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«Noi riponiamo ogni fiducia in René Bruelhart, il direttore dell'Aif, l'autorità per l'informazione finanziaria». Così ieri il cardinale australiano George Pell, definito il "super-ministro dell'economia" in Vaticano, dalle colonne del Corriere della Sera spiegava la strategia per normalizzare i rapporti dello IOR (Istituto di Opere religiose) con le autorità finanziarie italiane e applicare le norme anti-riciclaggio. Dunque, il nuovo corso dello IOR, la cosiddetta Banca vaticana da anni al centro delle polemiche e più volte fonte di imbarazzo per la Santa Sede, sembra contare soprattutto su una persona, che peraltro non è il presidente appena nominato, il francese Jean-Baptiste de Franssu. Il che avrebbe un senso perché l'Aif è l'autorità di controllo, l'organo che dovrebbe fare da garante della regolarità delle operazioni bancarie vaticane davanti alle autorità internazionali. «Non vogliamo più scandali», ha insistito il cardinale Pell interpretando il mandato dell'intero collegio cardinalizio. DOMANDE INQUIETANTI Sulle intenzioni non si discute, ciononostante il tanto sbandierato nuovo corso dello IOR suscita alcune domande inquietanti, che non lasciano tranquilli sul futuro di un istituto che ha un ruolo fondamentale nel sostenere la missione della Chiesa. Al punto che anche papa Francesco, che all'inizio del suo pontificato sembrava addirittura incline alla sua eliminazione, ha in pochi mesi dovuto cambiare idea, ricentrando però la sua missione sull'aiuto ai poveri. Domande inquietanti, si diceva. A cominciare dall'uomo su cui viene riposta la massima fiducia. Proprio pochi giorni fa infatti, da alcuni giornali è stata pubblicata la notizia che Moneyval, il Comitato Ue di esperti per la valutazione delle misure contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, ha già pronto un rapporto che declassa il Principato del Liechtenstein in fatto di controlli sul denaro sporco e sotto accusa c'è proprio il periodo in cui a capo dell'autorità antiriciclaggio del paese centroeuropeo c'era René Bruelhart. Questione non da poco, perché Bruelhart, che il settimanale britannico The Economist aveva allora definito «il James Bond dell'anti-riciclaggio», era giunto in Vaticano proprio sulla scorta della fama conquistatasi nel "ripulire" l'immagine del Liechtenstein. Ora si scopre invece che aveva contribuito a sporcarla. È una circostanza che dovrebbe mettere in allarme la Santa Sede, che non si può certo permettere un altro passo falso sullo IOR, tanto più che il mistero che circonda Bruelhart non si limita al passato in Liechtenstein ma anche le modalità del suo arrivo in Vaticano. Ufficialmente infatti è stato ingaggiato nel settembre 2012 come consulente per rafforzare gli strumenti contro i crimini finanziari, ma in realtà ci sono indizi che in Vaticano fosse già all'opera – segretamente – dall'anno prima e che sia lui il vero artefice della "controriforma" che ha bloccato il processo di trasparenza dello IOR. BENEDETTO XVI ED ETTORE GOTTI TEDESCHI Bisogna infatti ricordare che a tracciare una linea di trasparenza assoluta per lo IOR era stato Benedetto XVI che il 30 dicembre 2010 aveva promulgato con un Motu Proprio la legge 127 - scritta dall'allora presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi e dal cardinale Attilio Nicora - che toglieva ogni segretezza ai conti dello IOR e istituiva l'Aif affidandole ampi poteri di controllo. Era una riforma che fin dall'inizio trovò forte opposizione nel management dell'istituto (lo stesso management recentemente incriminato dalla giustizia italiana per reati finanziari) spalleggiato dall'allora segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone. Al punto che nel gennaio 2012 fu varata – all'insaputa di Gotti Tedeschi e Nicora – una "controriforma" che legava le mani all'Aif e limitava la trasparenza dei conti correnti. Ne seguirono mesi roventi, che culminarono nella scandalosa cacciata di Gotti Tedeschi – a cui la giustizia italiana ha ora riconosciuto la volontà di perseguire la trasparenza secondo il mandato di Benedetto XVI contro un management a dir poco spregiudicato – e successivamente nel ridimensionamento prima e nel siluramento poi del cardinale Nicora. Bruelhart dunque è considerato il vero artefice – sebbene nascosto - della controriforma; e poco dopo il suo arrivo ufficiale in Vaticano ha assunto l'incarico di direttore generale dell'Aif defenestrando Francesco De Pasquale, uomo di Bankitalia che garantiva la collaborazione tra IOR e autorità italiane. IL MOTU PROPRIO DI PAPA FRANCESCO C'è voluto un altro Motu Proprio, stavolta di papa Francesco nell'agosto scorso, per restituire maggiori poteri all'Aif, ma la rivoluzione nello IOR – stando alle parole di Pell – sarebbe nelle mani di un uomo il cui ruolo nelle tristi vicende degli ultimi due anni è fortemente sospetto. Non bastasse, anche l'avvicendamento alla presidenza dello IOR fa nascere qualche domanda: il tedesco Ernst von Freiberg, nominato in fretta e furia subito dopo le dimissioni di Benedetto XVI, se ne va dopo appena 18 mesi per lasciare il posto a De Franssu. Ufficialmente nessuna polemica aperta, ma sono molte le voci che parlano di un von Freiberg in disaccordo sulla linea presa dall'istituto che non sembra avere fretta di entrare nella white list, ovvero nell'elenco dei paesi virtuosi. Infine, a lasciare perplessi è anche la determinazione a non chiarire cosa è successo negli ultimi due anni, malgrado la giustizia italiana si sia già pronunciata in proposito. Nell'intervista al Corriere, il cardinale Pell fa riferimento a Calvi e Sindona, come simboli di uno IOR che non si deve più vedere. Ma la vicenda dei due banchieri, che rovinò l'immagine della Chiesa, risale ormai a trenta anni fa, mentre sarebbe più opportuno dare conto delle battaglie interne che si sono combattute negli ultimi anni. Anche perché l'ostinato silenzio sulle recenti vicende fa sorgere dubbi sulla reale affidabilità di chi vorrebbe costruire un nuovo futuro. I prossimi mesi diranno se queste sono soltanto illazioni, timori ingiustificati, oppure qualcosa di drammaticamente serio.
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