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Ieri la Digos di Firenze ha operato il fermo di un giovane fiorentino ritenuto un componente del commando che la notte di capodanno ha incendiato otto automezzi di una ditta di latticini di Montelupo Fiorentino e provocato anche gravi danni al deposito merci.
Il ventiduenne Filippo Serlupi D'Ongran, rampollo di una nobile famiglia, è ritenuto fra i responsabili anche di altri quattro episodi a firma ALF (Animal Liberation Front) commessi in Toscana a danno di strutture di macellazione. Gli altri componenti del commando sono riparati all'estero e sono ricercati. Tra loro tal Lorenzo Oggioni molto impegnato con la Lega Italiana per i Diritti degli Animali.
La sigla ALF è usata in franchising da qualsiasi gruppo che si ispira alla linea del "Fronte". ALF non è la sola sigla del terrorismo animalista che attacca anche le persone (oltre a minacciarle di morte). Il Consiglio d'Europa, come osservato da Carlo Giovanardi (il solo politico che si è degnato di commentare i recenti episodi), classifica l'ALF tra i "single-issue terrorism" (terrorismi monotematici).
Dalle originarie azioni vandaliche (scritte con la vernice spray, mattoni scagliati contro le vetrine di negozi di pellicce, "liberazione" di animali), gli animalisti sono passati agli attentati incendiari contro strutture (case farmaceutiche e lab di ricerca), ma anche contro auto e abitazioni dei "nemici".
Gli episodi toscani, di per sé gravi, indicano un ulteriore salto di qualità del terrorismo animalista. Esso non si limita più a prendere di mira gli allevamenti di cani destinati alla sperimentazione farmaceutica o quelli di animali da pelliccia, ma le strutture di trasformazione dei prodotti di origine animali dove confluiscono le materie prime (latte e carne) provenienti sia da sistemi intensivi che da quelli estensivi che assicurano libertà e aria aperta.
Questi signori vorrebbero imporre con l'intimidazione e il terrore la conversione forzata al veganesimo dell'umanità. Vorrebbero negare millenni di civiltà umana (che non si sarebbe sviluppata senza buoi per arare e cavalli per i trasporti) e la stessa identità umana plasmatasi - da 15 anni in qua – in simbiosi con gli animali domestici.
Si potrebbe obiettare che si tratta di un pugno di fanatici da assicurare alla giustizia. Purtroppo le cose non sono così. Il terrorismo e l'estremismo sono solo la punta dell'iceberg di una cultura nichilista ampiamente diffusa nella nostra società che fa dire a Mons. Luigi Negri: "La forma più diffusa di idolatria, ma anche la più comica, alla quale stiamo assistendo nel terzo millennio, è quella verso la natura e gli animali". L'animalismo nasce come reazione distorta alla reificazione degli animali "da reddito" operata da un sistema agroalimentare che opera solo in funzione del profitto, al degrado degli ecosistemi, all'artificializzazione della stessa vita umana, all'inaridimento dei rapporti famigliari e sociali. Essa si è tradotta in un'umanizzazione schizofrenica dei pet e quindi in uno statuto di parità con l'uomo esteso dai pet agli animali da reddito e ai selvatici, alla teorizzazione dei "diritti degli animali", all'"antispecismo". Di qui la demonizzazione della caccia, di qui l'opposizione – ancora una volta ideologica – all'introduzione di qualsiasi controllo di animali fortemente dannosi (i cervi in alcuni Parchi) e del lupo, nonostante la sua crescita numerica ed espansione e l'ormai insostenibile impatto sull'economia pastorale.
Il lupo e l'agnello sono gli emblemi delle contraddizioni dell'animalismo, la prova del profondo smarrimento antropologico di cui è espressione. Da una parte esso alimenta le campagne pasquali contro il "sacrificio degli agnelli", dall'altra non trova nulla da obiettare se i lupi o gli orsi sbranano vivi pecore, agnelli, capre, asini vitelli con i pastori che possano far nulla per difenderli.
"Devono mangiare anche loro" . I commenti degli animalisti sul web nelle discussioni su orsi e lupi sono illuminanti: "L'unica specie nociva è l'uomo"; "ci vorrebbe la pena di morte per chi investe sulle strade gli orsi".
I deliri animalisti – che mettono sullo stesso piano il pastore e le multinazionali della carne - sortiscono anche l'effetto di congelare una seria discussione sul mancato rispetto degli animali e dell'ambiente da parte di un industrialismo sfrenato. La diffusione della cultura animalista, dilagata nei media attraverso le formule più melense e buoniste e coccolata da una politica irresponsabile è altrettanto grave della cultura della morte che si afferma con l'aborto, l'eutanasia, la manipolazione della vita. È una cultura di odio e di svalutazione del valore della vita umana, nichilista e idolatra. Di questo – salvo lodevoli eccezioni – vi è pochissima consapevolezza nel mondo cattolico che, anche sul terreno dell'ambiente e della "natura", ha subito l'egemonia culturale neoilluminista e non pare neppure molto sensibile ai recenti ripetuti richiami del magistero in materia di mandato del Genesi con quello che implica in termini profondo rispetto per le creature che ci sono compagne.
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