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Dovrebbe essere evidente a tutti quanto sia rilevante il tema dell'immigrazione nell'Italia di oggi; ma credo sia altrettanto innegabile l'inadeguata attenzione pastorale e lo scarso realismo con cui finora esso è stato valutato e affrontato. Il fenomeno appare imponente e grave; e i problemi che ne derivano - tanto per la società civile quanto per la comunità cristiana - sono per molti aspetti nuovi, contrassegnati da inedite complicazioni, provvisti di una forte incidenza sulla vita delle nostre popolazioni. (...)
PROGETTI REALISTICI COMPLESSIVI
Ciò che dobbiamo augurare al nostro Stato e alla società italiana è che si arrivi presto a un serio dominio della situazione, in modo che il massiccio arrivo di stranieri nel nostro paese sia disciplinato e guidato secondo progetti concreti e realistici di inserimento che mirino al vero bene di tutti, sia dei nuovi arrivati sia delle nostre popolazioni.
Tali progetti dovrebbero contemplare tanto la possibilità di un lavoro regolarmente remunerato quanto la disponibilità di alloggi dignitosi non gratuiti: per questa strada si potrà arrivare a un sicuro innesto entro il nostro organismo sociale, senza discriminazioni e senza privilegi.
Chi viene da noi deve sapere subito che gli sarà richiesto, come necessaria contropartita dell'ospitalità, il rispetto di tutte le norme di convivenza che sono in vigore da noi, comprese quelle fiscali. Diversamente non si farebbe che suscitare e favorire perniciose crisi di rigetto, ciechi atteggiamenti di xenofobia e l'insorgere di deplorevoli intolleranze razziali.
CRITERI ATTUATIVI
La pratica attuazione di questi progetti obbedirà necessariamente a criteri che saranno anche economici: l'Italia ha bisogno di forze lavorative che non riesce più a trovare nell'ambito della sua popolazione.
A questo proposito, dovrebbero essere tutti ormai persuasi di quanto sia stata insipiente la linea perseguita negli ultimi quarant'anni, con l'ossessivo terrorismo culturale antidemografico e con l'assenza di ogni correttivo legislativo e politico che ponesse qualche rimedio all'egoistica e stolta denatalità, da molto tempo ai vertici delle statistiche mondiali. Tutto questo nonostante l'esempio contrario delle nazioni d'Europa più accorte, più lungimiranti, più civili, che non hanno esitato a prendere in questo campo intelligenti e realistici provvedimenti.
LA SALVAGUARDIA DELL'IDENTITÀ NAZIONALE
Ma i criteri di cui si parla non potranno essere soltanto economici e previdenziali.
Una consistente immissione di stranieri nella nostra penisola è accettabile e può riuscire anche benefica, purché ci si preoccupi seriamente di salvaguardare la fisionomia propria della nazione. L'Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza una inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto.
Sotto questo profilo, uno Stato davvero "laico" - che cioè abbia di mira non il trionfo di qualche ideologia, ma il vero bene degli uomini e delle donne sui quali esercita la sua attività di amministrazione e di governo, e voglia loro preparare con accortezza un desiderabile futuro - dovrebbe avere tra le sue preoccupazioni primarie quella di favorire la pacifica integrazione delle genti (come si è già storicamente verificato nell'incontro tra le popolazioni latine e quelle germaniche sopravvenute) o quanto meno una coesistenza non conflittuale; una compresenza e una coesistenza che comunque non conducano a disperdere la nostra ricchezza ideale o a snaturare la nostra specifica identità.
Bisogna perciò concretamente operare perché coloro che intendono stabilirsi da noi in modo definitivo "si inculturino" nella realtà spirituale, morale, giuridica del nostro paese, e vengano posti in condizione di conoscere al meglio le tradizioni letterarie, estetiche, religiose della peculiare umanità della quale sono venuti a far parte.
A questo fine, le concrete condizioni di partenza degli immigrati non sono ugualmente propizie; e le autorità non dovrebbero trascurare questo dato della questione.
In una prospettiva realistica, andrebbero preferite (a parità di condizioni, soprattutto per quel che si riferisce all'onestà delle intenzioni e al corretto comportamento) le popolazioni cattoliche o almeno cristiane, alle quali l'inserimento risulta enormemente agevolato (per esempio i latino-americani, i filippini, gli eritrei, i provenienti da molti paesi dell'Est Europa, eccetera); poi gli asiatici (come i cinesi e i coreani), che hanno dimostrato di sapersi integrare con buona facilità, pur conservando i tratti distintivi della loro cultura. Questa linea di condotta - essendo "laicamente" motivata - non dovrebbe lasciarsi condizionare o disanimare nemmeno dalle possibili critiche sollevate dall'ambiente ecclesiastico o dalle organizzazioni cattoliche.
