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Michela Brambilla, Umberto Veronesi, Dacia Maraini, Margherita Hack e Maurizio Costanzo: sono solo alcuni dei nomi altisonanti che hanno promosso il manifesto «La coscienza degli animali», che afferma che «Chi rispetta la Vita deve rispettarne ogni forma. Chi è crudele con gli animali lo è anche con gli esseri umani». E ancora: «Gli animali hanno un elevato livello di consapevolezza, coscienza, sensibilità e molti di loro hanno la capacità di sviluppare sentimenti», cosicché «Il primo diritto degli animali è il diritto alla vita». La Brambilla e Veronesi sono inoltre vegetariani e, per l'oncologo più famoso d'Italia, «Dobbiamo cominciare a trasferire i principi etici [...] non far soffrire, non essere violenti e non uccidere [...] anche al mondo animale».
Ora, sia chiaro: l'uomo non è il proprietario della creazione, bensì ne è l'amministratore, deve dunque prendersene cura, non deve devastarlo, deve rendere conto all'Autore del mondo. Ma questo non toglie che ne possa fare un giusto uso. Perciò, si può legittimamente discutere sul dolore inutilmente inflitto agli animali (e su cosa sia inutile si potrebbero fare molte disquisizioni opinabili), ma di sicuro è ineccepibile cibarsi di animali.
Uno dei più importanti antesignani di Brambilla & co è il filosofo Jeremy Bentham (1748-1832), secondo cui tra l'uomo e l'animale non sussiste una differenza qualitativa, perché – per questo filosofo inglese – il requisito che può tracciare dei confini tra i viventi non è la razionalità, ma la capacità di provare dolore. Per Bentham, tra l'uomo e l'animale non c'è una distinzione qualitativa, bensì solo di grado. Così, dice Bentham, «c'è stato un giorno [...] in cui la maggior parte delle specie umane, sotto il nome di schiavi, veniva trattata dalla legge esattamente come lo sono ancora oggi [...] le razze inferiori degli animali», ma «può arrivare il giorno in cui il resto degli animali del creato potrà accampare quei diritti di cui non si sarebbe mai potuto privarli, se non per mezzo della tirannia».
Si dirà che per Brambilla e Veronesi la differenza tra l'uomo e gli animali è anche qualitativa; ma, allora, il trattamento riservato all'uomo dev'essere enormemente diverso da quello verso gli animali: sono d'accordo Brambilla e Veronesi? In realtà, nelle loro dichiarazioni tale differenza tende a sfumare, quando essi affermano che gli animali hanno consapevolezza e coscienza. Ora, non vogliamo qui stare a fare (o chiedere loro) una definizione di questi termini. Il punto essenziale che va chiarito e tenuto fermo è il seguente: se negli animali superiori si trova una qualche forma di "intelligenza", nondimeno essa è qualitativamente inferiore a quella umana.
Lo rileva già in modo magistrale Aristotele, nel primo libro della Politica. Infatti (rimando per approfondimenti al mio articolo Uomo e animale: così diversi..., «il Timone», 99 [2011],), l'animale si accorge solo di alcune cose, cioè solo di quelle utili/dannose, piacevoli/dolorose, pericolose/vantaggiose e le altre cose del mondo non le percepisce; per contro, l'uomo si accorge di tutte le cose e non solo di quelle che gli possono essere utili/nocive e si interroga non solo sull'utilità/nocività, ecc. delle cose, ma anche sulla loro natura, cioè si chiede: «che cos'è questa cosa?», perché vuole conoscerla anche a prescindere dalla sua eventuale utilità/dannosità, vuole conoscere anche la verità sulle cose, il bene e il male, il giusto e l'ingiusto.
Inoltre, come ha scritto il filosofo Paolo Pagani, una cosa è usare oppure adattare qualcosa per farne uno strumento, come fanno sia l'uomo sia gli animali; un'altra è fabbricare strumenti, come fa solo l'uomo. È vero che nel 2000 una scimmia è stata indotta, grazie ad un lungo addestramento, a scheggiare delle pietre, ma ciò non costituisce una smentita della differenza qualitativa tra l'uomo e l'animale, bensì è un mero esempio di comportamento imitativo.
Potremmo proseguire a lungo sulla differenza qualitativa uomo-animale: dovremmo parlare di vari altri aspetti peculiari dell'uomo, come la libertà, la capacità di amare (ben diversa dalla cura animale, cfr. il mio articolo che ho già citato), il senso estetico, il senso etico, ecc.
Qui possiamo solo aggiungere che, a ben vedere, Bentham pare più conscio di una cosa che Brambilla e Veronesi non evidenziano. L'uccisione che gli animali ricevono dall'uomo di solito è meno dolorosa di quella che generalmente li coglie in mezzo agli altri animali: «La morte che ricevono da noi comunemente è, e può essere, una morte più veloce, e per questo meno dolorosa, di quella che li aspetterebbe nell'inevitabile corso della natura».
Inoltre, se la Brambilla è davvero convinta della differenza qualitativa tra l'uomo e l'animale, perché non si batte, e molto più energicamente, per la protezione degli esseri umani? Qualora per lei gli esseri umani allo stadio di embrione non fossero persone, si batta – e molto più energicamente che per gli animali – per i poveri, per gli sfruttati, per i derelitti, per gli handicappati, ecc. Se si dedicasse a questa causa, distogliendo per questo motivo parte delle sue energie e del suo tempo dalla promozione del turismo (alla cui tutela è designata Ministro della Repubblica), la elogeremmo volentieri.
Infine, un commento alla dichiarazione di Margherita Hack: «La scuola porti i bambini a vedere gli allevamenti intensivi, a sentire le urla strazianti dei vitellini o dei maialini, a verificare come un pollo cresce in gabbie in cui lo spazio per muoversi è pari a due terzi di un foglio A4». Ebbene, ci stiamo, ma ad un patto. Che la scuola italiana faccia anche vedere a tutti gli studenti il filmato "l'urlo silenzioso" (o qualcosa di analogo) in cui si vede, con gli ultrasuoni, un concepito d'uomo cercare di sfuggire, di divincolarsi, di scampare agli strumenti di un chirurgo che pratica un aborto e che lo ghermisce, lo dilania, e lo smembra. Ammesso e non concesso (ma non possiamo qui argomentare al riguardo) che l'embrione non sia persona, vale forse meno di un pollo?
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