice (se lo ritengono opportuno: ma se medici e tutore saranno d'accordo, non ci sarà nessun ricorso al Giudice).
Come si è detto, il rifiuto del legale rappresentante può anche portare alla morte dell'assistito: è vero che la legge gli impone di avere come "scopo esclusivo la salvaguardia della salute e della vita dell'incapace" (articolo 2 comma 6, ultima frase) ma, ancora una volta, chi giudicherà delle motivazioni che lo spingono, se il ricorso al Giudice non è obbligatorio?
La legge fa un'eccezione quanto al mantenimento dell'alimentazione e idratazione per via artificiale che "devono essere mantenute fino al termine della vita" (articolo 3 comma 5): è una "norma simbolo" per impedire il ripetersi di un altro caso Englaro. Ma, quanto all'attivazione dell'alimentazione e idratazione, conterà il rifiuto opposto dai genitori o dal tutore.
Insomma: si tratta di un'eccezione isolata (un "paletto") destinato ben presto a cadere; e infatti, alla Camera dei Deputati è già stata approvata l'eccezione alla regola, così generica che, si può presumere, sarà molto ampliata nella sua attuazione.
Più in generale, nei confronti di disabili che si trovano nello stato in cui si trovava Eluana Englaro, ma anche di altre "categorie" di soggetti in stato di incoscienza (ad esempio: neonati prematuri, anziani in stato di demenza), la legge – che li definisce in stato di "fine vita", anche se non sono affatto in punto di morte – attribuisce ai medici il potere/dovere di "astenersi da trattamenti straordinari non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente o agli obbiettivi di cura" (articolo 1 comma 1 lettera e). Insomma: i medici possono smettere di curarli (in tutto o in parte) sulla base di questa valutazione. Non solo: i legali rappresentanti degli incapaci – se non riusciranno a far interrompere le terapie – potranno far causa ai medici, accusandoli di accanimento terapeutico e ottenendo dai Giudici l'ordine di interruzione delle terapie.
Questo potere/dovere dei medici di interrompere terapie "sproporzionate" rispetto agli "obbiettivi di cura" vale anche se, nella Dichiarazione anticipata di trattamento, il soggetto avrà dato il consenso (o l'ordine) di usare tutti i mezzi e i medicinali utili a mantenerlo in vita!
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