Come si vede, si propone qui semplicemente il "criterio dell'inserimento più agevole e meno costoso": un criterio totalmente ed esplicitamente "laico", a proposito del quale evocare gli spettri del razzismo, della xenofobìa, della discriminazione religiosa, dell'ingerenza clericale e perfino della violazione della Costituzione, sarebbe un malinteso davvero mirabile e singolare; il quale, se effettivamente si verificasse, ci insinuerebbe qualche dubbio sulla perspicacia degli opinionisti e dei politici italiani.
IL CASO DEI MUSULMANI
Se non si vuol eludere o censurare tale realistica attenzione, è evidente che il caso dei musulmani vada trattato a parte. Ed è sperabile che i responsabili della cosa pubblica non temano di affrontarlo a occhi aperti e senza illusioni.
Gli islamici - nella stragrande maggioranza e con qualche eccezione - vengono da noi risoluti a restare estranei alla nostra "umanità", individuale e associata, in ciò che ha di più essenziale, di più prezioso, di più "laicamente" irrinunciabile: più o meno dichiaratamente, essi vengono a noi ben decisi a rimanere sostanzialmente "diversi", in attesa di farci diventare tutti sostanzialmente come loro.
Hanno una forma di alimentazione diversa (e fin qui poco male), un diverso giorno festivo, un diritto di famiglia incompatibile col nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra (fino a praticare la poligamia). Soprattutto hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile, anche se aspettano prudentemente a farla valere di diventare preponderanti. Non sono dunque gli uomini di Chiesa, ma gli stati occidentali moderni a dover far bene i loro conti a questo riguardo.
Va anzi detto qualcosa di più: se il nostro Stato crede sul serio nell'importanza delle libertà civili (tra cui quella religiosa) e nei princìpi democratici, dovrebbe adoperarsi perché essi siano sempre più diffusi, accolti e praticati a tutte le latitudini. Un piccolo strumento per raggiungere questo scopo è quello della richiesta che venga data una "reciprocità" non puramente verbale da parte degli stati di origine degli immigrati.
Scrive a questo proposito la Nota Cei del 1993: 'In diversi paesi islamici è quasi impossibile aderire e praticare liberamente il cristianesimo. Non esistono luoghi di culto, non sono consentite manifestazioni religiose fuori dell'islam, né organizzazioni ecclesiali per quanto minime. Si pone così il difficile problema della reciprocità. E' questo un problema che non interessa solo la Chiesa, ma anche la società civile e politica, il mondo della cultura e delle stesse relazioni internazionali. Da parte sua il papa è instancabile nel chiedere a tutti il rispetto del diritto fondamentale della libertà religiosa' (n. 34). Ma - diciamo noi - chiedere serve a poco, anche se il papa non può fare di più.
Per quanto possa apparire estraneo alla nostra mentalità e persino paradossale, il solo modo efficace e non velleitario di promuovere il "principio di reciprocità" da parte di uno Stato davvero "laico" e davvero interessato alla diffusione delle libertà umane, sarebbe quello di consentire in Italia per i musulmani, sul piano delle istituzioni da autorizzare, solo ciò che nei paesi musulmani è effettivamente consentito per gli altri. (...)
CONCLUSIONE
In un'intervista di una decina d'anni fa, mi è stato chiesto con molto candore e con invidiabile ottimismo: "Ritiene anche Lei che l'Europa o sarà cristiana o non sarà?". Mi pare che la mia risposta di allora possa ben servire alla conclusione del mio intervento di oggi.
Io penso - dicevo - che l'Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la "cultura del niente", della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l'atteggiamento largamente dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa "cultura del niente" (sorretta dall'edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all'assalto ideologico dell'Islam, che non mancherà: solo la riscoperta dell'avvenimento cristiano come unica salvezza per l'uomo - e quindi solo una decisa risurrezione dell'antica anima dell'Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto.
Purtroppo né i "laici" né i "cattolici" pare si siano finora resi conto del dramma che si sta profilando. I "laici", osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l'ispiratrice più forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità e di libertà: potrebbero accorgersene troppo tardi. I "cattolici", lasciando sbiadire in se stessi la consapevolezza della verità posseduta e sostituendo all'ansia apostolica il puro e semplice dialogo a ogni costo, inconsciamente preparano (umanamente parlando) la propria estinzione. La speranza è che la gravità della situazione possa a un certo momento portare a un efficace risveglio sia della ragione sia dell'antica fede.
È il nostro augurio, il nostro impegno, la nostra preghiera.
Nota di BastaBugie: vi invitiamo a guardare il filmato "La vera fine del mondo" che, dati alla mano, fa capire la drammaticità della situazione in Europa
www.youtube.com/watch?v=aDaUppMaoEI
CARD. GIACOMO BIFFI
La fede che diventa cultura
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