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La recente decisione del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia di riconoscere le "proprietà terapeutiche" della cannabis garantendone la fornitura, nell'ambito della terapia del dolore, a carico del Servizio Sanitario regionale, merita davvero quell'approfondimento che Stefano Fontana ha richiesto da queste stesse colonne. [...]
Il movimento per l'utilizzo "terapeutico" della cannabis, seppur fondato su ricerche piuttosto carenti rispetto agli standard scientifici pubblicizzati come innovativi, è partito dagli Stati Uniti. Ad oggi, infatti, 16 su 51 degli Stati federali nordamericani, oltre a Canada e Paesi Bassi, ne hanno permesso la vendita come farmaco. In Italia, prima del Friuli Venezia Giulia, diverse Regioni hanno emanato specifiche direttive al riguardo, come la Puglia, la Toscana, il Veneto, la Liguria, l'Emilia Romagna e le Marche.
Cominciamo quindi col dire che, nell'ordinamento italiano, l'utilizzo della cannabis rimane illegale anche perché, l'Istituzione nazionale specializzata, l'AIFA, come anche l'Agenzia Europea del farmaco, non hanno mai riconosciuto una valenza medica ai cannabinoidi. Al contrario, è certa l'estrema pericolosità di queste sostanze, fra l'altro perché inducono dipendenza. Non è un caso che, in difesa della salute dei cittadini, le leggi regionali del Veneto e della Liguria sono state bloccate e rinviate all'esame della Corte costituzionale per ben cinque diversi profili di sospetta incostituzionalità. In particolare, il ricorso per incostituzionalità del Governo al provvedimento della Liguria ha avuto tra i motivi di impugnazione anche quello della incompetenza regionale a disporre su una tale tematica. Come riporta il testo dello stesso ricorso, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 21 novembre 2012, le disposizioni sull'utilizzo terapeutico della cannabis, "esorbitano dalle competenze della Regione. Infatti, la qualificazione e la classificazione dei farmaci, nonché la regolamentazione del relativo regime di dispensazione – compresa l'individuazione degli specialisti abilitati a prescriverli, nonché i relativi impieghi terapeutici – spetta agli organi statali, per esigenze di uniformità e unitarietà sul territorio nazionale". Perché allora, anche da parte del Friuli Venezia Giulia, approvare una normativa con indicazioni equipollenti ad altre sospese e rinviate al giudizio della Consulta senza attenderne il pronunciamento? Fra l'altro, l'Italia è parte di importanti Convenzioni internazionali promosse dalle Nazioni Unite che, anche le Assemblee regionali, sono giuridicamente tenute a rispettare.
In secondo luogo, in Italia si arriva sempre "in ritardo" rispetto ai fenomeni "innovativi" provenienti d'Oltreoceano. Infatti, nonostante i 16 Stati che l'hanno "legalizzata", l'Agenzia americana del farmaco continua a considerare la cannabis alla stregua dell'eroina e della cocaina e anche per questo, alcuni degli Stati che l'avevano "sdoganata", stanno già facendo marcia indietro. In Arizona, per esempio, è notizia recente che si è messo in moto un movimento per annullare la legge che nel 2010 aveva liberalizzato l'accesso terapeutico alla "cannabis medica". Il deputato Repubblicano John Kavanagh sta infatti ottenendo notevoli consensi per l'abrogazione della controversa legge che, introducendo la legalizzazione del fumo di marijuana per usi "medici", ha alla fine permesso alle persone che dichiarano determinate patologie di coltivare, vendere e utilizzare tranquillamente la pianta psichedelica. Kavanagh ha presentato un disegno di legge per sottoporre l'Arizona Medical Marijuana Act, approvato a livello popolare con uno stretto margine di poco più di 4.000 voti, a referendum abrogativo nel novembre del 2014, perché nuovi dati dell'Arizona Criminal Justice Commission hanno dimostrato come persino i bambini delle elementari riescano ormai a procurarsi cannabis da fumare grazie ai titolari, oltre 34.000, delle carte di accesso alla marijuana medica. Ma anche un eminente esponente democratico come Patrick Kennedy è recentemente sceso in campo sollevando il problema ed inducendo tutti i media americani a parlarne. In un articolo sulla marijuana anche il liberal "Washington Post" ha riconosciuto che tale sostanza «distrugge il cervello e fa emergere psicosi».
In definitiva la domanda più importante è questa: quali dolori patologici potrà mai alleviare il fumo di cannabis per cui non siano già disponibili, nell'ambito della medicina palliativa, farmaci con efficacia sperimentata, approvati come sicuri dalla letteratura e dalla esperienza ed economici?
Nel tentativo di scongiurare l'approvazione della legge toscana, ad esempio, il direttore del servizio di Cure palliative e leniterapia della Asl 10-Firenze Piero Morino, definì la proposta dell'uso terapeutico della cannabis «più una battaglia politica che medica», perché qualsiasi cannabinoide «non è un farmaco decisivo», bensì al massimo «un adiuvante, che in mani esperte può dare risultati apprezzabili, ma non può sostituire i farmaci davvero necessari». Anche secondo la responsabile dell'associazione toscana di assistenza domiciliare Pallium Valeria Cavallini, «gli antidolorifici efficaci, anche in Italia, sono ormai tanti», e se è vero che «in certi casi la cannabis può ridurre effetti collaterali di altre terapie, come la stipsi o il vomito, è anche vero che non sarebbe affatto risolutiva».
La gente che negli Stati Uniti ed altrove ha votato per le leggi in favore della cannabis terapeutica è stata indotta in errore nel credere che i suoi destinatari sarebbero stati solo pazienti oncologici in chemioterapia o chi soffre di glaucoma ma, come ha denunciato da ultimo Kavanagh, in Arizona «questi rappresentano una frazione degli utenti». Di questi, il 3,76 per cento giustifica l'uso di marijuana per alleviare i sintomi del cancro, meno del 2 per cento citano il glaucoma mentre la stragrande maggioranza – il 90 per cento – adduce come motivazione un generico dolore grave e cronico.
In considerazione degli esiti finora registrati negli Stati Uniti, lo ha dimostrato anche in Italia la più recente pubblicistica specializzata (cfr., ad es., Fabio Bernabei, Cannabis medica. 100 domande e risposte, Sugarco, Milano 2012), non è scientificamente provata una valenza terapeutica del fumo di cannabis; perché non si pensa, dopo un trimestre o semestre di effettiva applicazione della legge friulana, di sottoporne gli esiti, sia medici sia sociali, ad una commissione indipendente tecnico-scientifica? In una Regione importante come il Friuli Venezia Giulia, infatti, come ha giustamente avvertito Fontana, «non si può fingere che non esista il pericolo di allargare le maglie dell'uso della cannabis e che le indicazioni per l'uso vengano dilatate».
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